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MATERA E UNIVERSITÀ: «SINDACO E RETTORE, CONVERGENZA PER UNA COLLABORAZIONE»

Le parole del professor Mirizzi dell’Unibas: dalla pandemia all’erogazione didattica modulata, sino al cambiamento delle dinamiche socio-culturali

MATERA. «Il polo universitario materano istituito nel 1992 rappresenta un’opportunità che non è stata ancora colta pienamente1. Così ha detto il sindaco Bennardi nel corso di un meeting che si è tenuto qualche giorno fa a Matera e al quale hanno preso inoltre parte il rettore dell’Unibas “Università degli studi della Basilicata” Marcello Mancini, l’assessore Raffaele Tantone, il direttore del dipartimento di Scienze umane Aldo Corcella, il professor Ferdinando Mirizzi, il direttore generale dell’ ateneo Giuseppe Romaniello e il dirigente Pierluigi Labella. «Ma ora ha proseguito il primo cittadino Matera è pronta per la città universitaria. L’obiettivo da perseguire attraverso un adeguato sostegno istituzionale e investimenti che sappiano valorizzare la capacità attrattiva di Matera, è quello di dotare la città dei Sassi di una sua propria università che sia in rete con gli altri presidi culturali già esistenti».

A queste parole hanno subito fatto eco quelle del rettore Mancini che, manifestando «Ampia disponibilità a collaborare affinché l’università entri in modo più ampio ed esteso nel tessuto cittadino materano», ha anche evidenziato «la necessità di migliorare i servizi agli studenti fornendo loro assistenza, arricchendo le loro esperienze e valorizzando le peculiarità del territorio». Il sogno dunque di avere a Matera dopo vent’anni di attese un vero “Campus” in cui coltivare lo sviluppo e la formazione culturale dei giovani ora forse è un po’ più vicino a diventare realtà.

In merito a questi interessanti sviluppi nessuno più del professor Ferdinando Mirizzi, rinomato antropologo culturale e direttore del “Dipartimento delle culture europee e del Mediterraneo” presso l’Unibas, può illuminarci. Professore che ci dice dell’incontro? «Quello dell’altro giorno è stato un incontro di tipo istituzionale, di presentazione e anche di conoscenza tra il sindaco che è in carica da poco e il rettore, anche lui nuovo ed entrato nel pieno delle sue funzioni il primo di ottobre. Il valore di questo incontro è stato quello di una interlocuzione per affermare e sostenere la necessità di una collaborazione tra Università e Comune perché da una parte l’università contribuisca com’è nei suoi compiti allo sviluppo culturale ma anche generale, sociale e produttivo di Matera e dell’area del materano e dall’altra parte perché si possa cercare di far diventare sempre di più Matera una città universitaria, perché un conto è una città che ha al suo interno l’Università della Basilicata essendo una delle sue sedi, un’altra cosa è una città con una sua propria università, cosa che Matera ancora non è».

Quindi lei ha percepito segnali incoraggianti. «Sì, perché si è trattato di un incontro molto cordiale, molto produttivo in prospettiva e questo lo dico avendone preso parte, ma anche dando un giudizio dall’esterno dico che è stato un incontro veramente molto positivo e propositivo sia da parte del rettore che da parte dell’amministrazione comunale e del Sindaco tanto che si sono raggiunti molti punti di convergenza con l’intento reciproco di attuare poi una collaborazione che serva a tutti».

Qual è lo stato di “salute” dell’Unibas in questo momento? «Beh! commenta sornione il professore che con le sue pubblicazioni ha tracciato nel corso degli anni una vera cronistoria culturale del nostro territorio, interpretandone ogni minimo sussulto e cambiamento e arricchendo il nostro patrimonio culturale di pubblicazioni che scandagliano il nostro tessuto antropologico e sociale rimarcandone ogni peculiarità e ritraendoli in tutta la loro variegata diversità Capisco la salute se riferita a una persona, ma a una Università…!» Preciso che mi riferivo all’ emergenza! «Sì. Avevo capito. Beh! in riferimento all’emergenza della nostra università noi abbiamo fatto un investimento piuttosto rilevante per dotare delle infrastrutture necessarie sia la sede di Potenza che quella di Matera in modo da poter consentire una varietà di erogazione della didattica tra la didattica in presenza, a distanza e mista garantendo il rispetto delle linee guida generali che erano venute anche dal Ministero a tutte le università italiane». È stato problematico organizzare la didattica in presenza? «Andava garantita da una parte la presenza soprattutto per le matricole nel rispetto delle norme di contenimento per le quali l’università in realtà si era già attrezzata da tempo quindi da quel punto di vista non abbiamo nessun problema seppur con la riduzione del numero dei frequentanti resasi necessaria proprio per rispetto delle sopracitate norme, e dall’altra parte abbiamo garantito anche la possibilità di frequenza da remoto da casa a tutti gli altri studenti».

Ma poi è arrivata anche per cultura la zona arancione. «Con la recrudescenza del virus e l’ultima dichiarazione di zona arancione della Basilicata, abbiamo incrementato le lezioni a distanza lasciando la possibilità di lezioni in frequenza soltanto in casi molto particolari legati soprattutto alle esigenze del primo anno appunto degli immatricolati e esigenze che richiedono necessariamente l’uso dei laboratori». Siete stati subito reattivi rispetto all’emergenza.

«Complessivamente credo di poter dire che questa emergenza la si stia affrontando con molta serenità; insomma non stiamo avendo ripercussioni di nessun tipo salvo un po’ il fatto di dover per forza di cose limitare la presenza e questo anche perché molti studenti sono pendolari quindi c’è la questione dei trasporti là dove le possibilità di contagio sono maggiori e noi stiamo cercando di agire in sicurezza perché la sicurezza della salute delle persone é primaria in questo momento». Un pensiero da antropologo, esteso alla situazione pandemica generale? «Come sempre è stato nella storia si procede in parte per continuità e in parte per rotture.

L’umanità e le società particolari non restano ferme ma hanno questa capacità di adeguarsi sempre ai nuovi contesti. È evidente che si stiano definendo dei contesti nuovi e anche nuove forme di relazione e di partecipazione alla vita pubblica. Credo che noi siamo in un contesto di cambiamento e che non dobbiamo avere paura del cambiamento cioè dobbiamo affrontarlo non considerando dal punto di vista sociale come un “accidente” il periodo dell’emergenza, vale a dire un’emergenza per cui una volta finita tutto torna come prima. Probabilmente le cose non torneranno come prima e ciascuno di noi dovrà abituarsi a vivere in maniera un po’ diversa da come era in precedenza».

E la vita sociale come cambierà? «Certo che il livello della relazione sociale è un livello di estrema importanza così come lo è quello del rispetto delle esigenze legate alla salute. È ovvio che quando c’è un problema di scelta tra la vita e la morte perché la gente va in terapia intensiva, perché rischia la vita, allora bisogna dare assoluta priorità a questo tipo di problematica però una volta superato questo gap, le comunità devono ripensare la loro vita sociale senza preoccuparsi di dover ritornare esattamente nella situazione precedente ma adeguandosi ai nuovi contesti. Tutto sommato io credo che anche in altri periodi della storia l’umanità ha dimostrato di saper riprendersi; questa pandemia non è la prima della storia e il “Mostro” non è mai vinto, ma è chiaro che bisogna guardare anche con fiducia al futuro seppur con tutte le cautele e la prudenza necessaria che questo momento richiede.

E poi non è detto che tutto debba tornare come prima perché non è detto che tutto quello che c’era prima era virtuoso; mi riferisco per esempio al rapporto che c’è con l’ambiente rispetto al quale molte cose sono da rivedere; è anche utile far tesoro di tutto quello che è successo per rivedere le posizioni che la società ha nei confronti dei problemi di natura ambientale, così tanto per fare un esempio».

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