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IL DEMONE DELLA RINUNCIA PER CHI VIVE IN PAESE

Lettere lucane

Un caro amico mi telefona da un’area di servizio della Sinnica. Mi dice che è dovuto andare a Teana e a Castelsaraceno per delle faccende di lavoro. Gli chiedo come li ha trovati, questi paesi, e lui mi dice “sono più spenti che mai, un mortorio avvilente”. Mi piace molto vedere i luoghi attraverso gli occhi e le parole degli altri. Ogni giorno mi arrivano notizie sullo spegnimento dei nostri paesi; uno spegnimento che si aggiunge a uno spegnimento già in atto da alcuni decenni, e che i sociologi chiamano “spopolamento delle aree interne”. Chiedo al mio amico di descrivermi l’area di servizio. “Nel bar c’è solo un uomo che beve una birra, mentre alle pompe di benzina non c’è nessuno”. Chiudo gli occhi e vede nitidamente la scena, perché mi è familiare. Mentre lo ascolto penso alla rinuncia, a tutte quelle persone che si arrendono e si chiudono. E questa fase storica, purtroppo, induce troppi a rinunciare. Ci si aggrappa a piccole abitudini, e si è in costante ricerca della conferma che il mondo sta andando in rovina. Poi però a certe ore del giorno e della notte queste persone hanno un trasalimento, e sentono chiaramente che stanno sprecando la vita, e che non è vero che il mondo va in rovina. In rovina va soltanto la nostra vita quando la paura e la pigrizia ci governano, e quando i giorni diventano sempre uguali e senza sangue. Possono esserci mille motivi per serrarsi in casa. Ma se non si ha un solo motivo per uscire di casa rischiando qualcosa, la vita vale poco, forse niente. Questa capacità di silenzio e di attesa di molti lucani è stata per me sempre motivo di commozione ma anche di rabbia, perché non amo la rinuncia. Infatti il più grande nemico della Lucania – ma anche la sua forza poetica – è proprio questo serrarsi nelle case, questo rendersi invisibili per paura di rischiare. Di rischiare la vita.

diconsoli@lecronache.info

 

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