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Giuseppe Conte all’Assemblea di Confindustria

È una sfida, questa, che ci attende in verità da molti anni, e mai come oggi. In ragione della profonda crisi, si pone, di fronte alla politica, il dovere di affrontarla con coraggio.
Però questa volta ce la possiamo fare. Perché questa pandemia ci ha reso anche tutti più forti e anche più consapevoli.
Già prima dell’arrivo del Covid-19, il nostro Paese viveva – è stato ricordato – un periodo di sostanziale stagnazione del prodotto interno lordo e della produttività

Conte all’Assemblea di Confindustria

Martedì, 29 Settembre 2020

Gentile Presidente del Senato, Gentili Vicepresidenti del Senato e della Camera, Presidente della Regione Lazio, Signora Sindaco, cari Ministri, vi vedo numerosi qui presenti, autorità tutte, gentili ospiti,

ringrazio il Presidente Bonomi e tutti gli associati di Confindustria per questo invito che offre anche a me l’occasione per condividere con Voi alcune riflessioni sul particolare momento che stiamo vivendo e sulle prospettive future.
Ovviamente siete già provati da due interventi densi di spunti, riflessioni, considerazioni. Mi avvarrò anche, e mi avvantaggerò delle considerazioni già formulate dal Ministro Patuanelli.
Però permettetemi innanzitutto di esprimere in modo chiaro e di rinnovare la solidarietà al Presidente di Confindustria Brescia, Giuseppe Pasini, per il vile atto intimidatorio di cui è stato vittima la scorsa settimana, e anche al Presidente di Confindustria Lombardia, Marco Bonometti, che ne è stato vittima lo scorso giugno.

Il nostro messaggio su questo punto deve essere forte, chiaro e univoco, perché si tratta di gesti inaccettabili che devono essere condannati e respinti con la massima fermezza, lavorando – al contrario – per costruire coesione, unità e senso di responsabilità comune, all’interno dell’insostituibile cornice democratica della nostra Repubblica.

Cosa ci insegna questa pandemia, questa situazione così drammatica che tutto il mondo sta vivendo?
Quali lezioni possiamo trarre anche nella prospettiva futura, per il coraggio che ci serve per il futuro, da questa terribile esperienza?

Sono ormai settimane che tutte le istituzioni internazionali più accreditate, a partire dall’OMS, e le più autorevoli testate giornalistiche, New York Times, Financial Times, Bloomberg, Süddeutsche Zeitung, Guardian e tante altre, si stanno interrogando sulle ragioni per cui un Paese che negli ultimi lustri ha mostrato non poche difficoltà nella crescita economica e nel migliorare gli indici di produttività, che ha mostrato anche capacità nell’operare riforme strutturali, che quasi tutto il mondo ci sta chiedendo, si sta rivelando, invece, proprio adesso nel momento di estrema difficoltà, più efficace di molti altri e ben più resiliente nel reagire alla pandemia.
Immagino molti di voi avrete delle risposte, e sicuramente non c’è una sola risposta.

Io ve ne offro una; io ritengo che il nostro merito è di avere compreso da subito che non si può vincere una battaglia così impegnativa operando distinzioni tra tutela della salute e della vita dei cittadini da un lato, e tutela dell’economia e della produzione dall’altro.


Alcuni Paesi che hanno pensato di trascurare il primo valore, la tutela della persona, e quindi di concentrarsi sulla preservazione del tessuto produttivo, sono quelli che adesso denunciano maggiori difficoltà nel tenere sotto controllo la curva del contagio e che stanno pagando un prezzo molto elevato sul piano della recessione economica, ben più elevato sul piano della recessione economica.


In Italia abbiamo afferrato subito che sarebbe stato impossibile porsi il problema della preservazione del tessuto produttivo trascurando la tutela delle persone e delle condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro.


Lo abbiamo compreso molto chiaramente – e direi plasticamente – quando, ancor prima dell’adozione dei Protocolli di sicurezza, i lavoratori, ricordate, si sono rifiutati, si rifiutavano di entrare in fabbrica.

Lo ricorderete, cari imprenditori: sono state giorni molto difficili.
I lavoratori non entravano nelle vostre fabbriche, non si sentivano tutelati, non si sentivano sicuri, non eravamo ancora al lockdown. Ed è per questo che subito convocammo tutte le parti sociali, le associazioni datoriali, anche voi, e devo ringraziare qui il Presidente Boccia perché ha dato una collaborazione incredibile, oltre che i sindacati, in modo da stendere, redigere e sottoscrivere quegli articolati, complicati Protocolli di sicurezza.

Abbiamo afferrato un principio fondamentale: non si può tutelare l’economia senza prima salvaguardare la salute e la sicurezza dei cittadini.
Altro elemento fondamentale, lo ha detto il Ministro Patuanelli in conclusione del suo intervento, la fiducia: è fondamentale la fiducia, la fiducia tra governo e cittadini, ma anche tra imprenditori e lavoratori, tra sindacati e associazioni datoriali.
Nell’impresa, l’elemento della fiducia è fondamentale: tutti coloro che sono coinvolti nelle iniziative economiche, nelle attività, pur nella diversità di ruoli e funzioni, devono sentirsi coinvolti verso il perseguimento di un obiettivo condiviso.

Questa mattina, ricevendo la Presidente svizzera Sommaruga, ho voluto ricordare il sacrificio economico compiuto da alcuni, molti imprenditori: mi ha molto colpito che nel momento di massima ristrettezza economico, di grandissimo disagio finanziario, molti imprenditori abbiano, si siano sentiti nella condizione morale, non giuridica, di dovere anticipare ai propri lavoratori di tasca propria la cassa integrazione, proprio nella consapevolezza di far parte di una medesima comunità in cui ci si salva tutti insieme.


Questo stesso valore ci ha consentito di vivere e di sperimentare il senso di appartenenza a una medesima comunità, di essere avvinti da un comune destino.
Anche i cittadini hanno mostrato grande fiducia nei confronti delle istituzioni e del Governo, comprendendo le scelte anche dolorose e rispettando le misure anche molto restrittive, non solo per il bene proprio, ma anche per tutelare le persone più care e più vulnerabili.

Con lo stesso spirito di unità e con il rinnovato senso di comunità che ci ha consentito, come Paese, di affrontare a testa alta la minaccia della pandemia, dobbiamo ora contribuire – certo tutti insieme – a vincere la sfida della ripartenza.


È una sfida, questa, che ci attende in verità da molti anni, e mai come oggi. In ragione della profonda crisi, si pone, di fronte alla politica, il dovere di affrontarla con coraggio.

Però questa volta ce la possiamo fare. Perché questa pandemia ci ha reso anche tutti più forti e anche più consapevoli.
Già prima dell’arrivo del Covid-19, il nostro Paese viveva – è stato ricordato – un periodo di sostanziale stagnazione del prodotto interno lordo e della produttività.

Sono varie e complesse le cause che hanno portato l’Italia ad accumulare questi ritardi cronici.

Fra queste, la ricerca economica ha evidenziato alcune importanti tendenze di fondo.
In Italia abbiamo registrato una perdita progressiva della capacità di innovazione, misurata da una spesa in ricerca e sviluppo nettamente inferiore a quella della media dei Paesi OCSE. Abbiamo assistito a un disinvestimento nell’offerta di programmi didattici di ogni ordine e grado, nella formazione dei docenti e nella dotazione edilizia e tecnologica delle scuole.
Il tutto è avvenuto nel contesto di una morfologia del sistema produttivo che, in molti casi, non consente un’adeguata crescita dimensionale delle imprese e, pertanto, frena la propensione a investire in nuove tecnologie e ad aumentare la domanda di lavoratori qualificati. A queste dinamiche si è affiancata, aggravandole, un progressivo deterioramento della nostra capacità progettuale come Sistema Italia e in particolare delle competenze della Pubblica amministrazione.
A queste debolezze strutturali, si è aggiunto poi l’impatto, lo ricordiamo, della doppia recessione, i mutui subprime nel 2009 e poi la crisi dei debiti sovrani nel 2011, crisi che furono aggravate da scelte di politiche economiche compite a livello europeo, che hanno impedito all’Unione di compiere passi decisivi verso la creazione di istituzioni economiche autenticamente comunitarie.
Le scelte compiute sono figlie di paradigmi e canoni consolidati, che pure già da alcuni anni mostravano un logoramento e si mostravano inadeguati a cogliere i mutamenti in atto e non apparivano più in grado di intercettare i bisogni profondi della società.
Ecco oggi, l’Europa ha avuto la forza di rispondere diversamente allo shock della pandemia, adottando un programma di investimenti che è stato anche ricordato. 
È un risultato che certo si deve anche alla caparbietà dell’Italia e alla determinazione di un Governo, di una squadra di Governo, che non si è mai accontentata di soluzioni parziali o anacronistiche, e ha lavorato duramente perché si cambiasse passo.
 Il Governo italiano, infatti, sin dalle prime settimane della diffusione della pandemia, ha subito compreso la portata simmetrica di questo shock e, per questo, ha subito promosso, con determinazione, una nuova impostazione, secondo la quale i destini sociali ed economici dei Paesi membri dell’Unione europea sono inestricabilmente connessi, e che soltanto un piano ambizioso e lungimirante, avrebbe potuto innescare una vera ripresa dell’economia europea.
La Recovery and Resilience Facility, come avevamo auspicato, è fortemente incentrata sugli investimenti pubblici nei due ambiti fondamentali, la transizione green e il digitale, e su una forte spinta verso le riforme. Quello che avevamo chiesto perché conosciamo la realtà del nostro Paese.
Gli esiti del negoziato europeo dimostrano che l’Italia ha saputo recuperare una forte leadership europea ed internazionale, grazie alla quale abbiamo affermato un principio molto semplice: l’Europa e l’Italia potranno crescere soltanto se saranno in grado di cambiare insieme, contemporaneamente.
Negli stessi mesi che hanno preceduto quella famosa seduta del Consiglio europeo del luglio scorso, il Governo ha adottato numerose misure a sostegno del sistema sanitario nazionale, dei lavoratori e delle imprese per contrastare le ricadute economiche dell’emergenza sanitaria.
I quattro maggiori provvedimenti maggiori in materia economica, l’ultimo dei quali è il cosiddetto decreto “Agosto”, hanno permesso di garantire cospicui investimenti e la tenuta del sistema economico, stanziando complessivamente la ragguardevole cifra di 100 miliardi in termini di indebitamento netto. Come sono state ripartite queste somme? 
Lo ricordiamo: 39,5 miliardi a favore delle imprese, grazie a contributi a fondo perduto, alla cancellazione dell’IRAP, alle sospensioni di termini e versamenti fiscali e ad altre agevolazioni fiscali, agli interventi specifici per i settori più colpiti come il turismo.
Altre misure relative al costo del lavoro e al sociale sono stati dedicate a questi settori per circa 34,5 miliardi, con 19 miliardi riservati alla cassa integrazione, 8 miliardi per l’erogazione delle indennità ai lavoratori del settore privato, autonomi e stagionali.
Ancora, 12,5 miliardi sono stati necessari per agli enti territoriali per tutelare gli investimenti, il trasporto pubblico locale e la sanificazione degli ambienti, ancora abbiamo erogato 8 miliardi per il sistema sanitario nazionale e 2,5 miliardi per potenziare i servizi pubblici.
Questi numeri evidenziano come l’azione del Governo abbia attivato una rete di protezione molto articolata nei confronti dell’economia italiana, mettendo a disposizione risorse ingenti.
L’ampiezza di questa azione di sostegno non è stata condivisa da tutti, ma credo fermamente che essa abbia svolto un ruolo cruciale, non soltanto per proteggere il nostro tessuto sociale ma anche per preservare la medesima efficienza produttiva delle imprese, e ritengo che sia stato giusto mantenere in essere queste misure anche dopo la riapertura delle attività economiche e commerciali.
Ognuno poi è libero di valutare autonomamente se questa azione del Governo sia stata soddisfacente o meno ma sarebbe corretto riconoscere che questo Governo è riuscito ad attenuare il pesante impatto economico dell’emergenza con una mobilitazione di risorse e una molteplicità di interventi che non hanno precedenti nella storia repubblicana.
I mesi che ci attendono sono un appuntamento cruciale per il rilancio del Paese, nella prospettiva, su cui anche gli interventi che mi hanno preceduto hanno chiarito, vogliamo una chiara demarcazione rispetto al passato, un mutamento di passo e di prospettiva.
La nostra visione del Paese, abbiamo testa, cuore, energia, determinazione per affermarlo,  è quella di un’Italia in grado di recuperare quella statura di grande potenza economica e industriale raggiunta nella seconda metà del secolo scorso, un’Italia capace di promuovere i meriti di tutti ma di prendersi cura dei bisogni di ciascuno, e che sappia valorizzare, in tutto il mondo, la qualità delle sue produzioni e dei suoi talenti, lavorando costantemente per superare i propri limiti.
Tale visione non può ignorare i profondi mutamenti avvenuti nella società e nell’economia negli ultimi due decenni. Perché il modello di sviluppo sin qui perseguito, fondato sulla promessa che, quanto più si fosse fatto prevalere l’obiettivo della crescita economica rispetto alla tutela della persona, della comunità e dell’ambiente, tanto più benessere avremmo potuto redistribuire nella società è un modello evidentemente che non si è rivelato adeguato. 
La continua instabilità della nostra traiettoria di crescita, segnata da crisi ricorrenti, e l’emergere di nuovi protagonisti globali, come la Cina, hanno reso necessario un cambio di strategia e anche logorato il patto sociale fondato su quell’ipotesi.
Ragioniamo di una nuova società. La nuova società post-Covid, la sostenibilità sociale e ambientale dei processi produttivi non può essere più pensata come un vincolo allo sviluppo, bensì come sua premessa imprescindibile.
Saranno, questi, i temi fondamentali al centro dell’agenda del prossimo G20, che Lei Presidente Bonomi ha ricordato, assieme a questioni cruciali come la tutela del multilateralismo e della cooperazione internazionale, le ripercussioni della Brexit, le tensioni geopolitiche nel Mediterraneo. Sarà questo un appuntamento molto importante per l’Italia che ha l’onore della Presidenza. E vorrei ricordare che l’anno prossimo avremo anche l’onore della co-presidenza di Cop26 quindi anche lì avremo la possibilità di richiamare l’attenzione di tutte le future scelte di Governo in tutte le regioni del pianeta sui bisogni delle donne, dei giovani, sulla necessità di un patto intergenerazionale. 
Il tutto è avvenuto nel contesto di una morfologia del sistema produttivo che, in molti casi, non consente un’adeguata crescita dimensionale delle imprese e, pertanto, frena la propensione a investire in nuove tecnologie e ad aumentare la domanda di lavoratori qualificati. A queste dinamiche si è affiancata, aggravandole, un progressivo deterioramento della nostra capacità progettuale come Sistema Italia e in particolare delle competenze della Pubblica amministrazione.
A queste debolezze strutturali, si è aggiunto poi l’impatto, lo ricordiamo, della doppia recessione, i mutui subprime nel 2009 e poi la crisi dei debiti sovrani nel 2011, crisi che furono aggravate da scelte di politiche economiche compite a livello europeo, che hanno impedito all’Unione di compiere passi decisivi verso la creazione di istituzioni economiche autenticamente comunitarie.
Le scelte compiute sono figlie di paradigmi e canoni consolidati, che pure già da alcuni anni mostravano un logoramento e si mostravano inadeguati a cogliere i mutamenti in atto e non apparivano più in grado di intercettare i bisogni profondi della società.
Ecco oggi, l’Europa ha avuto la forza di rispondere diversamente allo shock della pandemia, adottando un programma di investimenti che è stato anche ricordato. 
E’ un risultato che certo si deve anche alla caparbietà dell’Italia e alla determinazione di un Governo, di una squadra di Governo, che non si è mai accontentata di soluzioni parziali o anacronistiche, e ha lavorato duramente perché si cambiasse passo.
 Il Governo italiano, infatti, sin dalle prime settimane della diffusione della pandemia, ha subito compreso la portata simmetrica di questo shock e, per questo, ha subito promosso, con determinazione, una nuova impostazione, secondo la quale i destini sociali ed economici dei Paesi membri dell’Unione europea sono inestricabilmente connessi, e che soltanto un piano ambizioso e lungimirante, avrebbe potuto innescare una vera ripresa dell’economia europea.
La Recovery and Resilience Facility, come avevamo auspicato, è fortemente incentrata sugli investimenti pubblici nei due ambiti fondamentali, la transizione green e il digitale, e su una forte spinta verso le riforme. E? quello che avevamo chiesto perché conosciamo la realtà del nostro Paese.
Gli esiti del negoziato europeo dimostrano che l’Italia ha saputo recuperare una forte leadership europea ed internazionale, grazie alla quale abbiamo affermato un principio molto semplice: l’Europa e l’Italia potranno crescere soltanto se saranno in grado di cambiare insieme, contemporaneamente.
Negli stessi mesi che hanno preceduto quella famosa seduta del Consiglio europeo del luglio scorso, il Governo ha adottato numerose misure a sostegno del sistema sanitario nazionale, dei lavoratori e delle imprese per contrastare le ricadute economiche dell’emergenza sanitaria.
I quattro maggiori provvedimenti maggiori in materia economica, l’ultimo dei quali è il cosiddetto decreto “Agosto”, hanno permesso di garantire cospicui investimenti e la tenuta del sistema economico, stanziando complessivamente la ragguardevole cifra di 100 miliardi in termini di indebitamento netto. Come sono state ripartite queste somme? 
Lo ricordiamo: 39,5 miliardi a favore delle imprese, grazie a contributi a fondo perduto, alla cancellazione dell’IRAP, alle sospensioni di termini e versamenti fiscali e ad altre agevolazioni fiscali, agli interventi specifici per i settori più colpiti come il turismo.
Altre misure relative al costo del lavoro e al sociale sono stati dedicate a questi settori per circa 34,5 miliardi, con 19 miliardi riservati alla cassa integrazione, 8 miliardi per l’erogazione delle indennità ai lavoratori del settore privato, autonomi e stagionali.
Ancora, 12,5 miliardi sono stati necessari per agli enti territoriali per tutelare gli investimenti, il trasporto pubblico locale e la sanificazione degli ambienti, ancora abbiamo erogato 8 miliardi per il sistema sanitario nazionale e 2,5 miliardi per potenziare i servizi pubblici.
Questi numeri evidenziano come l’azione del Governo abbia attivato una rete di protezione molto articolata nei confronti dell’economia italiana, mettendo a disposizione risorse ingenti.
L’ampiezza di questa azione di sostegno non è stata condivisa da tutti, ma credo fermamente che essa abbia svolto un ruolo cruciale, non soltanto per proteggere il nostro tessuto sociale ma anche per preservare la medesima efficienza produttiva delle imprese, e ritengo che sia stato giusto mantenere in essere queste misure anche dopo la riapertura delle attività economiche e commerciali.
Ognuno poi è libero di valutare autonomamente se questa azione del Governo sia stata soddisfacente o meno ma sarebbe corretto riconoscere che questo Governo è riuscito ad attenuare il pesante impatto economico dell’emergenza con una mobilitazione di risorse e una molteplicità di interventi che non hanno precedenti nella storia repubblicana.
I mesi che ci attendono sono un appuntamento cruciale per il rilancio del Paese, nella prospettiva, su cui anche gli interventi che mi hanno preceduto hanno chiarito, vogliamo una chiara demarcazione rispetto al passato, un mutamento di passo e di prospettiva.
La nostra visione del Paese, abbiamo testa, cuore, energia, determinazione per affermarlo,  è quella di un’Italia in grado di recuperare quella statura di grande potenza economica e industriale raggiunta nella seconda metà del secolo scorso, un’Italia capace di promuovere i meriti di tutti ma di prendersi cura dei bisogni di ciascuno, e che sappia valorizzare, in tutto il mondo, la qualità delle sue produzioni e dei suoi talenti, lavorando costantemente per superare i propri limiti.
Tale visione non può ignorare i profondi mutamenti avvenuti nella società e nell’economia negli ultimi due decenni. Perché il modello di sviluppo sin qui perseguito, fondato sulla promessa che, quanto più si fosse fatto prevalere l’obiettivo della crescita economica rispetto alla tutela della persona, della comunità e dell’ambiente, tanto più benessere avremmo potuto redistribuire nella società è un modello evidentemente che non si è rivelato adeguato. 
La continua instabilità della nostra traiettoria di crescita, segnata da crisi ricorrenti, e l’emergere di nuovi protagonisti globali, come la Cina, hanno reso necessario un cambio di strategia e anche logorato il patto sociale fondato su quell’ipotesi.
Ragioniamo di una nuova società. La nuova società post-Covid, la sostenibilità sociale e ambientale dei processi produttivi non può essere più pensata come un vincolo allo sviluppo, bensì come sua premessa imprescindibile.
Saranno, questi, i temi fondamentali al centro dell’agenda del prossimo G20, che Lei Presidente Bonomi ha ricordato, assieme a questioni cruciali come la tutela del multilateralismo e della cooperazione internazionale, le ripercussioni della Brexit, le tensioni geopolitiche nel Mediterraneo. Sarà questo un appuntamento molto importante per l’Italia che ha l’onore della Presidenza. E vorrei ricordare che l’anno prossimo avremo anche l’onore della co-presidenza di Cop26 quindi anche lì avremo la possibilità di richiamare l’attenzione di tutte le future scelte di Governo in tutte le regioni del pianeta sui bisogni delle donne, dei giovani, sulla necessità di un patto intergenerazionale. 

A cavallo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, la parola “riforme”, lo ricorderete, è stata associata a politiche di austerità, spesso condivise dalle principali istituzioni economiche internazionali, sempre volte a contenere la spesa sociale o ad abbattere le forme di protezione del posto di lavoro.Tali misure hanno avuto un costo sociale enorme e hanno ampliato i divari socio-economici esistenti.

Le riforme di cui abbiamo bisogno oggi, sono quelle che possono permetterci di porre – da un lato – la Pubblica amministrazione nella condizione di riuscire a spendere miliardi di euro in investimenti materiali e immateriali realmente prioritari e strategici e – dall’altro – di rendere l’ambiente normativo del nostro Paese più favorevole alle imprese e agli investimenti privati.

Si tratta di coordinare tutti i livelli istituzionali dello Stato con l’obiettivo di spendere pienamente le risorse stanziate e quelle che verranno, di semplificare il sistema degli appalti pubblici (come già stiamo facendo con le misure contenute nel decreto-legge “Semplificazioni”), di riformare profondamente la giustizia civile e penale e anche quella tributaria, di rendere più attrattivo il quadro normativo del Paese.

Sono, queste, le essenziali riforme “abilitanti”, che faranno parte del nostro Piano di Ripresa e Resilienza. Siamo perfettamente consapevoli che nessun piano di investimenti potrà conseguire i risultati sperati se non saremo in grado di riformare profondamente la Pubblica amministrazione, il nostro quadro normativo e l’intero funzionamento della macchina dello Stato che ha rivelato tutte le sue difficoltà anche in questi mesi, nell’attuazione delle misure che abbiamo predisposto. In modo da beneficiare effettivamente cittadini, imprese ed investimenti.

A tal proposito, completando il ragionamento che lei, presidente Bonomi, ci espose lo scorso giugno in occasione dell’iniziativa “Progettiamo il rilancio”, non siamo affatto convinti, le assicuro, che ci sia uno Stato buono e un privato cattivo. Basta guardarsi attorno in Europa, del resto, per riconoscere come i migliori casi di successo industriale sono frutto di un’interazione collaborativa tra pubblico e privato.

Pensiamo, ad esempio, allo sviluppo della strategia “Industria 4.0” in Germania, un Paese leader mondiale in questo ambito. Quella strategia è nata da un dialogo fitto tra i Ministeri dell’Economia e della Ricerca e imprese come Siemens, Bosch e SAP, con lo scopo di realizzare una pervasiva digitalizzazione del tessuto industriale tedesco. Anche in Italia abbiamo bisogno di  raccogliere le energie migliori, di creare una sinergia, elaborare modelli simili e, laddove esistano già, di valorizzarli al massimo.

Questa è l’occasione quindi per costruire un nuovo patto tra pubblico e privato, senza il quale ogni sforzo del Paese risulterà vano. Un patto fondato sulla fiducia che possa dar luce a un sistema di collaborazione e di co-investimento fra lo Stato e le imprese italiane. Dobbiamo fare affidamento sulle più brillanti realtà impegnate in settori strategici per lo sviluppo sostenibile del Paese. Da questo obiettivo derivano molte delle iniziative e dei progetti che stiamo pensando e che entreranno nel Piano di Ripresa e Resilienza. Il Piano è un progetto per il Paese che non può assumere le caratteristiche di un classico stimolo keynesiano, basato sull’aumento della domanda pubblica per investimenti, proprio in virtù di quelle rigidità strutturali che impediscono una piena e rapida trasformazione delle risorse stanziate in capitale fisico e infrastrutturale, come è testimoniato – dicevo – dalla lentezza nella spesa dei fondi strutturali europei.

È invece un progetto “trasformativo”, in grado di associare a un incremento, certo, della domanda pubblica – in settori cruciali e ad alto impatto sul PIL come la digitalizzazione e la sostenibilità ambientale – una profonda riorganizzazione delle attività istruttorie, di monitoraggio e di controllo della spesa, anche attraverso una piattaforma digitale alla quale tutti i cittadini potranno accedere, in una logica di accountability pubblica per controllare direttamente lo stato di avanzamento delle opere.

Come ho già annunciato, ci doteremo per l’attuazione del nostro Paino di Ripresa avremo di uno strumento normativo ad hoc. Ne abbiamo bisogno, non c’é altra strada. Una struttura normativa dedicata, con norme specifiche, soggetti attuatori dedicati, che ci garantisca un monitoraggio trasparente e tempi di attuazione certi.

Intendiamo innovare e rendere più efficiente la Pubblica Amministrazione, lavorando molto sulla riqualificazione del personale pubblico, mirando a nuove assunzioni, non generiche ma che accrescano la competenza della Pubblica Amministrazione nel campo digitale – penso alle discipline STEM – dobbiamo rafforzare i presìdi di sicurezza informatica, facilitare l’adozione delle nuove tecnologie nelle filiere produttive, tramite un rilancio della strategia “Transizione 4.0”, colmare i divari nelle competenze digitali, garantire piena ed efficace connettività alle imprese e ai cittadini tramite il progetto della rete unica che abbiamo annunciato, potenziare la competitività internazionale delle nostre realtà produttive e commerciali (penso al patto per l’export).

Nell’ambito della transizione ecologica, alla quale il Piano dovrà dedicare almeno – per vincolo europeo – il 37% delle risorse, intendiamo attuare gli obiettivi del Piano Nazionale integrato Energia e Clima, attraverso interventi di innovazione industriale e agricola, di produzione sostenibile di energia, di efficientamento energetico e antisismico. dobbiamo ancora lavorare alla mitigazione dei rischi idrogeologici e per la gestione del ciclo integrato delle acque e dei rifiuti, alla conversione ecologica del trasporto pubblico, alla riqualificazione urbana e del paesaggio.

Un ampio capitolo, poi, lo dedicheremo al potenziamento della didattica, lì dobbiamo investire tanto e bene: nelle scuole di ogni ordine e grado, al rafforzamento della formazione avanzata e alla sua maggiore apertura al mondo produttivo, a un corposo investimento nella ricerca, con una particolare attenzione alle sue applicazioni in filiere innovative.

Non mancano, inoltre, capitoli essenziali come un progetto di riforma del nostro sistema di ammortizzatori sociali e una strategia di valorizzazione dell’intermodalità logistica e di sviluppo del sistema portuale. Sulla struttura del Piano, così come – più in generale – sull’intera strategia di rilancio che il Governo intende porre in essere, il Governo non potrà che aprire le proprie porte ai contributi di tutti i settori produttivi del Paese.

Avremo successo solo se riusciremo a coinvolgere le migliori energie, se questo diventerà effettivamente un Piano nazionale partecipato da tutti in modo da condividere i medesimi obiettivi e agire tutti di conseguenza. Il Paese gioca la partita più importante degli ultimi decenni, che non riguarda solo noi. Ne dobbiamo essere tutti consapevoli. Dobbiamo lavorare per le generazioni future, consapevoli che quanto quelle generazioni potranno realizzare dipenderà inevitabilmente da quello che saremo in grado di costruire noi oggi, di progettare noi oggi, dal terreno che sapremo preparare per loro.

Cresceremo poco e male se non punteremo a superare le diseguaglianze di genere, le diseguaglianze generazionali,quelle territoriali. e vedete, anche la misura del taglio del costo del denaro del 30% delle imprese che sono al Sud è una misura che intendiamo strutturare perché è ricollegata direttamente al gap infrastrutturale e alle differenti condizioni del Sud rispetto al resto d’Italia. È una misura di equità, di equilibrio, che favorirà anche il Nord, che non potrà mai crescere in modo sostenuto se non crescerà insieme al Sud e al resto dell’Italia.

Allo stesso modo, le generazioni future saranno in grado di crescere, avanzare socialmente e tecnologicamente, solo se troveranno il terreno fertile costruito da chi è venuto prima, se potranno reggersi su quello che saremo in grado di preparare per loro. Abbiamo davanti una grande, grandissima sfida. Non abbiamo alternative, dobbiamo vincerla. Lo possiamo fare tutti insieme, solamente tutti insieme.

Grazie.

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