IL TEATRO CATARTICO DELLE ELEZIONI COMUNALI
Lettere lucane
Ho seguito le ultime elezioni amministrative comunali lucane. Ovviamente sono state principalmente un banco di prova della tenuta elettorale di consiglieri regionali e deputati nei propri territori, un modo per dimostrare di esercitare influenza e controllo nei propri collegi. Tuttavia le elezioni comunali sono anche momenti straordinariamente interessanti da un punto di vista sociologico, perché fanno emergere tutte le contraddizioni, le ambizioni e le divisioni di una comunità, tanto che in alcuni paesi abbiamo assistito – ma non è una novità – a vere e proprie guerre per bande. Eppure ogni volta mi chiedo quale sia il nesso tra un simile dispiegamento di energie emotive e un ruolo amministrativo che, di fatto, è depotenziato, perché i comuni sono tutti disastrati e hanno possibilità finanziarie risicate. Un tempo i comuni erano ricchi, e avevano la possibilità di assumere, di realizzare opere pubbliche, di dare risposte concrete alla comunità.
Oggi i sindaci possono fare poco, anche se quotidianamente sono a stretto contatto con i bisogni primari della cittadinanza, assorbendo impotenti lamentele e richieste, bisogni e malumori. E allora mi sono convinto che non si diventa sindaco per fare qualcosa – sì, anche per questo – ma soprattutto per l’orgoglio di rappresentare una comunità, e per il bisogno di entrare in empatia con la parte più profonda della società nella quale si vive. Le elezioni comunali sono momenti in cui una comunità – quasi teatralmente, direi catarticamente – sale sul palcoscenico ed esibisce sentimenti rimasti sotto traccia per anni. Sono, cioè, momenti più psicologici che politici. Infatti è difficilissimo esprimere pareri e opinioni sui risultati elettorali dei piccoli e medi comuni, perché sono il frutto di dinamiche umane “particulari” che bisognerebbe aver vissuto e che quasi sempre c’entrano poco con le ideologie.