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DEGLI ALTRI SAPREMO SEMPRE TROPPO POCO

Lettere lucane

Amo la storia, ma purtroppo della storia non potrò mai sapere ciò che più m’interessa: i dettagli minimi, i gesti più segreti, il suono delle parole, l’odore dei corpi, il rumore “banale” della vita. Del passato sopravvivono tante cose, ma la maggior parte va perduta, tanto che mi sono convinto che lo storico è sempre un sognatore. Io non credo che qualcuno scriverà mai una mia biografia, ma se per qualche strano gioco del destino qualcuno dovesse scriverla – mi auguro di no – quella biografia sarebbe falsa e inattendibile, perché milioni di atti della mia vita – inutili, ordinari, nevrotici, ecc. – non hanno lasciato nessuna traccia, nonostante abbiano segnato la mia mente, il mio corpo, il mio corpo. Ieri per esempio mi ha telefonato mia madre, e per qualche minuto, come spesso accade, abbiamo parlato delle condizioni climatiche, in particolar modo di queste prime piogge settembrine. A un certo punto le ho detto: “Ogni anno ci diciamo sempre le stesse cose: che d’estate fa caldo, che in autunno piove, che in inverno si gela, che in primavera le giornate iniziano a essere belle, ecc.”.

Mia madre ha confermato, e ha usato un modo di dire che è tipico delle nostre zone: “E’ tempo ‘u suo”. Che significa: il tempo fa il tempo che deve fare. Tuttavia ci diciamo sempre le stesse cose, e queste cose sono parte del nostro dialogo, del nostro vocabolario, delle nostre abitudini, però queste chiacchierate sul tempo – per quanto banali, per quanto inutili – non lasciano traccia, non sono registrate da nessuna parte. Ecco perché il lavoro dello storico io lo immagino come quello di un pastore che di milioni di pecore che continuamente fuggono riesce a riportarne nello stazzo appena sei o sette. Del passato del mondo e di noi rimane poca cosa. E quello che sembra banale è proprio l’essenza del nostro sprofondare nel tempo che ci è stato assegnato dal destino.
diconsoli@lecronache.info

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