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SPARA PER UN PARCHEGGIO, CONDANNA CONFERMATA

2 anni e 6 mesi di reclusione per aver tentato di uccidere un uomo a Rapolla

Per «motivi di parcheggio» il 64enne Biagio Brienza aveva deciso che Domenico Marchitiello doveva morire: confermata la condanna a 2 anni e 6 mesi di reclusione per il reato di tentato omicidio aggravato, nonchè minaccia grave e detenzione e porto illegale di arma comune da sparo. La Cassazione nel respingere il ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello di Potenza, emessa nel febbraio del 2019, ha riconosciuto la piena attendibilità della ricostruzione dei fatti espletata dai giudici del capoluogo, inerente a quanto accaduto a Rapolla il 21 ottobre del 2013. Quel giorno la tragedia è stata evitata soltanto grazie al «gesto salvifico» della moglie di Brienza che riuscì, «all’ultimo momento», a spostare l’arma dello «sparatore » deviando così la traiettoria del colpo. Secondo Marchitiello, l’autovettura di Brienza «gli impediva l’accesso ai propri locali ». Di qui il litigio a seguito del quale Brienza, munitosi di un fucile, raggiunse Marchitiello e «giunto a due metri da lui», profferendo le parole «ti uccido, ti uccido», esplose un colpo dopo aver mirato versa la vittima. Il colpo non andò a segno «grazie all’intervento della moglie dello sparatore», e si conficcò nel muro a «a circa un metro dal corpo della vittima». Durante il processo, la stessa moglie aveva spiegato che la reazione del marito era stata determinata dal fatto che lui e lei fosse stati «aggrediti da Marchitiello».

Tra le altre cose, gli inquirenti, al momento della ricerca dell’arma, avevano ricevuto da Brienza la risposta che «l’aveva occultata con l’intenzione di poterla usare nuovamente nel caso di una futura discussione con il medesimo Marchitiello, a conferma del suo reale intento». Più che sull’antefatto, però, tra i temi centrali il dato, per la difesa non dimostrato, che il colpo di fucile fosse stato «effettivamente indirizzato» verso la vittima. Per l’accusa, il fucile era puntato «ad altezza uomo» e di conseguenza avrebbe potuto ferire fatalmente la vittima, anche fino a causarne la morte. Dall’esame dei rilievi fotografici effettuati dai Carabinieri di Melfi, era emerso, verificando i fori provocati dai pallini di piombo derivanti dal colpo esploso, che il muro perimetrale e il canale di scolo, nella parte della facciata dell’abitazione di Marchitiello ubicata fra la porta d’ingresso e il garage, presentavano fori e striature scaturenti dai pallini di piombo, a un’altezza «pienamente compatibile con la versione fornita dal denunciante», in quanto, grazie alla spinta data dalla moglie al marito all’atto dello sparo, «il colpo si era diretto a circa un metro dalla vittima, risultando sotto tale profilo confermato che l’arma era stata puntata ad altezza d’uomo al momento dello sparo». Anche per la Cassazione, lo sparo preannunciato dall’espressa esclamazione relativa all’uccisione, «ti uccido, ti uccido», mediante il direzionamento dell’arma impugnata da Brienza, era finalizzato a «investire in pieno il bersaglio con la rosa dei pallini sprigionata dal colpo di fucile».

Ferdinando Moliterni

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