BasilicataLettere Lucane

L’ULTIMA ESTATE DI MIO NONNO ANGELO

Lettere lucane

L’agosto del 2008 io lo passai interamente a occuparmi di mio nonno Angelo. Aveva 97 anni, e quello fu il suo ultimo mese di vita. Ogni mattina andavo a casa di mia zia Giovannina per stare con lui. Avevamo un modo strano di salutarci. Appena entravo in casa io dicevo: “’A bellezza!”, e lui rispondeva: “Sempre!”. Mi mettevo al sui fianco e, anche se parlava a fatica, gli dicevo parole per mantenere viva la sua memoria, e per non recidere il filo che lo legava a me e a questa terra. Avevamo le nostre parole-chiave. Gli dicevo “Abissinia”, e i suoi occhi si accendevano ricordano la guerra.

Poi gli dicevo “Francia”, e allora pronunciava parole incomprensibili sugli anni che trascorse Oltralpe facendo il boscaiolo. A metà mattinata lo lavavamo. Mio nonno era un uomo massiccio, una quercia. Lo prendevo in braccio nudo e lo tenevo così a lungo, mentre mia zia lo lavava dietro. Era pesantissimo, stava “ a peso morto” come si dice, ma io ero felice di tenerlo tra le mie braccia. Mio nonno era del 1911, e aveva una formazione ottocentesca. Era uno che andava a piedi da Rotonda a Castrovillari per zappare a giornata, ed era uno che dopo l’8 settembre era tornato a piedi in paese da L’Aquila.

Quando morì, aveva il viso sereno, quasi sorridente. Tutto il vicinato veniva per salutarlo, e tutti dicevano la stessa cosa: “Pare ca ride, zu’ Iangelo”. Gli accarezzavano la faccia e lo trattavano con riverenza, perché era un uomo rispettato che aveva vissuto molto. Poi mi accorsi che a turno gli parlavano a bassa voce. Gli dicevano frasi come “abbrazza a mamma mea”, “se ‘u videse dice a papa meo ca stamu bone”. Era un uomo autorevole, e si affidavano a lui per salutare i loro morti e per mandare notizie terrene nell’aldilà. Mio nonno sembrava vivo, e pareva ascoltarli. Non ho mai più sentito così legato il mondo dei vivi con quello dei morti.

diconsoli@lecronache.info

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