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IN BASILICATA NON C’È LA MAFIA, MA LE MAFIE ITALIANE: «TUTTE»

Relazione semestrale Dia. Dall’eolico ai rifiuti, passando per il turismo e la «florida» piazza lucana di spaccio, fino all’edilizia, all’agroalimentare e al settore giochi: criminalità ovunque

La mafia in Basilicata c’è e ha tanti volti quanti quelli delle mafie italiane: «Le attività di contrasto hanno posto in evidenza segnali di presenza nella Regione, in ambiti criminali diversi, di tutte le organizzazioni mafiose italiane, compresa Cosa nostra». È quanto drammaticamente emerge dall’ultima Relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia (Dia) nazionale per il periodo luglio-dicembre 2019. In riferimento a Cosa Nostra, per la Dia,  emblematico il dato che l’Antimafia di Caltanissetta abbia «dato esecuzione a un decreto di sequestro di due terreni con impianti eolici ubicati in provincia di Potenza, rientranti nel patrimonio di un soggetto contiguo al clan Rinzivillo di Gela, articolazione nissena di Cosa nostra». Ma non è tutto. Perchè la Basilicata non è soltanto presa d’assalto dalle mafie made in Italy, ma anche da quelle di provenienza straniera: la mala nigeriana su tutte. Anche in Basilicata tracce di secret cults nigeriani che «sono strutture criminali basate su appartenenza etnica, organizzazione gerarchica, struttura militare, riti di iniziazione e codici comportamentali».

ANALISI DEL FENOMENO LUCANO E PROFILI EVOLUTIVI È quanto mai significativo il dato statistico circa l’andamento in Basilicata delle diverse tipologie di reato, che «vede i delitti di associazione di tipo mafioso in crescita». Gli esiti info-investigativi della Dia confermano il radicamento in entrambe le province lucane, Potenza e Matera, di «sodalizi prevalentemente di tipo clanico e a connotazione familistica, in un equilibrio tutto sommato stabile, tenuto conto della
frammentarietà delle organizzazioni e dell’assenza di un vertice condiviso». Lo scenario lucano è stato definito dalla Dia «complicato» data «la presenza e cointeressenza nel territorio di gruppi criminali di diversa provenienza geografica sia extra-regionale, che straniera, da parte dei quali non si escludono perfino forme di coinvolgimento in condotte delittuose propedeutiche alla realizzazione delle attività estorsive». Il maggior apporto nel locale panorama criminale, inoltre, «si manifesta, peraltro, nel narcotraffico, poiché le cosche calabresi, la camorra e la mafia pugliese, foggiana, andriese, barese e tarantina, continuano a rappresentare per gli storici gruppi criminali locali i maggiori mercati di riferimento per l’approvvigionamento degli stupefacenti da destinare al successivo spaccio nella regione». Tuttavia, «essendo chiaro l’interesse ad alimentare la ormai florida piazza lucana con l’immissione della droga da più fronti, tali associazioni sfruttano anche l’ambizione delle “giovani leve” criminali, che proprio in tale ambito hanno la possibilità di crescere e ritagliarsi spazi di operatività». Così «florida» la piazza lucana, che ormai la produzione di droga avviene in loco. Esemplificativa «l’attività di produzione di sostanze stupefacenti, direttamente nel territorio potentino, da parte di soggetti appartenenti ad un importante locale calabrese». Tra i riferimenti, l’operazione che ha condotto gli investigatori, che indagavano su un calabrese e due marocchini, a scoprire a Venosa, in località “Mattinelle-Santa Lucia”, l’esistenza di un fabbricato, con attrezzature meccaniche e macchine per la lavorazione dello stupefacente, nel quale erano stati prodotti circa complessivi 118 kg. di marijuana. Sui terreni in prossimità della struttura, «sono state individuate sette serre, con 11mila piante di cannabis indica». In Basilicata, inoltre, continuano anche i consistenti sequestri di T.L.E. di contrabbando e di merci con marchi contraffatti, di diversa provenienza e destinazione extraregionale. «In via generale – si apprende dalla relazione della Dia – è, comunque, confermata una predilezione dei sodalizi per le attività di riciclaggio e reinvestimento dei patrimoni illeciti. In particolare, nella fascia costiera del materano, si evidenzia una tendenza al controllo monopolistico delle attività imprenditoriali anche attraverso sistematiche e pressanti attività d’intimidazione». Oltre che citare lo scioglimento del Comune di Scanzano Jonico per infiltrazioni mafiose, per la Dia il fenomeno, «messo emblematicamente in evidenza dagli esiti delle inchieste “Vladimir” e “Centouno”», continua a trovare «un prepotente riscontro nei danneggiamenti, incendi e negli atti intimidatori e di minaccia posti in essere ai danni dei titolari di attività imprenditoriali e commerciali, di aziende agricole e, in molti casi, anche di rappresentanti delle Istituzioni e degli Enti pubblici locali». A tali forme di pressione criminale si associano, inoltre, i frequenti furti di strumenti e macchinari da lavoro, di mezzi agricoli o per movimento terra, di macchine industriali (escavatori, autocarri, ecc.), cui fanno seguito le consuete richieste estorsive, cosiddetto “cavallo di ritorno”. Inoltre, di recente, si stanno diffondendo, in connessione con la particolare vocazione agricola della Regione, i furti di gasolio agricolo. «Come già rilevato per altre realtà criminali, tali fenomeni delinquenziali costituiscono per le mafie le porte d’accesso per infiltrare interi comparti economici, indebolendo l’imprenditoria che opera legalmente, sottraendole mercato e mettendo in definitiva a rischio la stessa qualità dei prodotti e dei servizi. I settori più aggrediti in Basilicata sono l’agroalimentare, le attività commerciali, l’edilizia, gli appalti per le opere pubbliche o private, come nel caso dei cantieri per impianti estrattivi ed eolici, il ciclo dei rifiuti, l’indotto del turismo, tutti settori dell’economia regionale in fase di espansione».

MAFIA E GIOCHI  Come spiegato dagli investigatori della Dia negli ultimi anni si è registrato il segnale di un allargamento delle prospettive della criminalità organizzata, «sempre capace di intercettare i settori potenzialmente più redditizi». Tra questi, «si è imposto il settore dei giochi e delle scommesse, attorno al quale sono andati a polarizzarsi gli interessi di tutte le organizzazioni mafiose, dalla camorra alla ‘ndrangheta, dalla criminalità pugliese a cosa nostra,
in alcuni casi addirittura consorziandosi tra di loro». La Basilicata è tra le regioni in cui «da tempo, le consorterie manifestano un profondo interesse nel business del gioco illegale e delle scommesse». Riscontrato, per esempio, un circuito criminale riferibile ad organizzazioni criminali di matrice ‘ndranghetistica. Come dimostra, per la Dia, l’individuazione di un soggetto vicino alla famiglia Femia, espressione dei Mazzaferro di Marina di Gioiosa Jonica – Reggio Calabria, titolare di una società emergente nel settore della gestione delle slot machine, il quale aveva collocato proprie apparecchiature in diversi locali ricettivi, scalzando di fatto altre società del medesimo settore. Il suo ruolo era quello di
«master» nell’area Puglia, con esclusione delle province di Taranto e Lecce, e in Basilicata, come emerso nell’ambito della operazione “Scommessa”. «Numerosi, in tutta la Basilicata, i sequestri delle attrezzature finalizzate all’esercizio del gioco illecito». Per quanto riguarda la Basilicata, «la considerevole possibilità di arricchimento legata al mondo del gaming attrae anche le organizzazioni criminali lucane, che operano in sinergia con clan mafiosi di altra estrazione regionale, in particolare calabresi e campani». Emblematica, al riguardo, l’operazione “’Ndrangames”, coordinata dalla Dda di Potenza,  sulle «connessioni operative con la ‘ndrangheta crotonese nel settore del gioco illegale e, nel contempo, la propensione della mafia lucana ad una gestione manageriale degli affari illeciti». Le investigazioni «hanno accertato come gli indagati, avvalendosi del metodo mafioso, avessero agevolato la cosca cutrese Grande Aracri e
il clan Martorano-Stefanutti di Potenza nell’illecita raccolta delle scommesse on line, attraverso apparecchiature elettroniche collegate in rete a siti esteri oltre che attraverso videogiochi e apparati elettronici del tipo “new slot” e “totem”, sprovvisti delle necessarie concessioni dei Monopoli di Stato». Nell’ambito dell’attività investigativa è emerso anche come «i contatti fra il clan lucano e la cosca Grande Aracri erano finalizzati a creare sinergie per espandere nel territorio calabrese non solo il business del gioco illegale ma anche quello dell’eolico, oltre che l’attività di recupero crediti che la cosca vantava in Basilicata».  Non meno singolare il ruolo di un avvocato, incensurato, «vera e propria mente del sodalizio criminoso, per quanto attiene alla consulenza legale» e alla ripulitura dei proventi illeciti, quest’ultima garantita anche attraverso utili canali come quello delle attività pubblicitarie. Anche nella provincia di Matera, i molteplici sequestri amministrativi relativi ad apparecchiature (slot-machine) da intrattenimento e o divertimento adibite al gioco d’azzardo «confermano come il fenomeno del gioco illecito sia particolarmente diffuso». A conferma, per la Dia, l’indagine “Scala Reale”, conclusa con l’arresto di due soggetti, ritenuti responsabili dei reati di corruzione, concussione ed induzione, tramite minaccia, al noleggio e all’installazione di apparecchiature da gioco elettroniche. Dal quadro indiziario emergeva un soggetto, titolare di fatto di una società, il quale gestiva le attività di noleggio delle macchinette videopoker e slot machine all’interno di esercizi commerciali, circoli ricreativi e sale giochi delle province di Matera, Bari e Foggia.

Ulteriori approfondimenti in edicola con Cronache Lucane

 

 

Ferdinando Moliterni

3807454583

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