BasilicataLettere Lucane

L’ANGOSCIA DEI CAMERIERI LUCANI STAGIONALI

Lettere lucane

 


Da ragazzo, per mantenermi agli studi, facevo il cameriere. L’ho fatto dal 1992 al 1999. Le stagioni estive le passavo a lavorare nei ristoranti e negli alberghi, principalmente a Maratea. Era un modo per pesare meno sulla mia famiglia, ma era anche un modo per conoscere la vita, le persone, il senso del lavoro e del sacrificio. Oggi ripenso con nostalgia al mio primo lavoro giovanile, ma penso anche con preoccupazione ai tanti giovani che, come me in quegli anni, fanno affidamento sulla stagione estiva per guadagnare qualcosa.

A quanti ragazzi è stato detto che quest’estate il lavoro non ci sarà? Quanti giovani stanno vivendo ore di angoscia perché non sanno se potranno lavorare? Il mio augurio è che nei prossimi giorni la stagione turistica lucana possa rimettersi in movimento, perché senza gli incassi estivi è molto complicato sopravvivere fino all’estate dell’anno prossimo. Ho un figlio di 15 anni, e l’anno prossimo mi piacerebbe facesse il cameriere per qualche mese, perché fare il cameriere t’insegna un sacco di cose.

Anzitutto a mediare all’interno di un gruppo – un cameriere deve andare d’accordo con cuochi, lavapiatti, clienti, proprietari, ecc. – e poi a capire le persone, perché a tavola le persone si rivelano per quello che sono. Fare il cameriere significa stare in un punto di osservazione privilegiato. Giorno dopo giorno s’impara a riconoscere al volo il tracotante, l’amicone, il litigioso, il generoso, il gaudente, lo spartano, l’arrabbiato, l’esigente. È uno straordinario apprendistato alla vita, insomma. Secondo me tutti i giovani dovrebbero fare i camerieri per qualche tempo. Fosse anche solo per imparare ad accettare che ogni cosa che si fa è criticabile, e che, come si dice comunemente, ci sarà sempre “chi la vuole cotta e chi la vuole cruda”.

diconsoli@lecronache.info

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