BasilicataEventi e Cultura

IL TRENO DELLA MORTE, BALVANO 3 MARZO ’44

Il convoglio slittò nella Galleria delle Armi, la stessa tratta è tutt’oggi in funzione

Era il 3 marzo 1944. Il buio, il silenzio, la morte che avviluppa i passeggeri del treno 8017. Avrebbe dovuto percorrere altri sei chilometri per raggiungere la fermata successiva, “Bella-Muro”, ma è restato intrappolato in una delle trentasette gallerie della linea Battipaglia-Potenza, la numero 20, la più lunga del percorso, quasi due chilometri e fatale. Il suo nome è destinato a restare nella storia: “Galleria delle Armi”. Fu qui che per l’effetto combinato di monossido e biossido di carbonio e carenza d’ossigeno, morirono nel sonno o nella veglia, oltre 600 persone. Il convoglio, partito da Napoli e diretto a Potenza, entrò nella galleria poco dopo la stazione di Balvano, per non uscirne mai più. Incominciò a slittare nel tunnel ferrato, lungo 1692 metri, e non riuscì più a procedere: chi vi stava viaggiando morì avvelenato dalle esalazioni delle due locomotive a vapore. La lunghezza eccezionale del convoglio composto da 47 vagoni, per un totale di 479,30 metri, che finì la sua lenta processione a un chilometro e mezzo dall’uscita del tunnel, «si arrese per carico- riportarono le cronache del tempo- massa trainata e pendenza del 14 per mille. Gli uomini che lavoravano sul treno già da molte ore, respiravano ormai da tempo i gas sprigionati dal carbone di non ottima qualità, utilizzato fino al 1943. Il peso delle merci trasportate e l’alto numero di persone salite a bordo, “più o meno regolarmente”, avrebbero dovuto imporre un diverso posizionamento delle due locomotive che, invece, viaggiavano accoppiate alla testa del treno, esercitando la trazione in maniera sbilanciata». All’alba del 3 marzo, il primo macchinista, Espedito Senatore, uomo che con il treno era un tutt’uno, fu ritrovato al suo posto di comando, con il regolatore aperto, nell’estremo tentativo di chiedere alla macchina il massimo sforzo. Aveva fatto appena in tempo a spingere Luigi Ronga, il fuochista, giù dal predellino, dicendogli di mettersi in salvo, e difatti quando arrivarono i primi soccorsi, lo trovarono stordito e accovacciato in una cunetta dove un miracoloso rigagnolo con un rivolo d’acqua, gli fu salvifico.  La “sciagura del treno 8017 si inserisce in una pagina di storia flagellata dalla guerra, spesso per questo accantonata, sepolta da storie più truci. Ma la storia, quando miete vittime, non ha livelli di crudeltà, allora è giusto ricordare. Sempre. Quella galleria umida, buia, poco areata, fu scavata a misura di un treno, quasi un loculo in attesa della morte: tra la locomotiva e le pareti della galleria difatti, correvano solo pochi centimetri, e le carrozze furono altrettanto letali.  Sul “Times” di Londra, si parla di “guasto ad un treno nel centro-sud dell’Italia”, di “Disastro a sud est di Napoli” sulla Gazzetta del Mezzogiorno. La faccenda è liquidata e archiviata . Ancora oggi molti percorrono quella tratta, per studio o lavoro a bordo di un Intercity o Regionale, e le fermate sono le stesse di quel 3 marzo: Picerno, Baragiano, Bella-Muro, Balvano-Ricigliano e poi Eboli, Battipaglia, Salerno. Quella di Balvano fu una strage. Una strage impunita: nessuno venne mai condannato. Morti da dimenticare ma si trattava di anonimi affamati; accatastati sul marciapiede della stazione in attesa che in tutta fretta si scavassero le fosse comun. Da oltre cinque mesi la Basilicata era stata conquistata dagli Alleati, che continuavano l’avanzata verso nord. Per alcune zone, in quei giorni confusi, era difficile garantire l’approvvigionamento di viveri sul posto; per cui, come succedeva nel Napoletano, ogni giorno centinaia di persone partivano verso la Basilicata, dove il raccolto offriva farina e prodotti alimentari non disponibili altrove. Una sorta di “baratto” in cui i contadini lucani cedevano generi alimentari ricevendo in cambio vestiario, posate, lenzuola, coperte. L’unico mezzo per arrivare sul posto era il treno: essendo scarso il traffico viaggiatori, gli affamati si riversavano sui treni merci. Anche per questi motivi, quella tragica notte viene spesso ricordata come “la strage degli affamati”.

 

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