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QUANDO HEMINGWAY MANGIÒ GLI STRASCINATI LUCANI

I “Fernanda e gli Elefanti bianchi di Hemingway” di Raffaele Nigro è un romanzo suggestivo da leggere

di Leonardo Pisani
Volpi se ne vedono spesso, soprattutto la notte, se si è fortunati anche qualche gatto selvaggio o donnola, semmai un lupo è capitato a qualcuno. Lontre anche dove il Basento o il Bradano ha ancora acque pulite. Il quadrupede più grande rimane il cinghiale, ce ne sono troppi e sono anche pericolosi ormai, razza ibrida e non più locale, enorme. Ma un tempo qui in Lucania giravano anche orsi, si sa , linci, e di certo rinoceronti ed elefanti. Ebbene sì, rinoceronti e quei mastodontici esseri con la proboscide . Non ci credete, basta andare nel Parco Paleontologico di Notarchirico a Venosa e fare un tuffo nel passato, sino a 359.000 anni fa, quando viveva l’uomo herectus.  Ci sono anche resti di tartarughe preistoriche, ma che esistettero fino agli anni 50 mammuth in Basilicta, nessuno lo sapeva, tranne uno scrittore americano in profumo di Nobel e qualche voce sussurrata in qualche sperduto borgo lucano. Un romanzo quello di Raffaele Nigro, che narra la Basilicata, con delicatezza, fantasia e ironia utilizzando il cacciatore Ernest Hemingway “Un purgatorio?” rispose l’americano riferendosi a quella misteriosa Lucania dove era andato attratto da una leggenda locale: vi esistevano Mammuth Bianchi, animali preistorici che ogni tanto i pastori vedevano. Erano apparsi in vari posti ad Atella, nella foresta di Gallipoli Cognato, forse nella Val d’agri; chi diceva che erano bianchi, chi invece di color marrone, alcuni sostenevano che erano carnivori altri vegetariani; forse aggressivi forse pacifici. «In questa natura ed in questo posto? Con tutte le cose che mi avete raccontato? Qui non c’è bisogno di uno scrittore che inventi, qui basta che qualcuno accosti l’orecchio alla terra e catturi il respiro che sale dalle viscere. Le storie sono già belle ed inventate». Era il 1955 o forse 56; quel viaggiatore e scrittore americano, sopravvissuto a qualche incidente aereo; nonostante fosse acciaccato volle visitare quella strana terra dove non era mai stato; attratto dal racconto della sua amica Fernanda; da poco aveva vinto il Nobel con Il Vecchio e il Mare; aveva visitato mezzo mondo, fatto guerre eppure fu colpito da quella regione dove sembrava che il tempo si fosse fermato; accarezzò anche l’idea lui famoso ma ormai malandato di fermarsi lì dove «Da quando siamo partiti non fate che raccontare storie pigliate di qua e di là. Ma cosa è questo, il paese delle mille ed una notte? Uno chiude gli occhi, penetra con la mano una crepa della terra e quando la tira stringe un manciata di storie». Così descrisse la Basilicata Ernest Hemingway in questo ipotetico viaggio; una frase straordinaria che mi ha colpito; avevano ragione quando me ne parlarono. Mi dissero : «Ma sai che Hemingway venne da noi, anche ad Avigliano»; non lo sapevo, dissi impossibile e non avevo letto il libro di Raffaele Nigro “Fernanda e gli Elefanti bianchi di Hemingway; un racconto suggestivo che narra e descrive la Lucania in modo affascinate, inusuale,onirico partendo dai ricordi di Fernanda Pivano che accompagnò il grande “Papa” qui da noi. Spesso si dice che si è narrato troppo di Basilicata e sempre con gli stessi stereotipi; invito a leggere questo racconto di Nigro; di stereotipi nessuno; di poesia molta seppur poesia in prosa di fatti veritieri. L’arrivo a Potenza, città di estrema provincia dll’estremo sud non attrezzata per i turisti; all’epoca la letteratura contava e l’ospite era un mito vivente; Ernest fu portato in una vecchia osteria del centro dove mangiò cibi mai assaggiati: strascinati con ricotta salata e peperoni secchi e fritti che si chiamavano cruschi; poi della pecora cotta in un coccio con la verza; ebbene sì “lu cutturiedde”.
Poi la nottata ad Avigliano in compagnia di Mario Trufelli e di Vito “Tuccino” Riviello che lesse la mano a Fernanda Pivano in rima baciata; mentre alcuni aviglianesi suonavana con organetti e tammurr; cantando canzoni tradizionali e ballando la tarantella assieme a donne in costume. Pivano ricorda a Nigro che sia lei che Hemingway rimasero colpiti che nella nostra terra si mescolassero l’estrema “luttuosità” e la voglia di far esplodere la vita, esorcizzando la sfortuna con la musica, i banchetti ed il ritmo sfrenato. Fecero l’alba, erano in una “massaria” tra Potenza e Lagopesole, simpatico il siparietto tra Tuccino Riviello e l’americano, quando gli raccontò dei briganti e della rivolta dei contadini. Hemingway si appassionò e chiese a Riviello. “Contadini che combattevano per farsi liberi?” Il satirico Vito rispose “Contadini che non sapevano manco loro perché combattessero. Combattevano contro tutti e pigliavano mazzate da tutti” . Bandoleros impazziti; disse e rise l’americano; «no bandoleros affamati e presi a tradimento da tutti gli altri», gli fecero notare. Un viaggio in una Lucania senza tempo ma piena di storie di fantasmi, dove non c’erano strade anzi all’americano ricordava l’Africa ma ne fu ancor più affascinato; le dolomiti lucane, il pernottamento a Castelmezzano, la visita a Tolve e a Tursi, le bevute d’acqua nel Basento, le nuotate nel fiume Agri, la visita a Montemurro e la battuta di caccia in Val d’Agri; dove un romanzato Hemingway ha creduto di sparare a un mammuth, o a una tigre ma con un altro finale poi ma che non svelo; bisogna leggerlo. La mia non è una analisi del testo ne una recensione, ma solo un invito a leggerlo; ne sono rimasto affascinato; si legge velocemente grazie alla maestria di Raffaele Nigro ma si fa rileggere volentieri, perché ogni volta vi è un nuovo particolare che fa riflettere. Una storia vera, che è anche un romanzo d’amore ed un diario di una Basilicata che non c’è più, ma della quale ancora esistono storie da raccontare; Hemingway si porto anche dei manoscritti medioevali avuti in regalo da un frate di Castelmezzano, se li face tradurre dal latino e quando li ascoltò ormai sempre più malato ebbe un sollievo; così confidò alla Pivano. Forse il ricordo di un amore che ebbe in Basilicata o forse perché lui grande narratore del novecento, che aveva cercato i furori nella cronache delle guerre, nelle passioni di tanti continenti ma sempre a lui contemporanei scoprì ormai alla fine della sua vita le passioni delle storie di un tempo senza tempo, scoperte in una terra magica chiamata Lucania. Poi Hemingway non è mai arrivato nella terra dei cruschi, del pino loricato e delle Tavole Palatine, pazienza ma quel libro narra di una Lucania delicata e magica, è da leggere e sognare che il “Vecchio” non pescava al mare, ma forse nel Pertusillo, un tempo azzurro come il cielo della Lucania antica.

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