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LA STORIA DI CHICO FORTI, NE ABBIAMO PARLATO CON LA CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: CASO CHIARO E CHIUSO DA 20 ANNI

La risposta è nel testo dell’articolo: “la sentenza si è rivelata impossibile da scardinare con gli strumenti della giurisprudenza”, sa perché? Perché il processo a Forti non è stato viziato da alcuna irregolarità. Chico Forti è stato condannato al carcere a vita per un omicidio da lui commesso. Il caso è chiaro e chiuso da 20 anni.

CHICO FORTI
LA STORIA DI CHICO FORTI : CASO CHIARO E CHIUSO DA 20 ANNI
Intorno alle ore 16.00 di giovedì 15 giugno 2000, Enrico Forti, detto Chico, un ex campione italiano di windsurf, è stato condannato al carcere a vita per l’omicidio di Dale Pike, 43 anni, figlio di Anthony Pike, proprietario del famoso Pike Hotel di Ibiza, che Chico stava cercando di acquisire. Ne abbiamo parlato con la criminologa Ursula Franco.
Dottoressa URSULA FRANCO

– Dottoressa Franco, chi è Chico Forti?

Chico Forti è un omicida che è stato condannato al carcere a vita in USA.

– Dottoressa Franco può riassumerci i fatti relativi all’omicidio da lui commesso?

Intorno alle 18.00 del 16 febbraio 1998, un surfista, tale David Suchinsky, ha ritrovato il cadavere di Dale Pike sulla spiaggia di Sewer Beach, Key Biscayne. Dale Pike era stato ucciso, con due colpi d’arma da fuoco alla testa, la sera prima, il 15 febbraio 1998, poco dopo il suo arrivo a Miami; l’omicida ne aveva poi denudato il corpo senza vita per spostare l’attenzione su una pista omosessuale. Pista subito esclusa dagli investigatori, posto che il luogo del ritrovamento del corpo non era un luogo d’incontro di omosessuali, ma un noto spot per surfisti. Riguardo a questa messinscena, solo un conoscente della vittima avrebbe avuto interesse a far passare l’omicidio per un delitto maturato in un contesto omosessuale, non un sicario, né tantomeno un assassino occasionale. L’omicidio è stato commesso con una cal.22, una pistola dello stesso calibro della pistola che Chico aveva pagato con la sua carta di credito ma che aveva fatto intestare ad un amico, il tedesco Thomas Heinz Knott, pistola che non è mai stata ritrovata. Il 18 e il 19 febbraio 1998, Chico Forti, è stato interrogato dagli inquirenti come persona informata sui fatti ed ha sostenuto, mentendo, di essere andato in Aeroporto in quanto aveva un appuntamento con Dale, ma di non averlo incontrato. Il 20 febbraio, messo di fronte all’evidenza (Chico, il 15 febbraio, giorno dell’omicidio, alle 19.16, aveva telefonato a sua moglie proprio da Key Biscayne, zona del ritrovamento del cadavere) Forti ha ritrattato e raccontato di aver raccolto Pike in Aeroporto alle 18.15 e di averlo lasciato, 25 minuti dopo, nel parcheggio del Rusty Pelican, un locale non distante da Sewer Beach. Enrico Forti ha anche riferito che Dale Pike aveva effettuato una telefonata da una stazione di servizio, che lo stesso sarebbe dovuto andare ad un party e che erano rimasti d’accordo che si sarebbero incontrati tre giorni dopo, all’arrivo a Miami del padre di Dale, Anthony Pike.

– Forti continua a sostenere di aver mentito inizialmente agli investigatori per paura, lei che ne pensa?

Forti mentì agli investigatori perché aveva ucciso lui Dale Pike. Peraltro, Chico Forti non mentì solo alla polizia, ma in una telefonata, quella delle 19:16 intercorsa tra lui e la moglie la sera dell’omicidio, Forti riferì alla donna di non aver incontrato la vittima in Aeroporto e in seguito, prima di raccontare questa stessa menzogna agli inquirenti, la raccontò sia al suo avvocato, che al padre di Dale, che a Thomas Knott. La circostanza che, già alle 19:16 del 15 febbraio 1998, Chico Forti negasse con la moglie di aver incontrato Dale Pike in Aeroporto ci permette di inferire senza ombra di dubbio che già a quell’ora Chico aveva ucciso Dale e che, proprio per questo motivo, da quel momento negò a tutti i suoi interlocutori di averlo incontrato.
Dale Pike

– Perché Chico uccise Dale Pike?

Perché Chico Forti stava cercando di truffare Anthony Pike, padre di Dale. Forti voleva appropriarsi del Pike Hotel di Ibiza, noto hotel fondato da Anthony Pike verso la fine degli anni 70. Il giovane Pike aveva capito che stava succedendo qualcosa di poco chiaro e, proprio per questo motivo, si era recato a Miami per parlare con Forti.

– Lei si è sempre detta convinta che ad uccidere Pike sia stato materialmente Chico Forti, perché?

Se Forti avesse avuto dei complici non avrebbe consentito ai sicari di usare un’arma dello stesso calibro della sua, né sarebbe arrivato in ritardo all’aeroporto di Fort Lauderdale dove aveva appuntamento con il suocero, un ritardo che permette di attribuire personalmente a Chico l’omicidio di Dale. Tra l’altro, Forti non fece i nomi dei suoi fantomatici complici in cambio di una condanna più benevola proprio perché complici non ve ne erano.

– Dale Pike fece o no una telefonata dalla stazione di servizio?

Della fantomatica telefonata di Dale Pike, riferita agli investigatori da Forti, non vi è traccia; viene da chiedersi perché, avendo fretta di andare a Fort Lauderdale a prendere il suocero, che doveva arrivare alle 19.00, Chico non avesse prestato il proprio cellulare a Dale per fare quella telefonata, la risposta è semplice: Dale, che doveva pernottare da Forti, non fece alcuna telefonata.

– E della scheda telefonica ritrovata vicino al cadavere di Pike, che può dirci?

La scheda telefonica ritrovata accanto al cadavere di Dale Pike era stata usata per fare tre telefonate, due ad un numero simile a quello di Chico e la terza al suo numero esatto (alla chiamata Chico Forti non aveva risposto). E’ facile inferire che la scheda appartenesse a Dale e che lo stesso avesse tentato di contattare Enrico Forti una volta atterrato a Miami, le telefonate infatti vennero fatte intorno alle 17.15, ovvero 45 minuti dopo l’atterraggio dell’aereo di Pike (da “La vera storia di Enrico Chico Forti” di Claudio Giusti). Si sappia che su quella scheda telefonica non vi è traccia di telefonate ad altri numeri se non a quello di Chico, tantomeno della fantomatica telefonata che, secondo Enrico Forti, Dale avrebbe fatto dalla stazione di servizio.

– Chi difende Forti dice che non c’è un movente in quanto Chico è stato assolto dall’accusa di truffa nei confronti di Anthony Pike.

Non è vero che Chico Forti è stato assolto dall’accusa di truffa nei confronti di Anthony Pike, nel caso Forti è stata semplicemente applicata la Felony Murder Rule, che prevede la sospensione di un capo di imputazione, in questo caso la truffa, perché movente dell’omicidio. Vi invito a leggere in merito “La vera storia di Enrico Chico Forti” di Claudio Giusti. Peraltro, l’ultima truffa di Forti è stata quella di dare a bere a molti italiani di non aver ucciso Dale Pike.

– Secondo Chico Forti, Anthony Pike e Thomas Knott stavano cercando di truffarlo rifilandogli un hotel senza valore.

Se fosse vero che Anthony Pike e Thomas Knott stavano cercando di appropriarsi del denaro di Forti, nessuno dei due avrebbe avuto ragione di uccidere Dale per far attribuirne a Chico Forti l’omicidio ed incastrarlo.

– Coloro che difendono Chico Forti, in specie l’amico Roberto Fodde, un avvocato che vive a Miami, sostengono che la polizia di Miami lo abbia “incastrato” per il servizio da lui realizzato sulla morte di Andrew Philip Cunanan, una specie di documentario durante il quale Forti mette in dubbio la versione della polizia di Miami Beach riguardo al suicidio di Cunanan, che può dirci in merito?

Non è stata la polizia di Miami Beach ad occuparsi dell’omicidio di Dale Pike ma quella di Miami. Invece, riguardo al suicidio dello spree killer Andrew Philip Cunanan, all’epoca uno degli uomini più ricercati d’America, quelle sulla sua morte sono semplicemente dietrologie, infatti, il suicidio, messo in atto dopo aver portato a termine una serie di omicidi programmati, è un classico tra gli spree killer e la pistola con cui Cunanan si suicidò e che la polizia gli trovò in mano, è la stessa Taurus cal. 40 che aveva colpito a morte Gianni Versace.

– Ma com’è possibile che in tanti si siano convinti dell’innocenza di Forti?

Non è difficile manipolare la mente degli incompetenti attraverso i Media, lo sanno bene gli “opinionisti” e i conduttori dei tv show spazzatura che da anni tentano di riscrivere i fatti relativi ai casi giudiziari di cui si occupano, non senza costi aggiuntivi per i poveri contribuenti, già oltremodo vessati. La lista delle sciocchezze dette su questo caso è lunga.

– Le sue analisi delle interviste rilasciate da Chico lo inchiodano alle sue responsabilità, che cosa emerge?

Chico Forti non ha mai negato in modo credibile di aver ucciso Pike, neanche durante la recente intervista rilasciata ad Erin Moriarty di “48 Hours”. Peraltro, se Chico avesse commissionato l’omicidio sarebbe stato capace di dire “io non ho ucciso Dale”, perché non sarebbe stato lui a sparare. Chico si è spesso detto innocente, dirsi innocente, però, non equivale a negare l’azione omicidiaria.
Durante un’intervista, Chico Forti ha mostrato di stimare Thomas Knott per le sue capacità e ha definito Tony Pike una “gallina dalle uova d’oro”. Affermazioni particolarmente utili per delineare la personalità di Forti; non è solo la mancanza di disprezzo per le attività illegali di Knott a colpire, ma anche l’assenza di rabbia nei suoi confronti. Chico Forti non ce l’ha con Knott, perché evidentemente mente quando sostiene di credere che sia stato lui ad incastrarlo. Il fatto che abbia definito Tony Pike una “gallina dalle uova d’oro”, ci conferma che era Chico a voler truffare Pike. In un’intervista del 4 novembre 2004 dal carcere, Forti ha detto: “Le prove create. La sabbia è una finzione. La mia macchina è stata smontata letteralmente in se… oltre settecento pezzi, è stata tenuta nel deposito della polizia, analizzata da esperti in ogni millimetro, in ogni area, dalla parte sottostante dell’interno alla parte esterna, le gomme, gli ammortizzatori, non hanno trovato nessun tipo di connessione con la spiaggia del morto, due o tre mesi dopo, il giorno prima che devono rilasciarmi la macchina decidono di prendere e guidare la mia macchina… su una spiaggia identica, di composizione identica alla spiaggia dove è stato trovato il morto, smontare dalla macchina e decidere, di punto in bianco, di guardare all’interno del gancio di traino, tolgono l’interno del gancio di traino e trovano tracce solamente della spiaggia del morto, non delle altre spiagge dove io ho guidato con la macchina dopo… il… il 15 di febbraio”.
Erin Moriarty e Chico Forti
Enrico Forti ha evitato di chiamare per nome la vittima, lo ha definito semplicemente “il morto”, lo ha fatto per prenderne le distanze. Non solo Chico ha preso le distanze dalla vittima, ma anche dai fatti, evitando accuratamente ogni riferimento all’omicidio. L’’ultima frase di questo stralcio è incriminante: “non delle altre spiagge dove io ho guidato con la macchina dopo… il… il 15 di febbraio”, “dopo” è una parola chiave, è con quel “dopo” che Chico si tradisce e rivela di essere stato a Sewer Beach il giorno dell’omicidio. Quel “dopo” è un’indicazione temporale precisa. E’ irrilevante sapere che cosa stesse per dire Chico Forti prima di interrompersi ed aggiustare la mira, anche se con tutta probabilità stava per dire “non delle altre spiagge dove io ho guidato con la macchina dopo l’omicidio”, ciò che lo inchioda è il fatto che ci confermi di essere stato a Sewer Beach il 15 febbraio, giorno dell’omicidio, un’ammissione involontaria (Embedded Admission), una pietra tombale.

– Cosa la irrita di più in questo caso?

Il tentativo più o meno velato di attribuire l’omicidio a Thomas Heinz Knott, si tratta di una calunnia bella e buona. Non è vero che Chico Forti si rifiutò di collaborare con i detectives di Miami riguardo alla posizione dell’ex amico Thomas Knott, Chico, già dal primo interrogatorio, cercò di spostare l’attenzione su Knott, che aveva precedenti per truffa, ma nulla permise di collegarlo all’omicidio di Dale, perché evidentemente Thomas Knott era estraneo ai fatti.

– Sul quotidiano “L’Adige” , qualche giorno fa, si leggeva: “Vent’anni dopo non ha più importanza se Chico sia innocente o colpevole; se il processo sia stato viziato da molte irregolarità sul piano del diritto o se il verdetto di colpevolezza debba essere rispettato perché espressione unanime della giuria popolare. Oggi ci confrontiamo con la tragedia umana di un padre che dopo tanti anni in cella non può neppure sperare in un permesso per abbracciare i suoi figli, che erano bambini quando tutto cominciò e ora sono adulti. L’unica cosa che conta è portare via Chico dalle paludi della Florida, lontano da una sentenza che si è rivelata impossibile da scardinare con gli strumenti della giurisprudenza. Ora più che mai è il momento della diplomazia, dei governi. Dopo tanti anni trascorsi dietro alle sbarre ad urlare la propria innocenza nella speranza che la giustizia trionfi, come succede solo nei telefilm americani, anche Chico è d’accordo. Chiede ai vertici delle istituzioni italiane – al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al premier Giuseppe Conte – di percorrere una strada nuova: uno scambio di prigionieri. Enrico Forti in cambio di un detenuto a stelle e strisce. Non è facile, ma vale la pena provarci”, dottoressa, che cosa ne pesa?

La risposta è nel testo dell’articolo: “la sentenza si è rivelata impossibile da scardinare con gli strumenti della giurisprudenza”, sa perché? Perché il processo a Forti non è stato viziato da alcuna irregolarità. Chico Forti è stato condannato al carcere a vita per un omicidio da lui commesso. Il caso è chiaro e chiuso da 20 anni.
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