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Cos’è l’ergastolo ostativo? Ergastolo Ostativo Consulta: “È incostituzionale. Permessi anche a chi non collabora con la giustizia”

Nostro desiderio è quello di vedere cancellato dalla nostra “posizione giuridica” quel “fine pena MAI” per essere sostituito da un “fine pena CERTO”. Solo in questo modo una società civile e uno Stato di diritto potrebbero garantire quella seconda possibilità che ogni persona merita.

 

Cos’è l’ergastolo ostativo?
CONSULTA
CORTE COSTITUZIONALE

Lettera al professor Sergio Moccia, dell’Università di Napoli

Gent. Prof. Moccia,

siamo un gruppo di ergastolani ostativi che hanno dato vita ad una campagna per sensibilizzare la Chiesa, la società civile, il Governo, il mondo politico nel suo insieme, aprendo un dibattito culturale sull’abolizione della pena dell’ergastolo, tenendo conto del valore del “tempo” e del precetto marchiato nell’art. 27 della Costituzione

Nostro desiderio è quello di vedere cancellato dalla nostra “posizione giuridica” quel “fine pena MAI” per essere sostituito da un “fine pena CERTO”. Solo in questo modo una società civile e uno Stato di diritto potrebbero garantire quella seconda possibilità che ogni persona merita.

Un carcerato che rimane detenuto per 20, 30 o più anni, non può essere mai lo stesso di quando fu arrestato. Per tali ragioni stiamo raccogliendo quanti più consensi possibili nel sito Internet:

http://www.carmelomusumeci.com/index.php

Le chiediamo, laddove condivida anche Lei la nostra iniziativa, di aderire cliccando “Firma contro l’ergastolo” e compilando il modulo.

Come può notare dal sito hanno già aderito alla nostra iniziativa noti personaggi e autorità del mondo politico, ecclesiastico, culturale, accademico e dello spettacolo.

Elenco firmatari:

http://www.carmelomusumeci.com/pg.lista.appello.php

“Primi firmatari” + 28.000 firme di “gente comune”. Tra i “primi firmatari”: Don Luigi Ciotti, Agnese Moro, Margherita Hack, Umberto Veronesi, Stefano Rodotà ecc ecc.)

Ci siamo attivati per un’iniziativa seria e responsabile, quindi non è la “solita” iniziativa “isolata” dentro mura di ferro e cemento.

Un paese come l’Italia non può farsi promotore di moratorie contro la pena di morte solo per una questione di immagine civile e democratica, quando, per contro, nel proprio ordinamento giuridico vi è normativizzata una pena come l’ergastolo ostativo.

Le saremmo grati se volesse dar voce a tale iniziativa.

Nel ringraziarla, La salutiamo molto cordialmente.

Per gli ergastolani in lotta per la vita,

Carmelo Musumeci

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Cos’è l’ergastolo ostativo?
È una pena senza fine che, in base all’#art4bis dell’#OrdinamentoPenitenziario modificato dalla legge #356del1992 nega ogni misura alternativa al carcere e ogni beneficio penitenziario a chi sia stato condannato per reati associativi:

“Pochi sanno che i tipi di ergastolo sono due: quello normale, che manca di umanità, proporzionalità, legalità, eguaglianza ed educatività, ma ti lascia almeno uno spiraglio;
poi c’è quello ostativo, che ti condanna a morte facendoti restare vivo, senza nessuna speranza.

Per meglio comprendere la questione bisogna avere presente la legge 356/92,che introduce nel sistema di esecuzione delle pene detentive una sorta di doppio binario, nel senso che, per taluni delitti, ritenuti di particolare allarme sociale, il legislatore ha previsto un regime speciale che si risolve nell’escludere dal trattamento extramurario i condannati, a meno che questi collaborino con la giustizia: per questo motivo molti ergastolani non possono godere di alcun beneficio penitenziario e di fatto sono condannati a morire in carcere.

L’ergastolano del passato, pur sottoposto alla tortura dell’incertezza, ha sempre avuto una speranza di non morire in carcere, ora nemmeno questa possibilità esiste più.

Dal 1992 nasce l’ergastolo ostativo, ritorna la pena perpetua, o meglio la pena di morte viva.”

Insomma l’ergastolo ostativo è stare in carcere per tutta la vita, è una pena che viene data a chi abbia fatto parte di un’associazione a delinquere o che abbia concorso a vario titolo in un omicidio, dall’esecutore materiale all’ultimo favoreggiatore. Non è invece previsto l’ergastolo ostativo per gli stupratori, i pedofili e tutti coloro che abbiano fatto violenza ad una persona fino ad ucciderla. Ostativo vuol dire che è negato ogni beneficio penitenziario: permessi premio, semilibertà, liberazione condizionale, a meno che non si collabori con la giustizia per l’arresto di altre persone.

Chi invece non collabora, per paura di vendette omicide contro la propria famiglia, per non mettere un’altra persona in carcere al proprio posto o perché non è in grado di dimostrare che non può aggiungere altro a quanto già emerso sull’associazione di cui ha fatto parte, chi si trova in queste condizioni viene condannato a restare per tutti i giorni della propria vita in carcere.

Si continua a parlare di “pentiti”, mentre in realtà si dovrebbero chiamare semplicemente “collaboratori di giustizia”, perché è evidente che la collaborazione è una scelta processuale, mentre il pentimento è uno stato interiore.
La collaborazione permette di uscire dal carcere, ma non prova affatto il pentimento interiore della persona. In realtà sono gli anni di carcere, nella riflessione e nella sofferenza, che portano ad una revisione interiore sugli errori del passato. Tutto questo, nonostante un sistema carcerario che abbandona i detenuti a se stessi e che non agevola affatto la rieducazione e, nel caso degli ergastolani ostativi, esclude completamente ogni speranza di reinserimento sociale.*

Noi incontriamo ogni settimana decine e decine di persone condannate all’ergastolo, senza speranza, ostative ai benefici penitenziari, persone che sono in carcere dal 1979, ragazzi di 40 anni che sono stati condannati all’ergastolo a 18 anni e che non sono mai usciti, neanche per il funerale del padre. Ragazzi che hanno vissuto più tempo della loro vita in carcere che fuori.

In Italia ci sono più di 100 ergastolani che hanno alle spalle più di 26 anni di detenzione, il limite previsto per accedere alla libertà condizionale. La metà di questi 100 ha addirittura superato i trent’anni di detenzione.

Al 31 dicembre 2010 gli ergastolani in Italia erano 1.512: quadruplicati negli ultimi sedici anni, mentre la popolazione “comune” detenuta è “solamente” raddoppiata

Al 31 dicembre 2010 i detenuti presenti nelle carcere italiani erano 67.961 e quelli in semilibertà poco più di 900 e di questi solo 29 sono ergastolani. 29 su 1.512, a fronte di quasi 100 in detenzione da oltre 26 anni: come si può sostenere che non esista in Italia la certezza della pena?

Paolo Canevelli, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia ha rilasciato questa dichiarazione:

(…) Per finire, e qui mi allaccio ai progetti di riforma del Codice penale, non so se i tempi sono maturi, ma anche una riflessione sull’ergastolo forse bisognerà pure farla, perché l’ergastolo, è vero che ha all’interno dell’Ordinamento dei correttivi possibili, con le misure come la liberazione condizionale e altro, ma ci sono moltissimi detenuti oggi in Italia che prendono l’ergastolo, tutti per reati ostativi, e sono praticamente persone condannate a morire in carcere.
Anche su questo, forse, una qualche iniziativa cauta di apertura credo che vada presa, perché non possiamo, in un sistema costituzionale che prevede la rieducazione, che prevede il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, lasciare questa pena perpetua, che per certe categorie di autori di reato è assolutamente certa, nel senso che non ci sono spazi possibili per diverse vie di uscita.
(Roma 28 maggio 2010, intervento al Convegno Carceri 2010: il limite penale ed il senso di umanità).

Aldo Moro nelle sue lezione universitarie avvertiva gli studenti, ma forse anche il legislatore e i politici:

«Ricordatevi che la pena non è la passionale e smodata vendetta dei privati: è la risposta calibrata dell’ordinamento giuridico e, quindi, ha tutta la misura propria degli interventi del potere sociale, che non possono abbandonarsi ad istinti di reazione e di vendetta, ma devono essere pacatamente commisurati alla necessità, rigorosamente alla necessità, di dare al reato una risposta quale si esprime in una pena giusta»

*Dall’introduzione di Angelini Giuseppe e Bizzotto Nadia, Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII, al libro “Gli Uomini Ombra” di Carmelo Musumeci- Ed. Gabrielli 2010

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Ergastolo Ostativo
CONSULTA
CORTE COSTITUZIONALE
Consulta: “È incostituzionale. Permessi anche a chi non collabora con la giustizia”

La decisione arriva a due settimane dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo che hanno considerato l’ergastolo ostativo come una violazione l’articolo 3 della Convenzione Europea sui Diritti umani

Può un ergastolano avere benefici carcerari senza prima collaborare con la magistratura?

Si, può.

Può avere sconti di pena, lavorare fuori dal carcere, senza raccontare chi sono i complici dei suoi delitti?
Sì, può farlo. In caso contrario si violerebbe la Costituzione.

La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ergastolo ostativo.
Dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, anche i giudici italiani bocciano l’articolo 4 bis, comma 1 dell’Ordinamento penitenziario.
Una decisione storica che va a colpire duramente la lotta antimafia nel nostro Paese: come già nelle scorse settimane, festeggiano mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti che d’ora in poi potranno ricorrere contro il 4bis

Si legge nella nota ufficiale

“La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo“

In questo caso, pronunciandosi nei limiti della richiesta dei giudici che hanno sollevato la questione, la Corte ha quindi sottratto la concessione del solo permesso premio alla generale applicazione del meccanismo “ostativo”

{secondo cui i condannati per i reati previsti dall’articolo 4 bis che dopo la condanna non collaborano con la giustizia non possono accedere ai benefici previsti dall’Ordinamento penitenziario per la generalità dei detenuti}

In virtù della pronuncia della Corte, la presunzione di “pericolosità sociale” del detenuto non collaborante non è più assoluta ma diventa relativa e quindi può essere superata dal magistrato di sorveglianza, la cui valutazione caso per caso deve basarsi sulle relazioni del carcere nonché sulle informazioni e i pareri di varie autorità, dalla Procura antimafia o antiterrorismo al competente Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica.

Di cosa parliamo quando diciamo “ergastolo ostativo”
– L’ergastolo ostativo è quello disciplinato dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario: prevede che i benefici carcerari possano “essere concessi anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata”

Insomma: basta manifestare l’intenzione di cambiare vita per ottenere permessi premio, anche senza fornire informazioni inedite o utili alle indagini. A questa forma di ergastolo duro sono sottoposti poco più di 900 detenuti: sono soprattutto mafiosi e terroristi. L’ergastolo ostativo, come ha ricordato il relatore, il giudice costituzionale Nicolò Zanon, venne introdotto all’indomani della strage di Capaci.

Ha spiegato Zanon

“La richiesta di usufruire del permesso premio viene rigettata con la motivazione che così facendo si negherebbe la condizione di pericolosità sociale, per i legami intrattenuti con la sua associazione mafiosa, dall’ergastolano che non collabora con la giustizia. Chi si oppone alla normativa obietta invece che la mancata collaborazione non presuppone di per sé il mantenimento del legame con il clan, in quanto potrebbe derivare da altri fattori, come la paura per la sua incolumità o per quella dei suoi familiari oppure la volontà di non accusare membri della propria famiglia”

Avvocatura: “Non demolite norma antimafia”
– Sulla materia si è appena pronunciata la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha imposto all’Italia di modificare la legge sull’ergastolo ostativo perché è un “trattamento inumano e degradante”

Ma la questione all’esame della Corte costituzionale non è esattamente sovrapponibile: “Noi ci occupiamo di casi concreti, a differenza della Corte europea”, ha spiegato Zanon. E mentre nel caso di Strasburgo il ricorso verteva sulla mancata concessione della liberazione condizionale, stavolta i ricorsi alla base della pronuncia che dovrà fare la Consulta vertono sulla mancata concessione di permessi premio a due ergastolani “ostativi” che non collaborano.

“Non si demolisca una norma che ha sempre funzionato” nella lotta alla mafia e al terrorismo e che “costituisce un incentivo alla collaborazione”, è l’appello lanciato dall’avvocatura dello Stato alla Consulta. Se la norma che impedisce la concessione dei permessi premio venisse cancellata “l’incentivo a collaborare verrebbe diminuito”, hanno sostenuto i due legali, invitando a “non dimenticare le vittime” di reati così gravi, hanno detto i due legali Marco Corsini e Maurizio Greco.

Spiega Marco Corsini

“Qui abbiamo davanti due scenari, a seconda se prendiamo o meno in considerazione la recente decisione della Corte Ue contro l’ergastolo ostativo in Italia. Finora, la Corte Costituzionale ha sempre salvato la norma sull’ergastolo, tranne ben circoscritte eccezioni. La previsione del carcere duro per reati gravissimi come l’associazione mafiosa o il terrorismo deve appartenere alla discrezionalità del legislatore, che ne valuta anche il grado di allarme sociale. La stessa funzione rieducativa della pena prevista dalla Costituzione non è un dogma giuridico ma concorre con altre finalità della condanna al carcere, come la deterrenza e la difesa della comunità”

I casi sul tavolo della Consulta
– A chiedere la pronuncia della Consulta sono state la Corte di Cassazione e il tribunale di sorveglianza di Perugia che dubitano della costituzionalità dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, per contrasto con il principio di ragionevolezza e della finalità rieducativa della pena sanciti rispettivamente dagli articoli 3 e 27 della Carta fondamentale. I casi finiti sul tavolo della Consulta sono due: il primo è quello dell’ergastolano Sebastiano Cannizzaro, condannato per omicidio e occultamento di cadavere con l’aggravante del metodo mafioso.

Il suo avvocato, Valerio Vianello, ha fatto ricorso in Cassazione contro il Tribunale di Sorveglianza de L’Aquila che ha negato un permesso premio, dato che Cannizzaro non ha collaborato con la giustizia. Un diniego che per la difesa di Cannizzaro violerebbe la Costituzione. Una questione che la Cassazione ha ritenuto fondata e girato alla Consulta. Poiché per ottenere dei benefici è obbligatoria la collaborazione, la disciplina sarebbe “in contrasto con la finalità rieducativa della pena, non tenendo conto della diversità strutturale, rispetto alle misure alternative, del permesso premio che è volto ad agevolare il reinserimento sociale del condannato attraverso contatti episodici con l’ambiente esterno”

Il Tribunale di Sorveglianza di Perugia, invece, aveva ricevuto la richiesta di un permesso premio per l’ergastolano Pietro Pavone, anche lui condannato per reati legati al 416 bis, l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Per i giudici umbri il legame tra collaborazione e pericolosità sociale del detenuto impedisce di valutare nel concreto l’evoluzione dell’ ergastolano, “vanificando la finalità rieducativa della pena”: anche il caso Pavone, quindi, era finito sul tavolo della Consulta. Prima di esprimersi i giudici costituzionali hanno dichiarato inammissibile la costituzione in giudizio del Garante per i detenuti, dell’Unione delle Camere penali e dell’Associazione Nessuno tocchi Caino.

La sentenza di Strasburgo
– Una decisione che arriva a due settimane dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Respingendo il ricorso dell’Italia contro la sentenza sull’ergastolano Marcello Viola, i giudici di Strasburgo hanno scritto che l’ergastolo ostativo viola l’articolo 3 della Convenzione Europea sui Diritti umani, quello che disciplina come nessuno può “essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”

La Cedu, in pratica, scrive che

“lo Stato deve mettere a punto, preferibilmente su iniziativa legislativa, una riforma del regime della reclusione a vita che garantisca la possibilità di un riesame della pena”

Un riesame che, come si legge nella sentenza

“permetterebbe alle autorità di determinare se, durante l’esecuzione della pena stessa, il detenuto si sia evoluto e abbia fatto progressi tali”

da non giustificare più

“il suo mantenimento in detenzione”

Quel riesame, però, come detto esiste già: basta manifestare l’intenzione di collaborare con la giustizia.

La Cedu, però, non la pensa così, scrivono i giudici di Strasburgo, sottolineando:

“Pur ammettendo che lo Stato possa pretendere la dimostrazione della dissociazione dall’ambiente mafioso, che tale rottura può esprimersi anche in modo diverso dalla collaborazione con la giustizia, e senza l’automatismo legislativo attualmente vigente”

In realtà non esistono precedenti simili. Non c’è nella storia delle associazioni criminali un esempio di boss che ha rotto con il suo clan senza collaborare con la giustizia.

O meglio: era una delle richieste di Totò Riina, nel famoso papello che doveva essere recapitato allo Stato per far cessare le stragi.

“Riconoscimento dei benefici dissociati per i condannati per mafia (come per le Brigate Rosse)”, era il punto cinque della lista che sarebbe stata compilata dal capo dei capi.

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Ergastolo, incostituzionale non concedere permessi ai mafiosi anche se non collaborano
La Consulta fa cadere il divieto per i condannati che abbiano dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo e se l’autorità ha acquisito prove che non c’è più partecipazione all’attività criminale. La Corte costituzionale stabilisce che si valuti caso per caso

Cade il divieto assoluto per gli “ergastolani ostativi” di accedere a permessi premio durante la detenzione. La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, spiega Palazzo della Consulta, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo.

Il comunicato dell’Ufficio Stampa della Corte costituzionale spiega infatti: “La Corte costituzionale si è riunita oggi in camera di consiglio per esaminare le questioni sollevate dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di sorveglianza di Perugia sulla legittimità dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario là dove impedisce che per i reati in esso indicati siano concessi permessi premio ai condannati che non collaborano con la giustizia. In entrambi i casi, si trattava di due persone condannate all’ergastolo per delitti di mafia”.

“In attesa del deposito della sentenza – fa sapere l’Ufficio stampa della Corte – a conclusione della discussione le questioni sono state accolte nei seguenti termini. La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo”

CONSULTA
CORTE COSTITUZIONALE

“In questo caso, la Corte – pronunciandosi nei limiti della richiesta dei giudici rimettenti – ha quindi sottratto la concessione del solo permesso premio alla generale applicazione del meccanismo “ostativo” (secondo cui i condannati per i reati previsti dall’articolo 4 bis che dopo la condanna non collaborano con la giustizia non possono accedere ai benefici previsti dall’Ordinamento penitenziario per la generalità dei detenuti). In virtù della pronuncia della Corte, la presunzione di “pericolosità sociale” del detenuto non collaborante non è più assoluta ma diventa relativa e quindi può essere superata dal magistrato di sorveglianza, la cui valutazione caso per caso deve basarsi sulle relazioni del Carcere nonché sulle informazioni e i pareri di varie autorità, dalla Procura antimafia o antiterrorismo al competente Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica”

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