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ORLANDO PIZZOLATO ci descrive un RECORD

A Vienna ho visto un uomo correre impeccabile, elegante, sciolto, una bellezza da ammirare.
Deciso, concentrato, rilassato. E poi quel sorriso negli ultimi chilometri, quello sguardo impenetrabile che si scioglie nella certezza di chi ha fatto bene ciò per cui lavora da tanto


UN GRANDE PIZZOLATO @OrlandoPizzolato ci racconta il RECORD : 1h59:40.2

48 ore dopo, scrivo anch’io qualcosa.
Ho voluto dapprima metabolizzare l’evento per rivedere, ripensare, valutare, e trarre le conclusioni.
Ho deciso di andare a Vienna poco più di 24 ore prima che Kipchoge partisse con la sua prova, e ci sono andato perché non volevo perdermi un momento particolare nella storia del podismo. Né per criticare, né per esaltare. Solo per essere spettatore e poter commentare “dopo aver toccato con mano”.
Ci sono andato sapendo che non era una gara.
Sapendo che non era una competizione.
Sapendo che il risultato non sarebbe stato omologato.
E sapendo anche che poteva non farcela, perché il risultato non era affatto semplice e per nulla scontato.
Le premesse erano queste, quindi su queste non aveva e non ha tuttora senso soffermarsi. O accetti che siano così, o non ha senso parlarne.

Qui non parlo dell’evento mediatico e di marketing, peraltro ben riuscito.
Non è compito mio. Di questo discuterà chi avrà voce in capitolo, e a mio modesto parere qualche brand concorrente potrà solo criticare, mosso da invidia per non essere arrivato prima all’idea.

Dal punto di vista tecnico, non dimentichiamo che l’obiettivo era uno solo: correre la distanza di maratona, e cioè 42.195 metri, sotto le due ore.
Abbattere quel limite, fisico e psicologico.
Fermare il cronometro prima di vedere il 2 nello spazio delle ore.

Ho parlato con gli atleti che l’avrebbero accompagnato, tutti eccitati di essere parte di qualcosa che, se fosse riuscito, avrebbe lasciato il segno.


Tutti profondamente ammaliati dalla personalità di Kipchoge, che resta una persona modesta “nonostante tutto”


E quel “tutto” è davvero tanto, perché Eliud non ha nient’altro da chiedere al mondo della maratona: ha vinto tutto quel che conta.
Ha battuto praticamente tutti gli avversari e non necessita di diventare più ricco di quanto già lo sia.
Ha “semplicemente” deciso di sfidare sé stesso e, essendo il più grande maratoneta, ha meritato tutto ciò che gli è stato messo a disposizione.

A costo di sembrare arrogante (ma non lo sono), credo che sulla sua impresa possano esprimersi con diritto solo coloro che sanno cosa vuol dire correre al ritmo che ha corso lui per 42km.
Solo coloro che hanno provato a correre almeno uno di quei 42 km al suo stesso ritmo.


E sfido chiunque di loro a minimizzare l’impresa.
Ma l’ha fatto con le lepri. Sì, l’ha fatto con le lepri.
Con i rifornimenti passati al volo. Certamente.
Anche con le scarpe super-ultra-mega-arci. Certamente.
Anche con le linee sull’asfalto per correre 42195m esatti. Sì.
Anche con l’automobile, il cruise control e la luce proiettata a terra. Sì.
L’ha fatto con tutto questo, perché non dimentichiamo che l’obiettivo era fermare il cronometro prima delle 2 ore.
Tutto il resto non contava.
Contava abbattere quella barriera correndo con le proprie gambe, senza percorrere un metro in più o in meno, su un percorso certificato, in condizioni ideali.

A Vienna ho visto un uomo correre impeccabile, elegante, sciolto, una bellezza da ammirare.
Deciso, concentrato, rilassato. E poi quel sorriso negli ultimi chilometri, quello sguardo impenetrabile che si scioglie nella certezza di chi ha fatto bene ciò per cui lavora da tanto.

Sono lontani i tempi in cui correvo anch’io a quel ritmo, anche se per molti meno chilometri, ma so cosa significa.
Io mi sono emozionato.

Il limite ora è 1h59:40.2: è là per essere superato.
Con lepri, rifornimenti, scarpe supersoniche, cruise control, luci varie e linee da seguire. Certo! A parità di condizioni.

La strada è aperta. Avanti il prossimo.”

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