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LA BIZANZIO DEL SUD DI VITO TELESCA

“Il sogno orientale” descrive la cultura greco-bizantina ancora presente oggi, che affonda le radici nella Magna Grecia

Di Leonardo PIsani

Quando Vito Telesca mi contattò per una possibile recensione di questo saggio, accettai subito, anche perché mi nominò Boemondo D’Altavilla, tra i personaggi storici  che più mi affascinano. Il biondo e possente normanno divenuto cavaliere a Melfi, colui che  nei sigilli usava solo il soprannome: Boemondo, figlio del Guiscardo. Mi immaginavo  un lavoro sui normanni del Mezzogiorno, semmai con ampi riferimenti alla Basilicata, la mia Lucania e anche la terra di origine di Vito Telesca,origini di  Avigliano . Mi  immaginavo semmai una rilettura di Marco D’Altavilla, diventato principe di Antiochia, o forse la crociata cantata dal Tasso, dove con il nipote Tancredi d’Altavilla, fu tra i massimi esponenti. Eppure poco ricordato proprio da dove partirono per la Città Santa, da Melfi o Venosa, con buona pace del Tasso e della “Gerusalemme Liberata” e della “Gerusalemme Conquistata”. Ma è arrivata una graditissima sorpresa; un saggio su alcuni aspetti, decisamente trascurati tra le mode- ebbene sì anche in questo campo colto le mode ci sono- certo non tra gli specialisti, ma in quella serie di studi che poi la fanno da padrone nei dibattiti o

convegni. Da pochi giorni è in vendita su Amazon e dal  1 settembre l’ultimo libro di Vito Telesca “Il sogno orientale. Ascesa e declino del rito bizantino in Terra d’Otranto. I possedimenti di San Nicola di Casole a nord di Brindisi” edito da ManifestoCultura sarà distribuito dalla Feltrinelli.  sarà nelle librerie.  Vito Telesca, saggista storico locorotondese, con questo libro ha voluto approfondire un tema poco dibattuto come la parabola del rito bizantino nella Puglia meridionale e in parte della Lucania. Un crepuscolo favorito dalla chiesa di Roma che decise con Papa Niccolò II, attraverso un accordo con il normanno Roberto il Guiscardo, di intraprendere delle azioni per cacciare i bizantini dal sud Italia, favorendo la nascita del Regno di Napoli da un lato e il primato del rito latino dall’altro. Un passaggio che non fu né rapido né indolore come lo stesso Guiscardo volle evidenziare, ammettendo la radicalità estrema della cultura e del rito bizantino da Monopoli in giù. Il libro dedica i primi due capitoli alla conquista bizantina del sud Italia per poi concentrarsi su una figura chiave, quella del principe Marco Boemondo d’Altavilla, fondatore (o restauratore) del monastero greco di San Nicola di Casole in Otranto. Un cenobio che dall’XI al XV secolo raggiunse l’apice della sua importanza poiché dotato di un enorme scriptorium con biblioteca ricca di libri greci, anche di stampo laico, e che a Costantinopoli era considerato una sorta di avamposto bizantino in Italia, dove si traducevano decine di testi e si alimentava la cultura greca. Una vera accademia. Un monastero che godeva di numerosissimi possedimenti, sparsi anche oltre la Terra d’Otranto. Questi vennero elencati in un documento del 1218 da Papa Onorio III che, scrivendo all’Abate di Otranto, Padre Nicodemo, confermava i possedimenti al monastero. Possedimenti in cui i monaci poterono avere una sorta di mobilità (un network basiliano) e un collegamento costante con Otranto e che si spingevano fino dentro la Lucania. I possedimenti vennero confermati a patto che ovunque si continuasse a rispettare la regola di San Basilio. Quindi il rito greco-bizantino era, sotto Onorio, ancora garantito. Attraverso i documenti, gli strumenti della moderna ricerca archeologica che sfrutta le fotogrammetrie aeree, i rammendi filologici tra discipline diverse come la storia della Chiesa e non ultima l’antropologia culturale, il libro invita a riscoprire il nostro territorio, ricco di storia magari dimenticata o ignorata e, soprattutto, a riscoprire le chiese rupestri di un territorio particolarmente

ricco come il materano e a guardarle con un occhio diverso, ovvero come simbolo odierno di quegli anni e di quei movimenti. Dal XV secolo la Terra d’Otranto subì l’invasione turca con la presa di Otranto nel 1480 e la distruzione del Monastero di Casole e della sua cultura. Ma, più del turco, fu Roma a dare il colpo definitivo al rito bizantino. Le chiese vennero riconvertite forzatamente al rito latino, i sacerdoti greci messi al bando (anche uccisi) e i libri bruciati. Soltanto l’immigrazione dai balcani riuscì a dare una certa continuità al rito greco-ortodosso con la creazione di quartieri in alcune città o la fondazione di paesi sorti grazie all’avvento di slavi e albanesi che fondarono intere comunità molto presenti anche oggi sull’area del Pollino e nell’arco ionico tarantino. I monasteri greci passarono ai benedettini. Il libro, nel suo ultimo capitolo, racconta in modo interessante come alcune usanze di oggi derivino proprio da quel periodo e da quella cultura. Siamo per certi versi e inconsapevolmente ancora bizantini.Che altro dire? Il sogno orientale” di Telesca mi ha sorpreso, mi è piaciuto, mi ha anche dato stimoli.

Del resto in un mondo di tuttologi, meno male che ci siamo anche noi, che abbiamo sete di imparare nuove cose, da chi studia, ricerca e scrive. Negli ultimi tempi, c’è una maggiore attenzione sui Bizantini sia come presenza nella penisola italiana che nel contesto generale, per troppo tempo poco divulgata e troppo  relegata solo tra gli esperti del settore . Lo affermo con autocritica, per fortuna qualcosa sta cambiando, accenno alle manifestazioni per il millenario della città di Melfi, dove il periodo bizantino è ben evidenziato.

Tornando al saggio, prima di scrivere questa prefazione, sono stato un lettore de “Il sogno Orientale”,  l’ho letto con attenzione ma anche con una certa celerità: segnale che è ben scritto ed è interessante. Cerco di spiegare perché. Già nell’introduzione il filologo e ricercatore storico Telesca precisa: «Questo è un libro prettamente a carattere divulgativo e informativo, non ha la pretesa di essere un manuale di storia bizantina. Con questo lavoro non ho scoperto nulla di nuovo, semmai compio alcune riflessioni e intreccio materie diverse sullo stesso argomento che magari prima d‟ora non avevano avuto modo di interagire».  Bene, ci è riuscito. La storia va narrata, se desideriamo che sia letta e conosciuta. Oppure in caso contrario, i saggi, i libri, le ricerche, saranno comprate da biblioteche o Istituzioni pubbliche e private e poi messe in bella mostra in una libreria o in un magazzino. Ma non letti. Ironizzo ma non troppo: semmai saranno in un futuro lontano materiale per archeologi o sociologi, ma nel presente , semmai ottime ricerca ma non diffuse. “Che barba la storia”, “Che noia la storia”, potremmo scrivere volumi su queste frasi, ma è così? La risposta sarebbe subito no, ma riflettiamo sopra. La conoscenza ha vari gradi, dal semplice nozionismo allo iperspecialismo, in mezzo una serie di gradazioni. Se vogliamo diffondere,  bisogna saperlo fare e bene. Sia con un linguaggio che sia comprensibile ai non specialistico e sia che non annoi.  Telesca ci è riuscito. Scrive  «Questo lavoro pertanto è solo un tentativo, spero riuscito e gradevole, di mettere insieme discipline diverse, dalla storia alla letteratura, dall’archeologia, all’antropologia, dall’arte alla teologia, viaggiando alla ricerca di un comune denominatore: il rito bizantino e la lingua greca ad Otranto ed in quella che era anticamente la parte settentrionale della “provincia di Terra d’Otranto”.  

Insomma Vito Telesca ci fa “viaggiare” dagli ipogei e dalle chiese rupestri delle Murgie, dal Salento medioevale fino ai giorni nostri: «La cultura greca si è mescolata perfettamente con la cultura locale che, abbiamo visto, aveva nel suo un DNA tracce di Magna Grecia. Quello che segue è un breve excursus solo indicativo e niente affatto esaustivo. Non vuole essere un catalogo dei “modi di fare” o di dire, che spesso sono identici anche ad altre popolazioni. Ma sono semplici curiosità prese da scritti antichi, lettere, iscrizioni, documenti e discorsi tramandati da tradizioni e da generazioni che possono essere in grandi linee associabili ad un modo di dire, di fare, di agire e di vivere delle popolazioni greco-bizantine». Le tracce le troviamo nella religiosità popolare,  da quell’uso bizantino di rivolgersi direttamente al Santo Patrono, ancora diffuso come nelle processioni  del nostro Sud, quando la sta

Statua di un Santo o della Vergine Maria viene traslata da una chiesa all’altra: Il santo viene prelevato dalla “sua casa” e trasferito per la devozioni di tutta la comunità nella chiesa principale del posto poi fare rientro qualche giorno dopo. Pratica che probabilmente era utilizzata anche nelle comunità rupestri. Non si esclude, se questa era la prassi bizantina, che l‟icona in miniatura del santo potesse spostarsi da una chiesa minore (ad esempio San Lorenzo a Fasano) alla sua basilica di riferimento (nel nostro esempio la più grande chiesa di San Demetrio a Lama D‟Antico)». E conclude bene Telesca il suo gradevole e stimolante lavoro con questo passaggio:  «Così come, e l‟ho scritto in premessa, non è possibile individuare certi comportamenti e usi senza considerare le innumerevoli influenze che questa terra ha da sempre ricevuto dai popoli più diversi. Chi più e chi meno, tutti hanno dato “qualcosa” al nostro modo d‟essere attuale (linguistico e culturale). Ecco come l‟altro diventa ricchezza, diventa patrimonio. La storia serve “solo” a ricordarcelo». Alpha e Omega…

Vito Telesca

 

Vito Telesca, Scrittore saggista storico pugliese di Locorotondo e di origine lucana, direttore di StoriaMeridiana e co-fondatore e consigliere Nazionale di ManifestoCultura, gruppo di studio per la valorizzazione e il recupero del patrimonio storico e artistico. In passato co-conduttore di “Sharing-Popoli che scelgono di incontrarsi”, promosso dal Consiglio d’Europa (programma Radiofonico). Scrive articoli di storia e arte per la pagina culturale dei quotidiani “Cronache Lucane, per “Paese Vivrai” e “il Quotidiano di Puglia”. Ha ricevuto il Premio “Eccellenza Medievale 2014” assegnato da “Sguardo sul Medioevo” per il progetto di StoriaMeridiana. Appartenente al gruppo ricerca storica della “Fondazione Terra d’Otranto”. Ha pubblicato: nel 2008 “Di padre in padre – viaggio nel rapporto tra padri e figli nella storia” (seconda edizione 2010), Francesco e Federico, due giganti allo specchio (2013), dist. Feltrinelli; una trilogia su Siponto e Monte Sant’Angelo per ManifestoCultura: Siponto e il Protoromanico (2017), Il Castello di Monte Sant’Angelo (2018) e l’abbazia di Santa Maria di Pulsano (2019).

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