Nell’ambito del processo contabile per la Rimborsopoli lucana l’ex assessore di centrosinistra Rosa Mastrosimone ha definito la propria posizione optando per un accordo monetario transattivo in favore della Regione Basilicata a titolo di indennizzo economico. Questo il motivo per cui il suo legale difensore non si è presentato per due volte in aula nella terza sezione centrale della Corte di Appello. La rinuncia dell’avvocato a controbattere nel merito le accuse che nel 2016 portarono la Corte dei Conti di Basilicata ad emettere condanna al risarcimento di 14mila e 382 euro è stata una conseguenza della scelta di ottemperare alla riparazione tramite l’accordo transattivo. Ha pagato prima di attendere nuova sentenza. A precisarlo a Cronache lucane è stata la stessa Mastrosimone. “Per strategia difensiva – ha reso noto Mastrosimone -, il proprio legale, l’avvocato Giacomo Bracciale, ha ritenuto di far dichiarare improcedibile il relativo giudizio rinunciandovi”. Il processo contabile della Rimborsopoli lucana ha riguardato somme per rimborsi non dovuti, a titolo di “spese di rappresentanza”, dai consiglieri regionali o assessori della Regione Basilicata in carica nel periodo 2010-2012. Lo scandalo portò alla fine immediata della legislatura dell’ex governatore Vito De Filippo. Per la procura contabile, gli ex consiglieri e assessori, tra cui Falotico appena rieletto alle comunali di Potenza, adesso ricondannato anche in appello a restituire 9mila euro, avevano indebitamente ottenuto rimborsi di spese sostenute in forza di non veritiere e non dimostrate ragioni di “rappresentanza”, che riguardavano di costi di vitto, consumazioni, servizi alberghieri ed acquisto di beni di consumo. Spese risultate essere “assolutamente prive di evidente o comprovato nessocon il mandato politico”. Per i già condannati in primo grado dalla Corte dei Conti di Basilicata, era bastevole che gli scontrini o le fatture presentate per il rimborso, all’epoca fissato in oltre 2mila e 500 euro mensili, fossero intestati al consigliere interessato per consentire di individuare le spese come di “rappresentanza”. E invece no. Quegli scontrini per alberghi, pranzi e cene e altro ancora sono stati giudicati come rispondenti a “esigenze squisitamente personali” e pertanto estranee a “quelle del mandato politico”.