Eventi e Cultura

DALLA RABATANA RITMI ARABO NORMANNI

I Tarantolati di Tricarico affondano le radici in culture ancestrali

di Leonardo Pisani

Ho cercato di ricordare se quando ho ascoltato la prima volta i Tarantolati di Tricarico, fosse per radio oppure dal vivo. Non ricordo, ma  ricordo quando ho sentito altri gruppi come la P.F.M o grandi e meno grandi della musica come Dylan, De Andrè. Ricordo la prima volta dei MusicaNova, ma i Tarantolati no.

(…)  avessi conosciuti in qualche altra vita, come se facessero sempre parte del mio mondo pentagrammato.  ma ricordo sempre questa canzone come se l’avessi sempre ascoltata..

Cara ninella ninozza nina’

Cara ninella ninozza nina’

Vi dissi bunasera.quanni venga

Saluti santi notta e sciaminnenna….

Cara ninella ninozza nina

Cara ninella ninozza nina

Anzi, ritmati perché la forza, il pathos, l’universo musicale dei cantori del paese arabo normanno sono quelle percussioni che ci portano in un mondo antico, ancestrale, dove i cupa cupa dettano i percorsi entropici di chi ascolta. I Tarantolati sono l’anima della Lucania musicale, con le radici nel passato contadino e magico e gli occhi al futuro con le sapienti miscellanee tra vari stili di musica. La chiamano world musica, io la definirei arte. Le percussioni dei tamburi a frizione di Rocco Paradiso e Franco Ferri, armonizzati agli strumenti elettrici e ai vocalizzi di Viviana Fatigante. Con Franco Ferri lo stesso, l’ho sentito tante volte in concerto, quando ci siamo incontrati la prima volta sembrava un’amicizia nata da anni. Complice il comune “fratello” Antonio Gerardi, a Villa D’Agri per una premiazione. Quella sera Antonio ha cantato con i Tarantolati tra la sorpresa del pubblico che ballava. Tremava la piazza…

Vi cumm abball bell

Vi cumm abball bell

Lu palomm e la palummell

Nun ti.la voj truva’

Non ti la voj truva’

La Cumpagnia….

Palomm e palummell

Palomme palummell

Sciam a Caccj r uagnastrell». Una storia che affonda le radici nel Folk studio di Roma, al tempo Franco Ferri era adolescente e partiva “senza una lira” per cantare lì… lo prendo sempre in giro: « a te ti invitavano da Tricarico, e quel tipo di Duluth quando si esibì qualche anno prima, neanche lo ascoltavano. Il giovane Dylan, in cerca disperata del suo amore Sue Rotolo, fece capolino da Giancarlo Cesaroni. La prima esibizione di Ferri, sembra quasi da sceneggiato: ebbe un attacco di appendicite e fu soccorso dal medico cantautore Mimmo Locasciulli. Forse l’emozione, fatto sta che la predizione di Locasciulli si avverò: «se ti passa ora, non ti operai mai»…

Così fu. Ora sono indubbiamente il gruppo più rappresentativo della musica etnica lucana, anche se ne costituiscono un unicum sin dai loro inizi. Il loro atteggiamento verso la tradizione è sempre stato di gratitudine per il lascito degli anziani, ma anche di consapevolezza del proprio ruolo di ponte fra generazioni.Ma cosa sono oggi, a quarantaquattro anni dalla loro nascita, i Tarantolati di Tricarico? La loro natura è certamente molteplice, poiché restano in parte ciò che erano nel 1975, ma al tempo stesso si identificano anche in tutte le musiche che li hanno attraversati.Istintivamente e senza timore reverenziale, avevano sin da subito interpretato la poetica contadina filtrandola e accompagnandola con la sensibilità musicale di ragazzi nati a cavallo tra anni ’50 e ’60; reinventando melodie, creandone di nuove su filastrocche e giochi di bambini e finanche ripensando l’utilizzo degli strumenti musicali: il doppio tamburo a frizione (‘u cubba cubba) e il suo innovativo sistema idraulico, l’accordatura aperta della chitarra, i tamburi suonati anziché con le mani con le bacchette, e con quelle ritmiche che li hanno sempre contraddistinti, le percussioni più diverse ricavate da utensili di uso quotidiano, ecc. Dicevamo prima della loro vocazione di ponte fra generazioni. Ebbene, il collegamento che suggerisce la loro musica è anche un altro: quello tra diverse culture. Il cartello di località di Tricarico recita: “Città arabo-normanna”. Come tutto il Sud Italia, la Basilicata è stata attraversata storicamente da numerose popolazioni e la musica che qui si è prodotta e si produce non può non risentire di tutto ciò, risultando infine come un afflato di unità fra tante realtà geografiche e culturali. È vero che nella tradizione lucana ci sono echi di tante musiche del Mediterraneo, ma la compresenza in particolare di popoli così diversi, come gli arabi e i normanni nella storia di Tricarico, rappresenta la duttilità di un popolo che ha saputo conservare le proprie peculiarità, pur adattandosi e tenendo insieme diverse identità.La sua posizione lungo la via Appia l’ha sempre tenuta dentro un flusso di genti, lingue, costumi, quasi come una città di mare. La musica di cui parliamo è dunque innanzitutto musica di una terra separata ma al tempo stesso indissolubilmente legata agli altri paesi del bacino mediterraneo, agli altri suoni latini così come a quelli del mondo arabo, africano, balcanico e via dicendo.Con il contributo dei musicisti più giovani che si sono avvicendati e di quelli che attualmente fanno parte della formazione, nel tempo i Tarantolati –  gli “storici”  Franco Ferri, Rocco Paradiso,Marcello Semisa, Pino Molinari e poi Giorgio PavanPierluigi delle Noci, Gianluca Danza, Viviana Faticante, Enzo Granella, Luca Fabrizio ed ora anche la gran voce Erminio Truncellito-  hanno acquisito una sempre maggiore e più chiara consapevolezza dell’influenza che le musiche “altre” hanno da sempre avuto nella loro creatività, arrivando oggi a produrre un album come “Terra che trema”, in cui sono presenti composizioni che possiamo semplicemente definire di world music. Sono canzoni di uomini e donne del sud che guardano alla propria terra con aspirazioni di unità, di impegno e di lealtà, pur consapevoli che la realtà è spesso di tutt’altro segno, tale da suggerire di fuggire, di trovare un’altra via, anche se significasse lasciare lì una parte del proprio cuore. Ecco i Tarantolati. Dalla Rabatana a “un monta la Luna” dalla “la Terra Trema” a Cara Ninnella

Giovanni Vacca, raffinato critico musicale afferma: «garantiscono un concerto di forte impatto emotivo.. in cui conta molto anche l’impatto visuale perché nella cultura musicale il gesto, il movimento scenico è importante quanto la musica».  Musica che affonda le radici nel terreno di una “terra” senza tempo, “Gli orti pingui sulle pietre” descritti dal  sindaco poeta Rocco Scotellaro, culture musicali e antropologiche che hanno amalgamato lucani e romani, oschi e greci, longobardi, normanni e saraceni, con la loro abilità di agricoltori in un luogo che seppero rendere fertile, come la loro Sicilia, con quelle ampie terrazze a ridosso delle mura dei quei luoghi dove avevano finito il loro pellegrinare tra coste e flutti del  Mediterraneo. Ancora oggi sotto i quartieri della Rabata e della Saracena,  sembra risuonare la preziosa acqua negli “orti saraceni” , un ritmo ancestrale vivo nel presente e protratto al futuro.  Canta l’assiolo / la notte sempre mi fai tanto male / col fischio mio quaggiù son tutto solo / Canta l’assiolo, la lirica eterna di Scotellaro ci riporta ai ritmi “tarantolati” di una musica senza confini, che naviga in un mare nostro, che merita arte e non lo strazio di pianti di dolore e morti odierne. La bellezza salverà il mondo, speriamo e la bellezza può essere creata dall’umanità, in un linguaggio universale con le melodie di note di  una musica miscelata di culture diverse, come un arcobaleno non solo di sette colori ma di mille sfumature sincopate, dove anche una pausa è ritmo, dove anche un bemolle ha il sapore dell’Universo. Per concludere, nelle parole degli stessi Tarantolati riportiamo il senso ultimo del loro contributo a questa cultura delle radici e dell’incontro: «In effetti, da tricaricesi ci siamo sempre sentiti come in un porto, dove arrivavano le genti e le “merci” più diverse e da cui avevamo il dovere di partire per fare altrettanto, portando il nostro contributo agli altri. A maggior ragione oggi, abbiamo la sensazione di essere come la fiumara (nel nostro dialetto l’aimare, che è anche il titolo di una delle nostre ultime canzoni) che scorre e lambisce le varie contrade di questa terra. Ciò che portiamo è un’acqua molto particolare, perché è quella dello stare insieme fra diversi, condividendo ciò che ci fa uguali, il pulsare di questo ritmo invincibile, inarrestabile, che ci lega gli uni agli altri e contemporaneamente non ci separa mai dai nostri antenati, perché il nostro passo nella danza fa tremare la terra, mentre bussiamo con i nostri piedi alla loro dimora».

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