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Mattarella: “Il 25 Aprile è un doveroso ricordo, un dovere morale e civile”

Il presidente della Repubblica pronuncia il discorso al Teatro Da Ponte di Vittorio Veneto in occasione del 74mo anniversario per la festa della Liberazione

25aprile2019

Avevo due paure.
La prima era quella di uccidere.
La seconda era quella di morire.
Avevo diciassette anni.
Poi venne la notte del silenzio,
In quel buio si scambiarono le vite,
Incollati alle barricate alcuni di noi morivano d’attesa.
Incollati alle barricate alcuni di noi vivevano d’attesa.
Poi spuntò l’alba.
Ed era il 25 Aprile
Giuseppe Colzani (Partigiano)

Mattarella: “Il 25 Aprile è un doveroso ricordo, un dovere morale e civile”
Il presidente della Repubblica pronuncia il discorso al Teatro Da Ponte di Vittorio Veneto in occasione del 74mo anniversario per la festa della Liberazione

«Festeggiare il 25 aprile – giorno anche di San Marco – significa celebrare il ritorno dell’Italia alla libertà e alla democrazia, dopo vent’anni di dittatura, di privazione delle libertà fondamentali, di oppressione e di persecuzioni. Significa ricordare la fine di una guerra ingiusta, tragicamente combattuta a fianco di Hitler. Una guerra scatenata per affermare tirannide, volontà di dominio, superiorità della razza, sterminio sistematico». Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha esordito nel suo discorso al Teatro Da Ponte di Vittorio Veneto in occasione del 74mo anniversario per la festa della Liberazione.

«Il 25 Aprile è un “doveroso ricordo” che ci spinge a stringerci intorno ai nostri amati simboli: il tricolore e l’inno nazionale (così ben cantato dal coro di ragazzi e adulti, complimenti al maestro Sabrina Carraro). È il dovere, morale e civile, della memoria. Memoria degli eventi decisivi della nostra storia recente, che compongono l’identità della nostra Nazione da cui non si può prescindere per il futuro».
«Se oggi, in tanti, ci troviamo qui e in tutte le piazze italiane – ha proseguito il capo dello Stato – è perché non possiamo, e non vogliamo, dimenticare il sacrificio di migliaia di italiani, caduti per assicurare la libertà di tutti gli altri. La libertà nostra e delle future generazioni.
Il Presidente ha ricordato le vittime di Marzabotto, Cefalonia, delle Fosse Ardeatine, i deportati nei campi di sterminio e le migliaia di soldati «anche di paesi stranieri e lontani che hanno fornito il loro prezioso contributo. Quel ricordo – ha detto Mattarella – ci spinge a stringerci intorno ai nostri simili e al Tricolore e all’inno nazionale così ben cantato da adulti e ragazzi del Coro del maestro Sabrina Carraro».

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Il capo dello Stato ha parlato di un dovere morale e civile di conservare una memoria degli eventi decisivi della nostra storia recente. «Il 25 aprile del 45 nasceva una nuova e libera Italia che troverà compimento nel ’48 con la scelta di diventare una Repubblica. Un’Italia che riprende il suo posto nelle nazioni democratiche e libere, che rispetta diritti politici e sociali e ripudia di razzismo e discriminazioni».
Il presidente della Repubblica ha poi ricordato gli squilibri del Ventennio fascista. «Non c’era libertà di espressione, neppure sui giornali; gli oppositori venivano bastonati, deportai e uccisi. Le tre parole usate erano credere, obbedire e combattere. Obbedire agli ordini, anche quelli più insensati e crudeli,odiare i dissidenti, gli ebrei e gli stranieri. E c’era l’assurda convinzione che tutto si potesse risolvere con la violenza. Aggredire e soggiogare».

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E parla del sacrificio delle tante vite umane perdute nel perseguire questi intenti: «Giovani mandati in Grecia, in Russia, in Africa, a morire. Non equipaggiati. Non erano questi gli ideali per cui i giovani erano morti nel Risorgimento».
E poi la rievocazione dell’8 settembre 43, data in cui «Arriva la drammatica fine di un’illusione e l’ Italia precipitata in una lenta agonia, con il re che lascia il Paese e la creazione della repubblica di Salò dove si era insediato un governo fantoccio nelle mani naziste».

Fu in questo contesto che molti giovani e donne e uomini maturarono la convinzione che per uscire dalla violenza e dalla disumanizzazione, occorreva un opera di resistenza alla barbarie: con le armi, con la propaganda, con la diffusione di giornali clandestini. Ci voleva forza d’animo e coraggio, perché questa azione poteva comportare la cattura, la tortura e l’uccisione.
«Contadini , operai, soldati, intellettuali, cattolici, monarchici e anche ex fascisti delusi contribuirono a questa resistenza, in gruppo o in ordine sparso con grande difficoltà e nel pericolo. Erano i partigiani che combattevano fianco a fianco con l’ esercito alleato»

Mattarella ha menzionato con orgoglio il contributo del Veneto «Fondamentale per animare il movimento resistenziale, il contributo del mondo della cultura e dell’università. L’Università di Padova, unico caso tra gli atenei italiani, fu insignito della medaglia d’oro al valore della Resistenza. Ricordo l’appello, di grande suggestione e di altissimo valore morale, che il grande latinista Concetto Marchesi, rettore dell’università padovana, rivolse ai suoi studenti in piena occupazione nazista, invitandoli alla rivolta: Una generazione di uomini – scrisse Marchesi – ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra Patria», ha aggiunto Mattarella.

«Traditi dalla frode, dalla violenza, dall’ignavia, dalla servilità’ criminosa, voi insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo italiano. Non furono solo parole. Perché Marchesi, comunista, insieme al suo allievo Ezio Franceschini, cattolico, diedero insieme vita a una organizzazione segreta (FraMa, dalle iniziali dei loro cognomi) capace di fornire assistenza logistica agli alleati, ai resistenti e agli ebrei».
«Anche in Veneto, come in altre zone d’Italia, ci furono, dopo il 25 aprile, vendette e brutalità inaccettabili contro i nemici di un tempo, peraltro prontamente condannate dai vertici del Cln – ha ricordato il Presidente che ha poi concluso affermando che -nessuna violenza pregressa, per quanto feroce, può giustificare, dopo la resa del nemico, il ricorso alla giustizia sommaria. Mai questa può essere commessa in nome della libertà e della democrazia».

25 aprile, il presidente Sergio Mattarella all’Altare della Patria

LA CERIMONIA ALL’ALTARE DELLA PATRIA
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha aperto la giornata di celebrazioni per il 25 aprile (Festa della Liberazione dal nazifascismo) deponendo una corona all’Altare della Patria .
È il 74° anniversario della Liberazione e il Capo dello Stato, accompagnato dal Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta e dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, Enzo Vecciarelli, ha passato in rassegna il reparto d’onore schierato con Bandiera e banda. Presenti alla cerimonia le più alte cariche dello Stato, i Vertici militari e le autorità locali. Tra gli altri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il segretario di Presidenza del Senato, Francesco Giro, la vice presidente della Camera, Maria Edera Spadoni, il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, la sindaca di Roma, Virginia Raggi. I presenti hanno osservato un minuto di silenzio dopo aver ascoltato l’inno nazionale

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte
GIUSEPPE CONTE
«Oggi è importante festeggiare», il 25 aprile «è la festa di tutti». Ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte dopo le celebrazioni all’altare della Patria. E conclusa la cerimonia con il Capo dello Stato, ha raggiunto la sua auto diretto alle Fosse Ardeatine per commemorare le vittime dell’eccidio nazifascista.
«Anche se questo è un luogo di dolore, oggi è un giorno di festa, non facciamo polemiche». Ha sottolineato il premier, al termine della visita al sacrario delle Fosse Ardeatine, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se il ministro dell’interno Matteo Salvini sbaglia a non festeggiare il 25 aprile. «Penso che questa giornata non debba essere vissuta riproponendo antiche divisioni o vecchi pregiudizi. È il giorno in cui abbiamo riconquistato la nostra indipendenza, che ha avviato la rinascita della nazione e nel quale possiamo tutti rinvenire le radici del nostro patto costituzionale».
Dopo la deposizione di una corona, il premier assieme alla sindaca di Roma, Virginia Raggi e alla ministra della Difesa Elisabetta Trenta, si è intrattenuto in una lunga visita del sacrario.

25 aprile, Di Maio: “Giorno di unione, incredibile ci si divida su questo”

LUIGI DI MAIO

Nelle stesse ore, il vicepremier e ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio ha partecipato alla cerimonia per l’anniversario del 25 aprile nella sinagoga romana di via Balbo che fu sede della Brigata ebraica.

Contestazioni a Milano contro la Brigata Ebraica

Con lui anche i ministri della Giustizia Alfonso Bonafede e della Sanità Giulia Grillo. C’è stato un minuto di raccoglimento davanti alla targa che ricorda le vittime della Brigata, soldati che si arruolarono volontariamente nelle forze armate britanniche nella seconda guerra mondiale. Dopo una foto davanti alla targa con il rabbino capo Riccardo Di Segni e alla presidente della comunità ebraica di Roma Ruth Dereghello, Di Maio è entrato nella sinagoga indossando la tradizionale kippah. Al termine della visita il vicepremier ha parlato ai cronisti dicendo che «Divide chi non vuole festeggiarlo. Noi non vogliamo essere divisivi, il 25 aprile deve essere una giornata di unione».

MATTEO SALVINI
Assente dunque, come annunciato, a tutte le commemorazioni istituzionali del 25 aprile a Roma, il ministro dell’Interno Matteo Salvini, il quale ha scelto di celebrare la giornata a Corleone, in Sicilia, inaugurando i nuovi uffici del commissariato di polizia e scoprendo una targa dedicata alle vittime di mafia. «Viva le nostre forze dell’ordine – ha scritto il vicepremier su Twitter a commento del video dell’inaugurazione – presidio di legalità nella lotta quotidiana per la liberazione da mafia, camorra e ’ndrangheta, in tutta Italia. #lamafiamifaschifo».
Tra i presenti alla cerimonia, il capo della polizia Franco Gabrielli, il questore Renato Cortese, il prefetto Antonella De Miro, il sindaco Nicolo’ Nicolosi, il vescovo di Monreale Michele Pennisi, e Vincenzo Agostino, padre dell’agente Nino, ucciso dalla mafia.
«Questo commissariato è un presidio di legalità che non va ritenuto una oasi nel deserto. Corleone, associata spesso alla mafia, è popolata da gente onesta. Ha dato i natali a criminali malvagi e stragisti» ha detto il questore di Palermo, Renato Cortese, in occasione della cerimonia di inaugurazione del commissariato di Corleone. Ad applaudirlo anche il governatore Nello Musumeci e il prefetto Antonella De Miro. Proprio Cortese, tredici anni fa catturò Bernardo Provenzano.

La scelta del Ministro dell’Interno ha scatenato immediatamente la polemica da parte dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia). «Oggi manifestare per qualcos’altro è illegittimo, significa non voler celebrare la resistenza e la guerra di liberazione e inoltre si fa anche un’operazione strumentale. La lotta alla mafia si fa tutti i giorni» e «questa lotta titanica del popolo italiano che non va messa in contrapposizione con la liberazione dalla dittatura». Ha commentato il Presidente dell’Anpi di Roma Fabrizio De Sanctis.

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