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Il 25 aprile 2019 a RUBIERA con ALÌ il più giovane gappista reggiano

E gli ideali, Giglio? “Gli ideali, vennero poi. Io il Pci l’ho conosciuto solo dopo la guerra. Bada, non rinnego nulla, anzi ne rifarei un’altra di Resistenza. Ma la politica è stata una delusione. Però noi non abbiamo combattuto per i partiti, abbiamo combattuto per noi, per salvarci la vita, per avere una vita. E quelli che l’hanno persa, invece, be’, non vorrei andare a chiedergli cosa pensano di quel che è venuto dopo”

Emanuele Cavallaro Sindaco di Rubiera 24 Aprile 2019 :
“Otto pallottole in corpo si è preso – da una SS – Giglio Mazzi, il primo gennaio del 1945. Con i partigiani del distaccamento Katiuscia, pochi mesi prima, aveva completamente disarmato il distaccamento tedesco di San Donnino senza sparare un colpo. Domani 25 aprile 2019, Giglio – nome di battaglia, Alì – sarà a Rubiera, per le celebrazioni, che come sempre partiranno da davanti al Municipio alle 9:45.

Dopo il ferimento, Mazzi si è rifugiato presso diverse famiglie di queste parti, che se ne tramandano il ricordo – Varani fu quasi arrestato al posto suo, perchè lo chiamavano “al nigher”. La guerra di Liberazione è fatta di sacrificio, eroismo, ed anche sangue: anche quello versato sulla neve da Giglio e dal partigiano Jack che era con lui – e che porterà con sè quelle ferite per sempre – alias Otello Montanari, deputato e ideatore del Primo Tricolore. Anche da questo sono nate la nostra libertà e la nostra Costituzione, che sono patrimonio di ogni cittadino italiano: di ogni idea politica, di ogni religione, di ogni età, di ogni condizione sociale. Quel sangue è stato versato proprio perchè così fosse.
Comunque, Giglio è sempre in forma. Alla faccia di quello che gli ha sparato.”

MEMORIE IN CAMMINO : Giglio Mazzi Nato a Campogalliano (MO) il 18/02/1927

Lo studente “Ero un ragazzino Non mi volevano ma scelsi la lotta”

GIGLIO fermò la Storia, almeno per qualche minuto. Quando sbucarono dal fosso in mezzo alla via Emilia, lui e i suoi cinque compagni, davanti ai tank americani, la colonna si arrestò, forse per lo stupore.

«Figurati: sei ragazzini, armati, uno con una divisa tedesca, uno con una divisa fascista, ma sbrindellati, scalcagnati…»

Ma orgogliosi come vecchi combattenti. Li avevano sentiti arrivare, gli Alleati.

Li aspettavano. Per dirgli: benvenuti a Reggio, non vi preoccupate: a liberare la città ci pensiamo noi. Partigiani, gli americani ne avevano già visti a Bologna, a Modena, ma questi erano davvero dei bambini. Giglio Mazzi aveva diciassette anni.

«Ma erano anni diversi…»

Al Museo Cervi, la casa dei sette martiri, ha appena incontrato dei ragazzini che hanno gli anni che lui aveva allora. Li ha lasciati tutti a bocca aperta.

«Non gli racconto mai di ideali, di libertà, che quelli si addormentano. Gli dico: io ho quattro buchi di proiettile nella schiena e due nella gamba, e gli racconto come andò. Non perdono una parola».

Gli racconta che alla loro età aveva una pistola, sì

«una rivoltellina da far ridere, una 7,65 così piccola che stava in un buco che avevo scavato dentro un libro di scuola, l’antologia di italiano»

Perché Giglio era studente. L’unico dei quattro fratelli di suo padre vedovo, operaio, «un professore gli aveva detto che bisognava farmi studiare e lui fece il sacrificio di iscrivermi all’Iti»

Ma di scuola in quel micidiale ‘44 non c’era da parlare.

Giglio era stato reclutato dalla Repubblichina per andare a scavare trincee per i tedeschi, «volevano spedirmi a Rimini, un corno, non ci andai, allora vennero a cercarmi, dovetti scappare e nascondermi»

Così si diventa ragazzini partigiani?

«Macché, loro invece non mi volevano. Troppo giovane. Allora io e altri due andammo di notte a segare via un mitragliatore da un caccia tedesco all’aeroporto. Una cretinata enorme, perché pesava l’iradiddio e funzionava solo sull’aereo. Pensavamo che i partigiani avrebbero ammirato la prodezza. Ci diedero dei deficienti»

Però alla fine li presero, i ragazzini, nei Gap, le formazioni irregolari di città, gruppetti di due-tre che facevano imboscate e sabotaggi:

«Io ero Alì. Dal film Alì il mercante di schiave », ride, «eravamo ragazzi…»

Durante una di queste si prese la mitragliata che per miracolo non lo ammazzò. Zoppicava ancora, quel 23 aprile del ‘45, quando si parò davanti agli americani, al Mauriziano, la casa dell’Ariosto.

«Reggio era piena di cecchini. Due erano asserragliati in un cascinale lì vicino. Dissi agli americani, un po’ sbruffone: ci pensiamo noi. C’era un ufficiale, lo chiamammo sergente Johnny, parlava un po’ di italiano. Sorrise e disse, no, ci pensiamo noi. Prese un’autoblindo, arrivò davanti a quella casa e sparò un colpo col cannoncino. I tedeschi uscirono mani in alto, Johnny disse: visto?, senza rischiare la pelle. Io pensai: bella forza…»

Ma Reggio la volevano liberare loro, i partigiani ragazzini.

«E ci andammo, subito. Cominciammo dalle Case Ciano, una borgata popolare. Non c’era nessuno. Quando ci videro arrivare, scesero tutti in strada, ci sono i partigiani!, una festa. Poi si sentì una raffica lontano. Scapparono via tutti. Era quasi buio. Anche noi tornammo nel nascondiglio a dormire»

Reggio fu liberata il giorno dopo. Giglio diventò grande. Studiò come gli aveva detto papà. Si laureò in economia e commercio. Faceva, fa ancora a 92 anni, il consulente finanziario.

Quel ragazzino che era, oggi gli fa tenerezza, si vede.

“Mi chiedono, perché? Per la libertà? Io rispondo: per salvare la pelle. O stavi di qua o stavi di là, e se stavi di qua non avevi scelta, dovevi nasconderti, difenderti. Un paio di amici andarono di là, con i neri, io gli chiesi ma perché, mi risposero Giglio, ti danno da mangiare e anche da fumare. Si faceva la fame”.

E gli ideali, Giglio?

“Gli ideali, vennero poi. Io il Pci l’ho conosciuto solo dopo la guerra. Bada, non rinnego nulla, anzi ne rifarei un’altra di Resistenza. Ma la politica è stata una delusione. Però noi non abbiamo combattuto per i partiti, abbiamo combattuto per noi, per salvarci la vita, per avere una vita. E quelli che l’hanno persa, invece, be’, non vorrei andare a chiedergli cosa pensano di quel che è venuto dopo”

Giglio Mazzi nasce a Campogalliano, in provincia di Modena, il 18 febbraio del 1927. Di famiglia operaia, trascorre i primi due anni della sua vita a casa del nonno e poi si trasferisce con i genitori nel Reggiano, prima a Mandrio di Correggio e poi a Rio Saliceto. Il padre Adriano ha convinzioni socialiste e proprio in questa zona diventa segretario di uno dei primi circoli; per questo è anche perseguitato e picchiato dai fascisti. Nei primi anni Trenta la famiglia si stabilisce definitivamente a Reggio Emilia dove Giglio consegue il Diploma di Avviamento Professionale. Con l’arrivo della guerra e poi con l’Armistizio del settembre 1943, Giglio decide di aderire alla lotta di Resistenza.

Prende il nome di battaglia di “Alì” e nel luglio 1944 entra nei S.A.P., per poi diventare Capo Nucleo di un Distaccamento G.A.P. che opererà in particolare nelle zone comprese fra Reggio Emilia, Rubiera, Castellazzo, fino al pedecollina.

Ferito in azione il 1° gennaio 1945, trascorre un periodo di riposo nascosto in diverse cascine della pianura e successivamente viene inquadrato nel Distaccamento “Katiuscia” della 37^ Brigata G.A.P. “Vittorio Saltini”.

Dopo la Liberazione entra a far parte del Corpo di Pubblica Sicurezza Ausiliaria fino al 1947.

Si diploma in Ragioneria nel 1950 e si laurea in Economia e Commercio nel 1954. Per circa trent’anni riveste il ruolo di Segretario della sezione Anpi di Ospizio. Dal 1963 al 1967 ricopre l’incarico di Direttore della Cooperativa Muratori di Reggio Emilia e, in seguito, fino al 1977, di Direttore Amministrativo delle Farmacie Comunali Riunite. Continua tuttora la professione di consulente finanziario.

«Un caterpillar ci portò la libertà»

Il 25 aprile 1945 nei ricordi di Giglio Mazzi, 85 anni, (n.d.r. oggi 92anni) nome di battaglia Alì

REGGIO. L’esultanza della gente, il lambrusco e il salame offerti dai contadini, il cioccolato e il chewing gum distribuiti dagli americani, le ultime raffiche dei cecchini fascisti, ma anche un gigantesco Caterpillar venuto a spianare la strada agli alleati. Nella memoria di Giglio Mazzi, allora arruolato nella 37esima brigata Gap, fra le immagini della Liberazione si staglia vivida quella di una poderosa macchina mai vista dalle nostre parti. L’ex-partigiano, che alla bella età di 85 anni continua a svolgere la sua professione di consulente finanziario, ne ha un ricordo lucidissimo, ancora intriso di stupore: «Ritirandosi, i tedeschi avevano fatto saltare il ponte sul Rodano per ritardare l’avanzata del nemico lungo la via Emilia. Perciò gli americani, che procedevano da Modena, il giorno 23 si fermarono prima di San Maurizio, dal momento che i loro carri armati non potevano superare il profondo alveo del torrente. Proponemmo loro di passare sul vicino ponte della ferrovia, che era intatto, ma i loro ordini erano diversi. Aspettarono tutta la notte. Al mattino del 24 vedemmo arrivare questo Caterpillar di cui non sospettavamo neppure l’esistenza, dotato di un ponte mobile che svettava verso il cielo e di una possente pala, con la quale spianò in un baleno la sponda del torrente, accumulando in fondo la terra. Subito dopo il ponte fu abbassato e i carri armati vi passarono sopra, uno dopo l’altro. Noi, che conoscevamo solo la carriola, spalancavamo gli occhi per la meraviglia». Gli spettatori, che fossero armati o civili, appartenevano a una società rurale che conosceva da sempre la dura fatica dei campi. Rimuovere le zolle costava ettolitri di sudore per ottenere risultati modesti con un’esasperante lentezza. Potere fare lo stesso lavoro in un attimo, limitandosi a manovrare qualche leva, era un sogno che magicamente si realizzava e di lì a qualche anno si sarebbe trasformato in progetto d’impresa con l’esplosione dell’industria meccanica per l’agricoltura. Intanto Giglio Mazzi si apprestava a condividere con migliaia di concittadini l’euforia della vittoria, rischiando ancora la vita per arrivare in città prima dei reparti alleati: «Il mio nome di battaglia – racconta – era Alì. L’avevo preso dal protagonista del film “Alì il mercante di schiave”. Il mio diastaccamento, denominato Katiuscia, operava nella zona ad est della città. Il giorno 22 eravamo a Castellazzo, quando vedemmo una colonna corazzata che si dirigeva verso San Martino in Rio. Pansavamo che fosse tedesca, ma ci ricredemmo vedendo le stelle bianche degli americani. Capimmo allora che la liberazione era vicina. Ci portammo a Masone e a villa Curta. Eravamo otto o nove. La mattina dopo prendemmo la via Grastella, che ora si chiama via Puglia, e verso le 7 del mattino incontrammo gli alleati al Ritiro, presso l’attuale incrocio fra la via Emilia e la tangenziale. C’erano americani della quinta armata e inglesi dell’ottava. La gente, uscita all’aperto, faceva festa. Non c’erano solo gli antifascisti. Tutti gioivano, sperando che fossero finiti i patimenti della fame e dei bombardamenti». Ai partigiani restavano ancora da percorrere i pochi chilometri che li separavano dalla città: «Ci fermammo – ricorda Mazzi – perchè dal campanile di San Maurizio giungevano gli spari di una mitragliatrice, poi abbandonata dai fascisti. Il mattino dopo, il 24, attraversammo il Rodano sul ponte ferroviario. Sbucammo sulla via Emilia dalla portineria dell’istituto San Lazzaro, che allora si trovava nei pressi del padiglione Esquirol. Di lì giungemmo al villaggio Stranieri, allora intitolato a Costanzo Ciano. Fummo i primi a liberarlo. Gli abitanti erano diffidenti, non sapendo chi fossero questi giovani con gli abiti più strani, compresi quelli sottratti ai tedeschi e ai fascisti. Quando ci riconobbero esplosero in manifestazioni d’entusiasmo, inneggiando ai ribelli». Giglio Mazzi il primo gennaio del 1945 aveva partecipato a un combattimento in cui venne ferito insieme a Otello Montanari, che subì lesioni più gravi. Rimase perciò inattivo durante due mesi di convalescenza. Poi riprese le armi. Nei giorni della Liberazione aveva al suo fianco Annibale Bonacini (Teranghi), il padre di Paolo, direttore di Telereggio.

Luciano Salsi su la GAZZETTA DI REGGIO del 26 aprile 2012
©RIPRODUZIONE RISERVATA

74° anniversario della Liberazione
Le iniziative a Rubiera

74° anniversario della Liberazione
Le iniziative a Rubiera

In occasione del 74° anniversario della Liberazione, la mattina di giovedì 25 aprile si svolgeranno le celebrazioni istituzionali promosse dal Comune di Rubiera in collaborazione con ANPI Sezione di Rubiera.

Il programma prevede il ritrovo alle ore 8.30 la visita al cippo di San Faustino e la resa degli onori ai Caduti per la Libertà presso il Cimitero.

Alle 9.45 partirà il corteo dal Municipio di Rubiera, per la partecipazione alla S. Messa presso la Chiesa Parrocchiale.

Il Corteo proseguirà poi per le vie del paese per terminare presso il Monumento ai Caduti di Piazza Gramsci dove si terrà la testimonianza del partigiano Giglio Mazzi, nome di battaglia Alì, distaccamento “Katiuscia” della 37° Brigata SAP (in caso di maltempo presso il Teatro Herberia).

Dal 25 aprile al 25 maggio sarà poi possibile visitare, presso il Centro Sociale IL PARCO, la mostra organizzata dal Gruppo Fotografi di Rubiera dal titolo “Per non dimenticare”.


ANPI Sezione di Rubiera, in collaborazione con AUSER, SPI CGIL, Federconsumatori, Coop Alleanza 3.0, Associazione Ponte Luna e Centro Sociale IL PARCO, promuove inoltre la presentazione del libro “Racconti di vita e politica” di Ileana Montini.


La presentazione si terrà sabato 27 aprile alle ore 15 presso la Sala Auser “Lea Garofalo” di via Emilia Est 35 a Rubiera, alla presenza dell’autrice intervistata dal giornalista Gianpiero Del Monte.

Infine, aperture straordinarie della mostra
RELAZIONI ~ Fotografie e video dalla Collezione Linea di Confine ~ presso Il Complesso monumentale de L’Ospitale
giovedì 25 aprile orario 10-13 e 16-19
mercoledì 1 maggio orario 10-13

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