Ancora una volta la rete, come ci si aspettava, è stata complice di accese diatribe.

Come avremmo fatto senza il web a renderci conto che una stragrande fetta di popolazione, in realtà, sia talmente tanto retriva da arrogarsi il diritto di interagire con chiunque, adottando termini di qualsiasi portata senza concedersi – come avveniva in passato quando l’immediatezza non esisteva – il tempo di riflettere su quello che si ritiene necessario esprimere e sul modo più adatto?

PATRICE MAKABU

Tutta questa fretta sembra essere stata alimentata principalmente, oltre che probabilmente dalla carente cultura, dalla mancanza di empatia, dall’autodeterminarsi giudici popolari, all’ostinarsi a voler preservare ideali che invece possono coesistere ed ampliarsi in un’ottica di centralità collettiva unitamente alle istanze altrui.

L’ostinazione nel voler opporsi al riconoscimento di un’idea di famiglia che oggi risulta evoluta, di pari passo con i tempi, potrebbe essere argomento di indagine all’interno della soddisfazione personale delle aspettative di chi difende a spada tratta ideali oggi profondamente mutati.

Per analizzare in maniera più obiettiva quello che è il concetto di famiglia oggi, bisognerebbe anzitutto tener presenti i dati relativi ai divorzi, agli affidamenti, ai nuclei familiari composti da un unico genitore e rispettivi figli, alle famiglie allargate.

Già soltanto questi estremi aprirebbero la strada ad uno scenario molto diverso rispetto a quello di cinquant’anni fa.

L’evoluzione non è un qualcosa di circoscritto alla scienza ed alla tecnologia delegate a salvare vite o a facilitare la permanenza dell’essere umano sulla terra, ma anche una questione strettamente legata alla società oggi più che mai “liquida” – come definita da Bauman – attualmente intricata in un individualismo sfrenato.

Questo individualismo è coronato dall’apparire a tutti i costi e dall’apparire come valore, inesorabilmente connivente alla crisi del concetto di comunità.

Il concetto di comunità è individuabile prima che nell’estensione più generale del riferimento, alle connessioni dirette entro le quali si sviluppa l’esistenza di ogni individuo: la famiglia, “nucleo sociale rappresentato da due o più individui che vivono nella stessa abitazione e, di norma, sono legati tra loro da rapporti di parentela – o – di affinità”.

Sulle affinità vi è poco da discutere in considerazione del fatto che sono e rimangono personali, nessuno può decidere agli effetti rispetto a cosa possono o debbano basarsi.

Esiste dunque una disparità che mal si innesta in un contesto di evoluzione, rispetto, convivialità e condivisione.

Sorprendente continua a permanere la questione secondo la quale chi non ha diritto di vedersi riconosciuto il proprio status familiare, abbia nel contempo il dovere di ottemperare a tutte le norme civiche.

Al congresso delle famiglie di Verona non hanno avuto spazio molte tra le voci più autorevoli, che potrebbero aprire al dibattito meditativo rispetto alla necessità di avere una famiglia, più che al diritto alla “salvaguardia” di quella tradizionale: le voci delle persone che una famiglia non l’hanno avuta, che sono cresciute all’interno di strutture finalizzate all’accoglienza di minori disagiati, che hanno dovuto convivere con limiti e limitazioni che solo di rimando sono conosciuti dai più.

Certamente non lo sono per quello che può essere il valore aggiunto di uno stato d’animo che non coincide mai con l’oblio dopo il diciottesimo anno di età.

Appare chiara la mancanza di alcuni pezzi al centro di un puzzle che intende rifarsi alla tradizione…

Anche sotto il punto di vista antropologico andando ad analizzare l’impostazione della famiglia in costante evoluzione nel tempo, emergono una serie di cambiamenti.

Uno tra tutti la gerarchia che un tempo era elemento contraddistintivo del nucleo familiare, con il ruolo maschile in netta preminenza rispetto a quello femminile, che oggi non esiste più soprattutto grazie alla rivoluzione industriale.

L’affermazione dei diritti fondamentali della persona è stata nella storia elemento fondante degli stati democratici e gli interessi legittimi devono essere preservati eccettuando la tradizione, in special modo quando entrano in gioco non solo l’affermazione di una personalità quanto il diritto all’immagine sociale, ossia la proiezione dell’individuo nella società.

Quali sono i cavalli di battaglia sui quali si fondano i principi del congresso delle famiglie di Verona ?

I cavalli di battaglia sui quali si fondano i principi del congresso famiglie di Verona appaiono inspiegabilmente contrari nei riguardi di molti tra i diritti fondamentali della persona, anche rispetto a temi che trattano la procreazione assistita, di cui la medicina sin dagli anni ’70 indaga con grande successo a causa delle sempre crescenti richieste di intervento.

Un adeguamento delle leggi vigenti in Italia al fine di scongiurare pratiche di fecondazione assistita – che nei paesi esteri sono previste da oltre un decennio – a fronte di ingenti corrispettivi in danaro, sarebbe la miglior strada da seguire in vista del fatto che sempre più persone si rivolgono a cliniche specializzate a soddisfacimento dei propri bisogni.

A completare le troppe perplessità che si alternano a colpi di scena e provocazioni del tipo “L’omosessualità è una malattia e si può curare” secondo la scrittrice/relatore del congresso Silvana De Mari, la distribuzione di feti in gomma racchiusi in buste di plastica trasparente quali gadget contro l’aborto “per non dimenticare” l’importanza della vita.

Hanno preso parte al congresso alcuni ministri tra i quali Matteo Salvini, che hanno criticato determinate scelte di governo facendo allusioni inerentemente alle dichiarazioni di colleghi scettici nei confronti dell’iniziativa di Verona.

Il congresso delle famiglie fa litigare il governo e il popolo che si divide ancora una volta.

Tutto questo accade in un frangente in cui la più impellente e concentrata attenzione è richiesta dal rapido avanzamento dei cambiamenti climatici, una tra le reali problematiche che dovrebbe essere di gran lunga più attenzionata, considerando l’effettivo rischio di conseguenze disastrose che non si ripercuoterebbero soltanto sulle tradizioni e su “principi” avvizziti dalle persone e dal tempo

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