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UNA BAMBINA SFORTUNATA

E mi chiesi, come sempre, quale era il senso di un diritto che sacrifica la vita.

FRANCESCA SASSANO

“Una bambina sfortunata”

di Francesca Sassano

Scrivere della giustizia è avere una scena a quadri irrisolti.
Possibili sviluppi sul dato incompleto delle norme, ipotesi di fiducia per idealisti di certezze nei vuoti di legge.
Ma quello che non è scritto o che è male espresso non è didattica di lungo periodo, troppo spesso è giustizia denegata.
Ed essa è tanto più amara quanto più i destinatari degli infelici tentativi sono i minori.
Mi sono sempre chiesta il perché di una legge che non consenta a tutti di crescere i propri figli, la ratio di un’epurazione della specie educatrice, sconosciuta al mondo e al diritto naturale, se il rispetto della persona precede quello della certezza giuridica.
Non ho trovato una risposta, ancora, alla finalità d’istituti, vari e poco armonizzati, come adozione, affido o affido-preadottivo.
Non ho molta dimestichezza con il funzionamento del supporto al sociale, forse perché stento a ritrovarlo nel concreto.
Invece mi chiedo, sempre con maggior frequenza, quale sia il percorso che il diritto per i minori ha intrapreso, quanto disti dallo spirito della norma e come si realizzi il bene di un bambino.
Mi verrebbe anche da aggiungere quale sia questo bene, il cui contenuto ha il volto di un’immagine di coppia tratta da standard inesistenti o preconcetti: oggi completamente superati nelle forme ma inadeguati nelle misure!
Questa storia che voglio narrare è forte e sofferente ed ha i tratti decisi della labbra serrate di una bimba.
Nascere è già una scommessa ma è anche un destino.
Se il tuo è stato quello di avere una madre psicolabile e un padre di oltre 70 anni allora, per il diritto, non hai genitori : meglio era per te l’abbandono dinnanzi alla porta del convento!
Questo è il senso di un provvedimento ablativo con il quale fosti presa e portata via, su ignota segnalazione di solerti vicini, pur essendo consapevoli gli operatori del diritto che nessuna violenza ti era mai stata fatta, che il tuo rendimento scolastico era buono, inspiegabilmente, ed il rapporto con tuo padre era a dir poco ottimo.
Ma, si diceva, quali prospettive avresti avuto, se tuo padre in età già avanzata fosse morto?
E la presenza di tua madre, senza eccessi perchè in costante cura sebbene fonte di sofferenza, quali devastazioni poteva produrre nel tuo animo?
Per questo mandarono da te, ogni giorno il personale sociale a controllare che la tua casa fosse in ordine, che tutto nella vostra vita fosse a posto.
E nonostante gli sforzi tuoi e di tuo padre, ci fu chi fra loro scrisse che non stava bene per una bimba di sei anni fare faccende domestiche, come apparecchiare e sparecchiare o lavare i piatti, che tuo padre non ti portava mai a un corso di danza, che tua madre era assente dalla realtà.
Così decisero che era meglio l’istituto, dove ti facevano rifare il letto, ma non lavavi i piatti e comunque nessuno poi ti portò a quel corso di danza.
Tuo padre venne da me ed io per questo venni a trovarti in istituto.
Mi colpirono le tue labbra socchiuse, leggermente serrate, in un moto di rabbia e di disperazione.
Lo stesso tratto di quelle piene di rughe di tuo padre.
Non mi rivolgevi la parola, stavi come una bambola senza fili, ti consegnai il regalo di tuo padre, lo ritirasti rapida con una brusca presa e non l’apristi in mia presenza.
Non ti dissi la pietosa bugia che non era potuto venire perché non stava bene, come lui stesso, nella speranza di rivederti presto, mi aveva chiesto di fare.
Preferii, come al mio solito, l’affondo crudo della verità e ti dissi che a tuo padre e a tua madre non era stato concesso ancora di vederti.
Registrai nel tuo sguardo un lampo di sollievo, capisti di non essere stata da loro abbandonata, ma fu ancora poco per creare con me una solidarietà, troppi volti estranei e tutti nemici avevi incontrato negli ultimi giorni.
Finché fosti in istituto venni sempre, nello scorrere dei tempi giudiziari, a trovarti per rendere presente il contatto con chi soffriva lontano da te.
Più difficile fu quanto ti affidarono e non sapemmo dove, né io potei portarti più i regali di tuo padre e di tua madre.
Ma tuo padre non si arrese e nonostante la sua età dopo qualche anno con un provvedimento successivo la corte d’appello annullò il primo.
Intanto, tua madre era ricoverata e tuo padre era ancora più avanti negli anni, tu avevi frequentato gli ultimi tre anni presso un’altra scuola e complessivamente dalla tua uscita di casa ne erano trascorsi quattro.
Non fu un successo quel provvedimento positivo, un’altra amarezza perché alla vittoria era da registrare la sconfitta del tempo e soprattutto che in questa ingenerosa altalena di togliere e di restituire, più di tutti era stata interrotta per ben due volte la tua vita.
Ti vidi a distanza di circa quattro anni, la stessa espressione in volto, le stesse labbra socchiuse e imbronciate che ora, senza soddisfazione, potevo confrontare con quelle ancora più rugose di tuo padre.
E mi chiesi, come sempre, quale era il senso di un diritto che sacrifica la vita.
Non trovai risposta, solo le tue lacrime.



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