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Ponte Morandi, demolirlo non è la scelta più economica. Ma di certo è la più spettacolare

Renzo Rosso

Docente di Costruzioni idrauliche e marittime e Idrologia a Milano

Nato a Genova nel 1950, dal 1986 sono professore ordinario di Costruzioni Idrauliche e Marittime e Idrologia nel Politecnico di Milano, dove ho contribuito a fondare l’Ingegneria Ambientale italiana.
Nel 2002 ho ricevuto il Premio Innovazione LegaAmbiente, nel 2005 il Borland Lecture Award e nel 2010 la Henry Darcy Medal, primo e finora unico italiano, “for his fundamental contributions to hydrology and water resources management”. Sono diventato un “topitalianscientists-engineering“.
Ho scritto testi di statistica applicata, idrologia e climatologia e 400 lavori scientifici, più di 100 dei quali su riviste internazionali di eccellenza.
Con questo blog vorrei aprire una finestra di discussione sui temi dell’acqua, dell’ambiente e della difesa del suolo nello spirito di una eterna ghirlanda brillante alla quale i diversi portatori di interesse e di conoscenza possano contribuire liberamente a attivamente.

Durante la Prima e la Seconda repubblica, prima di ogni elezione, il governo organizzava qui e là qualche inaugurazione. Preferibilmente strade e autostrade, più o meno nuove, più o meno telegeniche. Tra le favorite, la via crucis tra Salerno e Reggio Calabria: almeno un tronco, uno svincolo, un viadotto non mancavano mai. E ricordo con tenerezza il molo di un mega-porto calabrese sullo Ionio, che s’inabissò mestamente mentre chi lo aveva appena inaugurato in mattinata stava festeggiando a pranzo. Non va meglio nel secolo sovrano, se i governanti si cimentano nell’eterna campagna elettorale inaugurando le demolizioni. Anziché posare la prima pietra, la rimuovono. E smantellano così l’eredità culturale di un Paese, come accade con la cancellazione del viadotto genovese sul torrente Polcevera progettato da Riccardo Morandi. Quando Guy Debord – il filosofo che soggiornò a lungo nella riviera di ponente assieme agli artisti del movimento situazionista – scrisse La società dello spettacolo, non poteva certo prevedere che, dopo mezzo secolo, le sue profezie si sarebbero materializzate proprio da queste parti, dove il potere trasforma i cittadini in “consumatori di illusioni”.  Inaugurando la demolizione del viadotto Polcevera, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha esordito con un’affermazione temeraria: “Questa ricostruzione sarà l’immagine del rilancio del Paese”.

Siamo proprio sicuri? La demolizione del supposto relitto è iniziata con comodo: 178 giorni dopo il crollo, 14 agosto 2018. Non sarà un record mondiale in materia, ma ci piazziamo bene nella corsa a questa malinconico primato, se viene rimossa la prima pietra dopo quasi sei mesi. E, sempre a beneficio dello spettacolo, le previsioni sul ripristino del viadotto hanno nel frattempo frastornato i cittadini, scivolando vorticosamente sull’asse del tempo. Dai pochi mesi – prima cinque e poi nove, sparati a botta calda dal Concessionario – s’arrivò al più prudente vaticinio del governatore: “Entro settembre inizio demolizione, entro novembre inizio cantiere” per una ricostruzione da fare in 11-15 mesi.

Ai primi di ottobre, il sindaco-commissario affermò coraggioso che “le cose si possono fare in 12-16 mesi“. Poi, il sentimento del tempo si è stemperato, trasformando languidamente il tempo di attesa della ricostruzione in un “numero complesso”, composto da una parte immaginaria e da una parte reale. C’è un tempo di attesa perché il ponte sia visibile; ed è la parte immaginaria.

E poi c’è la parte reale, il tempo di attesa affinché il viadotto entri in esercizio, diventando nuovamente percorribile dalle auto e dai tir. Rinforzare il relitto esistente, ricostruendo la tratta crollata, avrebbe ridotto l’attesa reale, quella vera e propria da parte degli utenti. Parecchi tecnici – architetti, urbanisti e territorialisti, ingegneri – avevano chiesto formalmente che, prima di decidere la demolizione, si riflettesse sull’opportunità del ripristino.

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