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DAL RING MONDIALE ALL’ULTIMO ROUND AD AUSCHWITZ

Leone Efrati era nato nel ghetto ebreo di Roma

di Leonardo Pisani

Lo chiamavano Leletto ma il suo vero nome era Leone; ed un leone era sul ring dove combatteva con ardore contro chiunque; contro i migliori. Leletto era di Roma, frequentava l’Audace  e iniziò  il professionismo appena ventenne per far soldi ed aiutare la famiglia per far soldi e ben presto si fece conoscere  battendo Cattaneo che poi diventò campione Europeo dei Gallo; poi anche in Francia e poi negli Stati Uniti dove combattè con i più forti pesi piuma del momento; tanto da essere inserito al numero 10 delle classifiche mondiali e disputando un mondiale contro il forte Leo Rodack; Efrati perse – se perse – di misura. Era il 1939; la federazione americana propose ad Efrati di rimanere negli USA con un salvacondotto; il suo manager Frank Donati voleva fargli prendere la cittadinanza statunitense.

Ebbene sì Leletto era romano verace ma anche ebreo; decise di ritornare in Italia per stare assieme alla famiglia in quel periodo terribile per gli ebrei  e le leggi razziali . In un primo momento su tesserato nella Federazione Pugilistica Italiana ma non lo fecero combattere mai  anzi alcuni dirigenti lo segnalarono come ebreo alla polizia. Leletto poi fu vittima di un rastrellamento nazista  e deportato ad Auschwitz Birkenau assieme all’amato fratello.

Ma lì inizio una nuova carriera pugilistica, come divertimento degli aguzzini che lo facevano combattere con altri pugili prigionieri o tedeschi di qualunque peso: welter , medi anche massimi. Combattimenti in uno spiazzale, per l’ebraico la vittoria significava un tozzo di pane in più; incontri dove spesse volte  la sconfitta poteva significare la morte per percosse o camera a gas. Ma Leletto era un  grande pugile, anche se denutrito; anche se ridotto a quasi larva umana era pur sempre un LEONE e vinceva, vinceva grazie alla tecnica , grazie  Allo spirito di sopravvivenza.  Un giorno  vene a sapere che alcuni Kapò avevano pestato a sangue suo fratello; infuriato  li affrontò e li malmenò, li massacrò a pugni, Due, tre, non si quanti ne erano ma fu subito denunciato alla SS del campo  che lo picchiarono con i calci di fucile e manganelli fino a renderlo un ammasso di carne pesta e ossa rotte. Il suo destino era segnato; incapace anche di camminare; il giorno dopo non superò la selezione;  fu portato di peso in una camera a gas. Era il 16 aprile 1944; Leletto aveva solo 28 anni. Fu ucciso ma non fu sconfitto;  fu ucciso ma  fu reso immortale nella memoria dei posteri.

Dalle Luci di Chicago e dei ring dell’Illinois all’orrore  della polacca  Oswiecim ( in tedesco Auschwitz ) ; dall’amata Roma e la sua sinagoga all’ infame Shoah. Lelletto fu ucciso ma non fu sconfitto;  fu massacrato; gassato e bruciato divenne un nero fumo nel cielo di  Auschwitz . Ma Leletto non è stato sconfitto dalle SS; non è stato reso cenere  da buttare come voleva la follia Nazista ; al contrario lo hanno reso  immortale nella memoria dei posteri.  Come immortale sarà il ricordo di chi finì la sua esistenza in un lager; compreso quei tanti senza volto e senza nome fossero essi ebrei, slavi, omosessuali; zingari; disabili; prigionieri politici; portatori di disagi mentali o  chiunque fu vittima della barbarie hitleriana di ogni etnia, sesso, nazionalità

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