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PONTE MORANDI DI GENOVA: APPARE ASSAI BEFFARDO, A 5 MESI DALLA TRAGEDIA DEL 14 AGOSTO 2018, CERTIFICARE L’OTTIMO STATO DI UNA STRUTTURA, PER POI DEMOLIRLA

Mentre le discussioni sulle cause del crollo non cessano di venir meno col passare del tempo (contraddicendo su tutti i fronti un’informazione mainstream che non ha mai smesso di propalare all’opinione pubblica la mancata manutenzione di alcune parti del viadotto come causa scatenante del disastro), dobbiamo quindi annotare l’ennesimo perverso capitolo di una storia illogica.

SALVIAMO IL PONTE DI RICCARDO MORANDI A GENOVA

ENRICO PIETRA
“I test per valutare l’idoneità statica del moncone ovest di Ponte Morandi condotti con l’uso di due carrelli radiocomandati del peso di trenta tonnellate l’uno, hanno di fatto certificato che quella parte di viadotto è in ottime condizioni.
Seicentocinquanta metri di impalcato mutilato che non hanno mostrato alcun spostamento o significativa fluttuazione: in buono stato dunque, proprio come più volte indicato in passato da esimi esperti del settore (in primis gli ing. Camomilla e Siviero).

Suona dunque assai beffardo, a cinque mesi dalla tragedia del 14 agosto 2018 certificare l’ottimo stato di una struttura (o quantomeno di una parte di essa) al fine di demolirla.

Mentre le discussioni sulle cause del crollo non cessano di venir meno col passare del tempo (contraddicendo su tutti i fronti un’informazione mainstream che non ha mai smesso di propalare all’opinione pubblica la mancata manutenzione di alcune parti del viadotto come causa scatenante del disastro), dobbiamo quindi annotare l’ennesimo perverso capitolo di una storia illogica.

L’abbattimento delle pile dalla otto a scendere possiede altresì un valore simbolico particolare, sovrastando esse quella Corso Perrone – arteria stradale nevralgica per gli abitanti della Valpolcevera e delle sue aziende – interdetta alla viabilità ordinaria dalla Protezione Civile su proposta del vicesindaco Stefano Balleari senza l’emissione di alcun documento che tecnicamente ne certificasse o meno l’insicurezza – e senza alcuna ordinanza di sequestro.
Una Corso Perrone riaperta poi in pompa magna il 22 Novembre scorso, alla presenza spumeggiante di telecamere e giornalisti, previa installazione di una mantovana di tubi innocenti buona forse per proteggere dall’eventuale polvere di ricaduta delle correnti di libeccio.
La regia (nemmeno tanto) occulta che sta dietro a questa storia ha puntato forte sin da subito sul senso di angoscia e di strazio provocato dall’improvviso e inopinato crollo per diffondere un senso di vivace terrore nell’opinione pubblica, funzionale a portare avanti con successo la dialettica della demolizione tout court del ponte assassino al netto di qualsiasi valutazione tecnica e strumentale, dei pareri degli esperti e dei pronunciamenti perentori dell’INARCH, scegliendo da subito la strada più lunga, costosa, deleteria e – di fatto – irragionevole.
Arrivando perfino a indicare nero su bianco, in un documento ufficiale quale il decreto n. 19/2018, una delle motivazioni della scelta del progetto di Piano nella “avversione psicologica maturata in città verso ponti con parti sospese o strallate”

 

 

 

 

 

Ancora una volta le domande superano di gran lunga le risposte oggi possibili. Si fanno ipotesi, a volte “deliranti” (cit.), senza smettere di interrogarsi sui possibili moventi di una vicenda insensata.
La realtà è che la verità sfugge, nascosta tra le pieghe di un racconto distopico che puzza di speculazione economica e urbanistica con appiccicata sopra l’etichetta emergenziale dei decreti d’urgenza. Quarantatré vittime, decine di aziende fallite e, a breve, centinaia di migliaia di macerie da smaltire, amianto e sogni infranti.

 

Sì, proprio quei sogni di tornare ad avere un asse viario fondamentale per l’economia di Genova e del Nord Italia nel giro di qualche mese, affogati nella pletora bonaria della propaganda a prezzo di costo.”

 

 

FONTE : ENRICO PIETRA su Facebook 

 

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