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QUANTO RESISTE IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO ?

In questi giorni il Presidente dell’Inps ha ribadito con forza e determinazione come il provvedimento quota 100 avrà effetti disastrosi sulle finanze pubbliche e anche sulla credibilità del Paese, proprio mentre la Commissione europea ha da poche ore sentenziato la bocciatura della nostra manovra di bilancio, con immediata impennata dello spread. Tra le ragioni di questo annunciato «dissesto» vengono annoverati diversi motivi.

Manovra, lo scontro con la Ue
Savona e il vicolo cieco della maggioranza: «Così non reggeremo a lungo»
Si vive alla settimana nel governo

Perché il problema non è scoprire se davvero il leader della Lega abbia fatto «il doppio gioco» sul DDL Anti corruzione, come il capo di M5S sospetta: il problema è il sospetto.

La tesi del «non reggeremo a lungo» emerge con chiarezza dai resoconti dei conversari riservati di Di Maio come da quelli di Salvini: è l’unica cosa su cui ormai i vice premier concordano, dopo che la fiducia reciproca si è esaurita.

A Bruxelles l’Italia prende il posto della Grecia: bocciata e ultima in classifica, procedura d’infrazione a gennaio o anche prima

 

 

Manovra, fa dietrofront anche Savona: “E’ da riscrivere”. Governo in un vicolo cieco

Anche il ministro più determinato nella sfida alla Ue ripiega: “Così non si va avanti”. E ora la crisi di governo non è così lontana

22 novembre 2018 – Pochi mesi fa veniva declassato da ministro dell’Economia a quello dei Rapporti con l’Europa, a causa di un euroscetticismo tale da portare diversi ambienti economici a pensare che avrebbe finito col dare seguito al suo ‘piano B’ per portare l’Italia fuori dall’euro. Oggi Paolo Savona, il rappresentante del governo più audace e determinato nello sfidare i diktat europei, non nasconde tutta la proprie preoccupazione per gli esiti della manovra, la procedura d’infrazione e il rischio spread.

Savona scende dal carro
Savona appare disilluso. Mercoledì, durante un convegno a poche ore dalla bocciatura Ue, prima ha citato Cossiga per dire che “l’ economia è un grande imbroglio politico”, poi ha puntato l’indice contro i “sovranismi” che “quasi certamente” danneggeranno lo sviluppo globale. Una visione che fa il paio con il giudizio espresso riservatamente sul governo a margine dell’ ultimo Consiglio dei ministri, e riportata

dal Corriere della Sera: “Non si può più andare avanti così, non ha senso. E la manovra com’ è non va più bene: è da riscrivere”.

E la percezione di una crisi latente è amplificata dal susseguirsi dei vertici, che sono più numerosi dei provvedimenti fin qui varati. Almeno per questo aspetto l’esecutivo del «cambiamento» ricalca le gesta dei gabinetti passati. Se non fosse che il sistema politico vive una situazione inedita: il deterioramento del rapporto non solo è avvenuto troppo presto rispetto al timing che avevano calcolato i due alleati, ma anche rispetto alla tempistica immaginata dai loro avversari.

Nessuno è preparato a un default immediato del governo

Infatti i ragionamenti di Di Maio e Salvini sono speculari. Il primo immagina con l’anno nuovo una nuova squadra a palazzo Chigi, ma «obtorto collo» sempre in divisa giallo-verde: perché — per quanto veda emergere «la profonda differenza» con la Lega — sostiene non ci siano «soluzioni alternative»

Certo sorprende che i grillini riscoprano l’idea della stabilità come valore, ma in fondo anche il leader del Carroccio al momento non vede altre soluzioni: come ha spiegato ai suoi dirigenti «sarebbe per noi una sconfitta se ci fosse una crisi adesso»

E anche dopo, se non si andasse subito alle urne. Ecco il punto.

Salvini ha analizzato la situazione con il suo stato maggiore, e insieme si sono trovati dinnanzi a due interrogativi: il primo è su cosa aprire l’eventuale crisi; il secondo (che va risolto prima del primo) è capire quale sarebbe a quel punto la prospettiva.

Perché, come spiega un autorevole esponente del Carroccio «non potremmo lasciare il Paese nel caos, o verremmo additati come irresponsabili e pagheremmo il conto»

Ma anche immaginare un governo con gli alleati di centrodestra e con i «responsabili» da trovare in Parlamento sarebbe un ritorno al passato per il leader della Lega, che contrasterebbe con i suoi reali obiettivi.

«È una roba che conviene solo a Berlusconi», sorride Bersani. Non a caso il Cavaliere (per ritrovare la centralità politica perduta e tenere uniti i suoi gruppi) insiste a dire che «presto daremo insieme a Matteo un governo vero al Paese»

A parte il fatto che Salvini non vuol farsi risucchiare in quelli che considera «vecchi schemi», a parte il fatto che un simile governo dovrebbe impostare una politica economica più aderente ai dettami della Commissione europea, resta il problema del timing e non c’è il tempo necessario a trovare i voti in Parlamento.

In ogni caso sono giochi di Palazzo che non fanno i conti con l’emergenza imposta dallo scontro con Bruxelles sulla manovra. Si ritorna così al governo attuale, alla divergenza tra i due vice premier. Il capo di M5S (pressato dai grillini attestati a difesa del reddito di cittadinanza) ritiene che i «numerini» non vadano cambiati, che sullo spread il peggio è passato e che basterà offrire degli «impegni aggiuntivi» all’Unione per aggirare l’ostacolo. Il capo del Carroccio (incalzato da Giorgetti e dall’elettorato produttivo del Nord) è invece preoccupato per la sorte dei titoli di Stato e dal fatto che uno spread costante a 300 punti «l’Italia non lo regge»

Due visioni contrapposte, dentro un esecutivo dove ormai i ministri sembrano posizionarsi in vista di nuovi equilibri

E se Giovanni Tria (come raccontano fonti accreditate) sfruttando il buon rapporto stretto con Salvini pensa di avere un ruolo importante anche in futuro, Savona appare disilluso. Ieri in un convegno, prima ha citato «il maestro Cossiga» per dire che «l’economia è un grande imbroglio politico», poi ha puntato l’indice contro i «sovranismi» che «quasi certamente» danneggeranno lo sviluppo globale. Una visione argomentata e tranciante, che fa il paio con il giudizio espresso riservatamente sul governo a margine dell’ultimo Consiglio dei ministri: «Non si può più andare avanti così, non ha senso. E la manovra com’è non va più bene: è da riscrivere». L’affermazione di Savona parte da un convincimento, è la previsione di come andrà a finire l’estremo tentativo di mediazione di Conte con Juncker. E in politica come nello sport squadra (e tattica) che perde si cambia.

 

Come mantenere quota 100 salvando i conti

In questi giorni il Presidente dell’Inps TITO BOERI ha ribadito con forza e determinazione come il provvedimento quota 100 avrà effetti disastrosi sulle finanze pubbliche e anche sulla credibilità del Paese, proprio mentre la Commissione europea ha da poche ore sentenziato la bocciatura della nostra manovra di bilancio, con immediata impennata dello spread. Tra le ragioni di questo annunciato «dissesto» vengono annoverati diversi motivi.

Per cominciare l’incerto ammontare dei destinatari (e quindi coperture a rischio), poi il blocco dell’adeguamento alla speranza di vita (con una non ben definita ricaduta finanziaria) e la contrazione dei contributi (sempre rammentando che il nostro sistema è a ripartizione, i contributi versati in un dato anno servono per pagare le pensioni dello stesso anno).

Contestualmente (o quasi) il governo ha confermato con altrettanta forza che la quota 100 si farà.

La situazione appare senza possibilità di pervenire ad una soluzione che metta d’accordo tutti, se non ricorrendo, come spesso accade, a mediazioni «pasticciate» che non risolvono il problema, ma creano soltanto incertezza e insoddisfazione; si sta parlando, infatti, della possibilità di definire graduatorie di beneficiari della quota 100 (su quali criteri oggettivi?), prima dell’erogazione della pensione, consentendo così all’Inps di verificare, nel tempo, la sostenibilità dei costi attraverso un monitoraggio trimestrale.

Al di là dei tempi lunghi necessari per arrivare ad una «condivisa» graduatoria (comprese le ben note difficoltà amministrative), questa soluzione non risolve i problemi sul tappeto dato che, nel caso non improbabile si sforasse la cifra disponibile, verrebbe «tagliata» la graduatoria con tanti saluti a chi rimarrebbe fuori, con giustificate reazioni di grande rabbia e malumore (come la questione degli esodati ci ricorda!). Si possono perlomeno pensare (e magari proporre) percorsi risolutivi più «puliti» e più equilibrati, sempre mantenendo comunque la quota 100 – uno dei cavalli di battaglia dei partiti al governo – per provare poi a convincere l’Ue della nostra volontà collaborativa e dell’efficacia di alcuni «aggiustamenti»?

Proviamo a ragionare con ordine: applicando quota 100 (almeno 62 anni di età e 38 di contributi) nel 2019, la prima questione da affrontare riguarda la platea dei potenziali interessati e secondo le ultime stime dell’Inps, essa ammonta a poco meno di 700mila unità (il 70% circa degli occupati dipendenti attuali con età tra 61 e 65 anni, cioè 62 e 66 nel 2019). Con un contingente potenzialmente così elevato, stima sempre l’Inps, i costi da sopportare diverrebbero insostenibili (ben oltre la dotazione assegnata di 6,7 miliardi di Euro), rimarcando anche la sensibile contrazione che subirebbero i contributi (dai 62enni e fino ai 66enni non si avrebbero versamenti, tra l’altro consistenti, nel 2019).

Poi c’è il ventilato non adeguamento all’aspettativa di vita che determinerebbe una grave ingiustizia nei confronti di coloro che hanno (e avranno) l’assegno pensionistico di vecchiaia secondo la legge Fornero. Insomma, se non mancano le ragioni per valutare possibili correzioni, occorre comunque sottolineare il meritorio desiderio dei sostenitori di quota 100 di «risarcire» in qualche misura coloro che, nel recente passato, sono stati penalizzati dalla Fornero, agevolandone l’uscita dal mercato del lavoro.

E allora? Abbiamo più volte ipotizzato possibili vie migliorative dell’operazione quota 100, mettendo l’accento sull’opportunità di agire in particolare su due fronti: il primo, rivalutando il montante contributivo accumulato dal lavoratore in base a fasce di valore, come avviene oggi per le pensioni, e non uguale per tutti, introducendo così quel senso di equità e giustizia spesso dimenticati, senza contare che si avrebbe anche un significativo risparmio di risorse; il secondo, più incisivo, riguarda la possibilità di avvalersi sempre della quota 100 ma con 64 anni di età e 36 di versamenti (soluzione, peraltro, prevista in una prima versione del provvedimento).

Con tale impostazione si raggiungerebbero diversi e importanti risultati orientati nella direzione giusta (sostenibilità del sistema pensionistico, ovvero corrispondenza tra contributi versati e pensioni erogate – che stiamo faticosamente realizzando – e senza la quale si aprirebbe un vuoto difficilmente colmabile): innanzitutto la platea degli eventuali interessati scenderebbe a circa 350mila individui (con un vero e proprio abbattimento della spesa) e poi, viene sottaciuta la circostanza che l’assegno pensionistico (dato dal prodotto tra il montante contributivo e il coefficiente di trasformazione) è, per così dire, più sensibile alle variazioni del coefficiente piuttosto che a quelle del montante. In altre parole, il coefficiente riferito a 64 anni (ora è 5,159%, superiore a quello di 62 anni, 4,856%) moltiplicato per un montante ridotto di un numero contenuto di anni di contributi (nel nostro caso di due anni), restituisce un risultato superiore, cioè un assegno maggiore, rispetto al prodotto tra un montante di poco superiore moltiplicato però per un coefficiente più basso, a tutto vantaggio del pensionato, e non è cosa da poco.

A questo punto, però, qualcuno potrebbe dire che si sta tornando indietro, che si stanno tradendo le aspettative della gente. No, non sono passi indietro, ma ragionevoli comportamenti decisionali all’insegna della giustizia sociale e della tenuta dei conti.

Gli italiani, soprattutto i giovani con carriere discontinue, molto probabilmente capirebbero, sicuramente la Commissione europea e pure lo spread!

 

Domenico Leccese

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