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Tre ragazzi, il diciassettenne C.U. e i due sedicenni A.K. e L.C., il 3 marzo scorso hanno colpito a morte la guardia giurata Francesco Della Corte

Con la collaborazione della Dott.ssa URSULA FRANCO analizziamo il caso dell’omicidio della Guardia Giurata Francesco Della Corte Tre ragazzi, il

Con la collaborazione della Dott.ssa URSULA FRANCO analizziamo il caso dell’omicidio della Guardia Giurata Francesco Della Corte

Tre ragazzi, il diciassettenne C.U. e i due sedicenni A.K. e L.C., il 3 marzo scorso hanno colpito a morte la guardia giurata Francesco Della Corte, 51 anni, mentre Della Corte stava chiudendo il cancello della metropolitana di Piscinola-Scampia, i tre ragazzi l’hanno preso a bastonate in testa.

 

 

 

Francesco Della Corte, nonostante l’intervento neuro chirurgico cui è stato sottoposto, è morto dopo due settimane di agonia

I tre ragazzi, una volta individuati grazie alle telecamere di sorveglianza e ad alcune intercettazioni telefoniche, sono stati interrogati e hanno confessato l’omicidio.

 

A.K. ha dichiarato: “Le notti passano così, a giocare a mazza e pietre. Prendiamo le mazze dalla spazzatura, usando pezzi di vecchi mobili, facciamo saltare un coccio di bottiglia e poi lo colpiamo al volo, con quelle mazze abbiamo aggredito quell’uomo, sapevamo che alle tre di notte faceva il suo giro

Mentre C.U. ha così ricostruito i fatti della notte dell’omicidio: “Volevamo andare a mangiare un cornetto, ma il bar era chiuso. Erano le tre di notte, ci scocciavamo di andare a casa, quando abbiamo visto passare quell’uomo davanti a noi. Sì, ho partecipato anch’io, mi assumo la responsabilità di quanto avvenuto anche se non ho mai colpito quell’uomo. Anzi, quando l’ho visto cadere a terra, sotto i primi colpi, ho pensato che quell’uomo poteva essere mio padre. Ho detto: Stiamo facendo una stronzata“.

Secondo il GIP del Tribunale per i minorenni Pietro Avallone, C.U., A.K. e L.C., hanno “personalità facilmente inclini ad azioni assolutamente gravi per fini devianti e scelti con una stupefacente superficialità” e devono restare in carcere per evitare “la reiterazione dei reati della stessa specie“.

Al momento si trovano nel carcere di Nisida e sono accusati dei reati di omicidio volontario con l’aggravante della crudeltà e di tentata rapina.

La procura ritiene che i tre giovani intendessero derubare la guardia giurata dell’arma in dotazione che però è stata ritrovata in una tasca della sua giacca.

Dott.ssa Ursula Franco : Nulla supporta l’ipotesi che i tre ragazzi fossero intenzionati a rubare l’arma al Della Corte e che lo avessero preso a bastonate in testa con una zampa di un tavolo per renderlo inoffensivo.
Dott.ssa Ursula Franco: I ragazzi hanno colpito il povero Francesco Della Corte semplicemente per agire violenza, ce lo conferma L.C., il quale ha riferito al magistrato che fu lui a proporre di picchiare la guardia giurata: “Ho finito l’ultimo spinello e ho detto: “Guagliù, ora picchiamo il metronotte”.

Ricordo che i miei amici erano contrari, perché non vi era un motivo valido per fare ciò. Preciso che l’intenzione di picchiare il vigilante mi venne proprio appena lo vidi passare. All’arrivo della polizia andammo via, la responsabilità è solo mia, i miei amici hanno fatto da spettatori, sebbene mi abbiano assecondato”.

L.C. ha i genitori separati da quattro anni e un precedente per aggressione risalente a tre anni fa, L.C. prima dell’arresto viveva con la madre e la zia: “Mio nipote l’ho sempre visto come un bravo ragazzo. Gli ho comprato almeno un paio di iPhone, tutti distrutti. La mattina dormiva, la sera usciva. Io gli dissi: Uè basta, devi andare a lavorare. E pareva convinto, aveva deciso di fare il panettiere”

Mentre il padre ha dichiarato: “Che devo dire? Mi dispiace tanto per quel pover’uomo morto. Lo vedo poco mio figlio, da quando la madre se ne andò con un altro, continuo a vivere nel mio scantinato, però mio figlio L.C. stava con la mia ex moglie a casa della zia materna, dove però stanno bene, non gli manca niente. In questi giorni, stava così normale e tranquillo che mi ha chiesto i soldi per comprare le fedine d’oro per lui e la fidanzata, e gli ho dato pure 300 euro, io che mi sono sempre arrangiato. Un figlio viene come vuole lui, come le piante, crescono storte o dritte e tu non ci puoi fare niente“.

A.K. ha i genitori separati e quattro fratelli. Sua madre è malata e cerca di sbarcare il lunario facendo le pulizie in uffici e locali, il padre è parcheggiatore abusivo.

Nessuno dei ragazzi frequentava più la scuola, C.U., A.K. e L.C. dormivano di giorno e uscivano di notte.

La madre di uno di loro era consapevole di avere un figlio “da salvare” tanto che subito dopo l’arresto del minore ha dichiarato ad un giornalista: “Ho detto a mio figlio che ora non mi vedrà più. Io non ci volevo credere che avevano fatto una cosa così assurda. Anche se lui ha guardato solamente, perché io non ci credo che lui ha colpito, ma deve pagare il suo reato. Non ha voluto studiare, lo stavo mandando in Germania a lavorare. Era l’unico modo per salvarsi. Qui c’è il biglietto telematico: giovedì mio figlio doveva partire. Per pochi giorni si è distrutto la vita”.

I giovani C.U., A.K. e L.C. erano parte di un gruppetto criminale disorganizzato di cui L.C. era il “leader”.

Dott.ssa Ursula Franco: Purtroppo nei gruppi di adolescenti in specie le dinamiche di deresponsabilizzazione possono conduce a comportamenti estremi come l’omicidio. Generalmente il gruppo è composto da un capo, da un nucleo centrale o hard core (uno o più soggetti) e da un numero variabile di gregari. Gli appartenenti al gruppo si muovono seguendo input diversi e con fini diversi l’uno dall’altro, è il capo a determinare il livello di violenza delle attività dell’intero gruppo e chiaramente gli altri componenti accontentano il loro “leader” per compiacerlo.

L.C. non ha mostrato senso di colpa o pentimento per ciò che ha fatto, con tutta probabilità è affetto da un disturbo di personalità e ha in parte ragione il padre quando dice che in certi casi “non ci puoi fare niente”.

Dott.ssa Ursula Franco: Un gruppo di minorenni pesta a morte un pover’uomo per gli stessi motivi per cui un ragazzino entra a far parte di una gang criminale strutturata: una famiglia disfunzionale che non lo monitora né per quanto riguarda l’andamento scolastico né per quanto riguarda il tempo libero, il fatto di crescere in un quartiere ad alta densità criminale, il desiderio di appartenenza che lo porta a ricercare un sostituto alla famiglia di origine che è latitante, avere familiari che delinquono, l’aver subito abusi sessuali, la povertà, avere accesso ad armi e droga, l’essere esposto a violenze domestiche, la bassa autostima, l’essere affetto da un disturbo di personalità come può esserlo quello antisociale che è caratterizzato da una bassa tolleranza alla frustrazione e infine il rifarsi a modelli negativi romanzati dalla cultura popolare.

Domenico Leccese

 

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