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ENI: GRIFFA,L’ALGERIA E I DEPISTAGGI. IL CASO S’INTRECCIA CON GLI ARRESTI

di Ferdinando Moliterni Il caso dell’ingegner Griffa, ex responsabile del Cova di Viggiano, potrebbe intrecciarsi con la recente inchiesta congiuntamente

di Ferdinando Moliterni

Il caso dell’ingegner Griffa, ex responsabile del Cova di Viggiano, potrebbe intrecciarsi con la recente inchiesta congiuntamente eseguita tra la Procura di Roma con quella di Messina che ha portato la Guarda di Finanza a effettuare 15 arresti e ad indagare sul presunto giro di tangenti Eni e le relative ipotesi di depistaggio. Al momento Eni non dovrebbe essere indagata. Stando all’inchiesta del pm Laura Pedio, alcuni degli indagati avrebbero attuato presunte manovre di depistaggio per condizionare le inchieste milanesi Eni-Nigeria ed Eni-Algeria. Nell’informativa del 15 settembre 2017 del Gico della Guardia di Finanza, che il Roma ha potuto visionare in esclusiva, gli inquirenti riportano anche di possibili intrecci con la Basilicata.
L’Algeria era proprio la nazione dove l’Eni voleva inviare l’ingegnere Griffa. Il contratto gli era stato sottoposto nell’estate del 2013, pochi giorni prima che l’ex responsabile del Cova decise poi di far perdere le sue tracce. Scomparso il 26 luglio di quell’anno, Griffa venne poi rinvenuto cadavere, in Piemonte, circa due settimane dopo. La sua morte è stata classificata come suicidio.
Tra l’ingegnere e la multinazionale del petrolio vi erano stati, stando al memoriale di Griffa, che gli inquirenti potentini hanno acquisito tra i fascicoli dell’inchiesta Petrolgate, molti problemi. Il giovane 38 enne piemontese era convinto di aver scoperto grosse falle nel sistema gestionale e di funzionamento del centro oli di Viggiano. I suoi ex dirigenti, è quanto denunciato da Griffa nei suoi scritti, non gli davano retta. Anzi, l’ingegnere temeva che lo prendessero quasi per pazzo alle volte: «mettevo ansia nel sistema impedendo agli altri di lavorare opportunamente».
Allora perchè quel luglio del 2013, l’Eni voleva mandarlo in Algeria proponendogli uno stipendio annuale di circa 125 mila euro?
Griffa, però, all’appuntamento finale che avrebbe dovuto suggellare l’accordo non si presentò. Non prese il treno per Milano per recarsi negli uffici Eni. Dopo qualche giorno, come detto, scomparve, e secondo la tesi ufficiale della Procura d’Asti, si suicidò.
Tutta la vicenda è avvolta dal mistero. Sia sul fronte dei dati che Griffa aveva segnalato riguardo il possibile grave inquinamento causato da una mala gestio del Cova, sia per ciò che attiene al suo decesso.
Gli stessi genitori di Griffa riferirono agli inquirenti che il figlio «manifestava propositi anticonservativi quale soluzione ai suoi problemi lavorativi. In sintesi il Griffa riferiva di aver constatato dei problemi di sicurezza nei serbatoi contenenti olio del deposito Eni di Viggiano (Pz), deposito di cui era responsabile. e di essersi prodigato per cercare soluzioni a questi problemi. restando sostanzialmente inascoltato dall’azienda». L’Eni lo rimosse dall’incarico, ma stando al carteggio conservato dai Carabinieri piemontesi, non per liberarsi di lui. Ma per proporgli «un altro incarico in Algeria, incarico che però il Griffa non voleva accettare».
Griffa ebbe anche modo di conoscere colui che lo avrebbe sostituito al Cova. In uno scritto recuperato dagli inquirenti si legge che: «Nel frattempo. infatti, considerate forse anche le numerose lamentele, l’azienda aveva individuato un mio sostituto».
«Sono rinrnsto colpito – scriveva Griffa – quando ho capito che il sostituto, seppur provenendo da una maggiore esperienza ambito produzione e operazioni, era giovane come me al mio arrivo in Val d’Agri (seconda metà 2011)».
«La legge non ammette ignoranza. ma sta di fatto che purtroppo provenendo da studi in ambito di ingegneria di giacimento. con scarse (un anno e mezza circa) di esperienza in un impianto di produzione estero (nettamente più semplice dal punto di vista impiantistico) dove non vivono normative stringenti e non vi sono problemi particolari di sottle-meck con poco-nulla conoscenza di impianti complessi e chimismi con quello della Val d’Agri. ed infine non a conoscenza delle normative ( se non la 624 ed un corso in due giorni per sorveglianti (…) ritenendo di lavorare in ambiente (a prova di bomba) non ho saputo porre rimedi. Mi era fisicamente impossibile poi riuscire a gestire e seguire tutto (4 centrali)».
Le conclusioni del ragionamento a cui arriva Griffa sono: «Solo tardi ho compreso (o almeno credo) il motivo della scelta di persone giovani con scarsa esperienza in ambito operativo in un impianto complesso come Val dAgri».
Ferdinando Moliterni

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