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PIETRO MEREU, IL REGISTA DELL’ITALIA IN VIA DI ESTINZIONE

di Roberta Gambaro Mi trovo in Sardegna, precisamente in Ogliastra, immersa tra l’incanto di acque cristalline e aspri rilievi che

di Roberta Gambaro
Mi trovo in Sardegna, precisamente in Ogliastra, immersa tra l’incanto di acque cristalline e aspri rilievi che sembrano descrivere il carattere del suo popolo, con i suoi contrasti. Mi trovo qui perché attirata dalla realtà sarda raccontata con maestria nei documentari del regista e autore tv ogliastrino, Pietro Mereu. Contatto il regista presentandomi e dichiarandogli che sono lì a ‘causa’ sua. Stupito e lusingato mi concede un’intervista, dicendomi che stava proprio a pochi minuti da dove mi trovavo. Comincia a raccontare della sua famiglia composta da mamma insegnante, papà imprenditore e i suoi tre fratelli, Barbara, Michele e Marcello, i quali riescono a farsi conoscere un po’ in tutto il mondo. Mi racconta di sé, della sua carriera e della sua abilità di descrivere persone e mestieri che via via stanno scomparendo.
Facciamo un gioco…cosa ti fanno venire in mente Barbara, Michele, Marcello e… Pietro?
«Barbara, la tenacia; Michele, la serietà; Marcello, l’intraprendenza e io…la fantasia!»
E se ti dico Ogliastra?
«La casa»
In che ambiente sei cresciuto e quali strade ti hanno condotto al mondo del cinema e della tv?
«Sono nato a Lanusei e cresciuto in un ambiente fertile per la creatività. Ero un bambino curioso e leggevo tantissimo. Mia madre mi ha spinto sempre ad accrescere la mia fantasia. Il mio maestro, Pippo Calderone, ci iniziò al teatro. L’attitudine dell’attore l’ho sempre avuta, puntando a diventare comico. A 27 anni mi sono trasferito a Milano dove ho fatto scuola di teatro. Dopo qualche anno ho frequentato scuola di cinema e tv e ho cominciato a lavorare nel mondo della produzione. Ho lavorato tre anni con Piero Chiambretti come autore del programma “Markette”. Nel 2007 fui autore di “ Modeland” con Johnathan del Grande Fratello e intanto organizzavo eventi. Nel tempo sono riuscito a costruire un’agenda grossa e nutrita, con la quale ho molte connessioni in Italia e con la quale riesco ad arrivare un po’ ovunque in ambito cinema e tv, ma anche in altri. Sognavo di fare l’attore, poi però mi sono reso conto che stare dietro la telecamera mi piaceva di più».
Ti senti più regista, attore o autore?
«Mi sento un po’ di tutto. Ho studiato lirica tre anni, quindi mi sento anche tenore. Il talento lo riconosco perché ho conosciuto e fatto tante cose. Il talento si riesce a percepire proprio per esperienza e conoscenza».
La Sardegna è un punto di partenza o di arrivo?
«Beh, direi di partenza…»
Non solo Sardegna…Nel documentario “Disoccupato in affitto”, realizzato con Luca Merloni, vesti i panni del disoccupato “uomo-sandwich”. Ti aggiri per nove città italiane, da nord a sud, con un cartellone addosso, alla ricerca di lavoro. Le reazioni delle persone che incontri sono le più disparate ma sempre molto solidali e empatiche. Ho recepito un messaggio da questo documentario che, come forma d’arte, sembra voglia comunicare:” Ricordati che se non trovi lavoro, come ultima spiaggia c’è quella che ti rassicurerà sempre: l’arte.” Dico bene?
«Esatto! Erano realmente otto mesi che non lavoravo. Abbiamo cominciato a girarlo nel 2010 ed è uscito nel 2012, arrivando secondo nelle classifiche Coming Soon. Inoltre è stato premiato al Rome Indipent Festival, nel 2011. Ricominciare da lì mi ha dato una energia pazzesca: mi ha fatto credere nuovamente in me e nelle mie attività. Nella vita bisogna sempre mettersi in gioco e non devi avere paura di far vedere chi sei realmente. 
Sapevo comunque che in quel momento non ero più disoccupato. Ero di nuovo, a modo mio, sul palcoscenico. Umanamente è stata un’esperienza pazzesca e commovente, perché tutti in quelle città, chi più chi meno, mi ha mostrato solidarietà. Ancora conservo quel cartello che per me ha una forte simbologia, quasi cristica. Magari un giorno sarà conservato in un museo. C’è chi ancora dopo anni guarda il documentario e mi comunica quanta speranza gli dia ancora».
Dopo il documentario cosa è successo?
«Da quel momento la mia notorietà è cresciuta con varie interviste e recensioni, tra tv e giornali. Feci un reportage con Mediaset rientrando negli ambienti tv. Poi da allora ho cominciato a girare i miei documentari con la mia casa di produzione, la Ilex Production, nata nel 2015. Nel 2013 cominciai a girare “Noi non molliamo: facce e storie dell’alluvione”, sull’alluvione di Olbia. Nel 2015 ho cominciato a realizzare “Il Clan dei ricciai” e sempre in quell’anno avevo ideato un programma intitolato “Senza regole”, sul calcio storico fiorentino, per Rai 4. Ho fatto anche un programma per Real Time con Enzo Miccio. Lo scorso inverno ho girato un pilota con l’attrice Norma Vally, intitolato “Artisanal journey with Norma Vally” che ora stiamo provando a venderlo in America, mentre in Italia, a dicembre, sarà trasmesso “I Manager di Dio”, su tv2000».
Girerai un sequel di “Disoccupato in affitto”?
«Mi hanno proposto di fare il “disoccupato in affitto” in giro per l’Europa ed effettivamente l’idea è allettante, anche perché lo farei con un’altra consapevolezza. Il problema oggi non è l’occupazione ma è la delocalizzazione proposta dalle aziende che vogliono abbassare i costi del personale e non creano avvenire sicuro per le persone. La situazione è veramente esplosiva e c’è un divario assurdo tra vertici e dipendenti».
Hai la grande capacità di saper trasmettere attraverso i tuoi documentari, toccanti e potenti nell’immagine, l’umiltà e la forza dei sardi, come pure il fascino di quelle attività che stanno scomparendo…
«Ti ringrazio. Ne “Il Clan dei ricciai” racconto appunto la storia di questi ex detenuti che si ricostruiscono una vita dopo il carcere, attraverso l’attività del ricciaio. Sia questa attività che quella degli stessi centenari ne “Il Club dei centenari”, intesi come pastori; sia in “Senza regole”, il programma sul calcio fiorentino e lo stesso “Disoccupato in affitto”, dove impersonifico l’uomo-sandwich, raccontano di mestieri che stanno estinguendosi. Lo stesso vale per” Artisanal journey with Norma Vally”, dove metto in risalto l’artigianato italiano che sta man mano scomparendo. Questo è il mio contributo per tramandare alle future generazioni ciò che magari non faranno in tempo a conoscere. É un modo per salvaguardare cose e persone preziose».
Puoi anticiparci qualcosa sui tuoi numerosi progetti in cantiere?
«Ho un progetto che sto sviluppando con una grande casa di produzione. Non posso dire nulla ma… incrocio le dita!»
Terminata l’intervista, termina anche il gioco. In verità non mi sono mossa da dove abito e Pietro non si è mosso da Milano. Questo viaggio, fantasioso e virtuale, mostra l’efficacia e la sensibilità che le opere di questo regista trasmettono. Per (far) viaggiare, a volte, bastano creatività e talento.
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