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L’ULTIMO ROUND DEL TORO DEL BRONX

di Leonardo Pisani «Nessuno è mai riuscito a mandarmi al tappeto. A parte le mie sei mogli».  Così scherzava Giacobbe,

di Leonardo Pisani

«Nessuno è mai riuscito a mandarmi al tappeto. A parte le mie sei mogli».  Così scherzava Giacobbe, pensando che mai nessuno era riuscito a stenderlo al tappeto, batterlo sì ma mai per fuori combattimento. Ne andava fiero; arrivando a irridere il superlativo Ray Robinson, che aveva vinto il mondiale contro di lui, un incontro che per la violenza e il sangue sgorgato da Jake LaMotta fu chiamato il massacro di San Valentino. Ma l’italiano fu fermato dall’arbitro, appoggiato alle corde non voleva andare giù. «Ray hai vinto ma non mi hai steso». I due si erano già incontrati cinque volte, LaMotta ne vinse solo una, ci scherzava: «Ho incontrato tante volte Sugar Ray Robinson che ancora non riesco a credere come non mi sia venuto il diabete»… Ma questa volta però è andato al tappeto, forse se avessero contato fino a 10, il vecchio Toro Scatenato si sarebbe rialzato, anche contro la Morte. Ci lascia uno dei miti della boxe, reso ancora più grande dal capolavoro di Martin Scorsese “Raging Bull” con uno straordinario Robert De Niro nella parte del “toro”; si allenò con Jake per fare al meglio il pugile nel film, ingrassò poi 20 kg per essere poi il Jake anziano. Figlio di un siciliano, figlio dei bassifondi di New York, una vita di stenti nel Lower East Side. Raccontava ridendo: «Eravamo così poveri che a Natale il mio vecchio usciva di casa, sparava un colpo di pistola in aria, poi rientrava in casa e diceva: spiacente ma Babbo Natale si è suicidato». Una battuta così straordinaria, tanto che Alessandro Baricco la utilizzò per il suo “City”. Poi la strada, i furti, gli scontri con l’amico nemico di sempre, un ragazzo che parlava bene il napoletano e male l’inglese ma pestava da far paura: si chiamava Rocco Barbella, diverrà famoso come Rocky Graziano. Poi il riformatorio, come biglietto da visita, dopo aver avuto una proposta sessuale da un detenuto, lo mise ko, poi arrivarono tre secondini e Jake li pestò, aveva quindici anni. Lo bastonarono a sangue ma non cadde. Nessuno poteva.  Sul ring, una furia, non aveva gran pugno ma conosceva la boxe, abile nel corpo a corpo e media distanza, incassatore eccezionale, una boxe poco ortodossa, adattata al suo fisico, portava tutti i colpi. Non era un picchiatore come nel film, ma un fighter, un rullo compressore che sapeva l’arte del pugilato. Non uno stilista ma un signor pugile. Tiberio Mitri raccontò che durante l’incontro per il mondiale, mentre tentava di colpire con il suo diretto destro Jake, lui si abbassava e portava avanti la fronte, per farsi colpire e spaccare la mano dell’italiano.

Che dire di Jake Lamotta, all’anagrafe Giacobbe La Motta, nato a New York il 10 luglio 1921 e scomparso ieri sempre nella Grande Mela a novantasei anni. Rimarrà uno di quegli immortali della boxe, dopo Alì se ne va una leggenda vivente. Campione mondiale dei medi quando batté il grande Marcel Cerdan nel 1949, lasciò il titolo al superlativo Ray Sugar Robinson il 14 febbraio 1951. Medio naturale ma combatteva anche nei mediomassimi, 106 incontri con 83 vittorie- solo 30 prima del limite, 19 sconfitte – solo 4 prima del limite – e quattro pareggi. Tra le sue vittime: Robinson, Marcel Cerdan, Fritzie Zivic, Holman Williams, Bob Satterfield, Tony Janiro, Laurent Dauthuille, Anton Raadik, Tommy Yarosz, Robert Villemain, Dick Wagner, Tommy Bell e Tiberio Mitri.

Rocky Graziano e Jake LaMotta

Quando gli parlavano di Graziano diceva sempre che da piccolo lo chiamavano testa di rapa, Graziano rispondeva: « sapete quanto era popolare Jake da piccolo? Quando giocavamo a nascondino, nessuno lo cercava»…Si parlò di un incontro tra i due, Graziano poi si fratturò il braccio, qualcuno diceva che il gesso era stato messo solo per evitare l’incontro. Troppo amici, di giochi, strada e riformatorio. Jake una volta disse: «Con Rocky ci siamo battuti spesso e a gratis da giovani, perché dovremmo farlo per soldi ora». Lo prendeva sempre in giro al napoletano. Torromeo sentì questa battuta dal vivo su Graziano: «Quando il manager gli ha chiesto: “Vuoi combattere per la corona?”, Rocky  ha risposto: “Uuhh, posso battere la Regina Elisabetta in tre round. Vi giuro che è tutto vero, di mio non ho aggiunto una parola».  Poi «C’era uno che entrava in palestra e si metteva al saccone gridando : voglio combattere contro Graziano, voglio combattere contro Graziano. Dopo qualche settimana, si è avvicinò uno e gli disse: “vedi che sei tu Rocky Graziano”». L’unico suo rimpianto è di aver venduto l’incontro con Billy Fox, un mediomassimo; si fece sconfiggere al quarto round, era la cambiale alla mafia della boxe per poter arrivare al titolo mondiale. Se n’è sempre vergognato, ma fu costretto per avere la possibilità del mondiale. Il resto sono tutte vittorie e sconfitte giuste e pulite.

Certo immortalato nel film di Scorsese, ma la sua vita sembra un film, il ring, un carattere difficile, la terribile gelosia per la bellissima moglie Vicky: arrivò  a picchiare il fratello Giuseppe- pugile e suo manager- perché credeva che fossero amanti. Picchiava le mogli, una rabbia interna. Alla prima di “Toro Scatenato”  di Scorsese ci andò con l’ex moglie Vicky; dopo la proiezione le chiese :«Ma ero davvero così cattivo». Vicky, sorrise e disse :«No Jake.. eri peggio».  Poi dopo il ring, l’alcool: «Mia moglie non si era accorta che ero un alcolizzato fino a quando, una notte, non mi ha visto sobrio».. La galera perché accusato di sesso con una minorenne, giurò che aveva dato un documento falso.  Anche generoso: con i soldi fatti da campione, comprò una casa a Messina per il padre, ci scherzava sempre: «Si fa la bella vita in Sicilia alla faccia mia».

Jake LaMotta e l’ex moglie Vicky, uno scatto di Ron Galella e foto regalata al Consiglio regionale della Basilicata

 

Nel tempo si era addolcito, il Consiglio regionale della Basilicata ha una foto di Ron Galella che ritrae un anziano Jake con la moglie Vicky. Poi la tv, sempre con l’amico del cuore Rocky Graziano, qualche film, apparve nello “Spaccone” con Paul Newman. Un uomo duro, con una vita durissima, segnata dalle tragedie nel 1998: due figli morti giovani, alla quale era legatissimo, Jake Jr. per cancro a febbraio e Joseph in un incidente aereo a settembre. Giacobbe era legato all’Italia, e se la rideva che nel Bel Paese sbagliassero sempre il suo nome: «In Italia mi chiamano Jack e non Jake, in realtà mi chiamo Giacobbe, ma fa nulla. Anzi mi sembra strano che si ricordano di me dopo tanti anni». In realtà non sarà dimenticato mai, resterà nella storia della Noble Art.

 

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