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BPB, CHIUDERÀ LA SEDE DI POTENZA E MOLTE FILIALI IN REGIONE

di Ferdinando Moliterni POTENZA. Un fulmine a ciel sereno per molti dipendenti della banca Popolare di Bari che ieri hanno

di Ferdinando Moliterni
POTENZA. Un fulmine a ciel sereno per molti dipendenti della banca Popolare di Bari che ieri hanno appreso dalle colonne del Roma che di qui a breve per 500 di loro arriverà probabilmente il licenziamento collettivo. La volontà è stata messa nero su bianco dai massimi vertici aziendali in un documento che il Roma ha potuto visionare in esclusiva (in foto, la parte inerente gli esuberi previsti). Tagli che non riguarderanno solo il personale, ma che prevedono la chiusura della sede di Potenza e di diverse filiali sul territorio lucano. Dall’analisi del copioso incartamento, emergono ulteriori dettagli riguardanti gli aspetti citati. La BpB ha previsto tagli di personale in tutte le aree interne di settore. Il più colpito, che tra l’altro riguarda direttamente il capoluogo, è il Centro servizi.
Dei 169 attuali dipendenti, per la Banca ne servono molto meno della metà. Ossia solo 52. Quindi 117 sono le “risorse liberabili”. Viene specificato nel documento che «il recupero di efficienza è rappresentato prevalentemente da processi estesi di outsourcing che interesseranno sopratutto la sede di Potenza».
In pratica, la Popolare, intende chiudere la sede potentina ed esternalizzare i servizi bancari. Affidare, pertanto, a impresa terza le funzioni svolte dagli impiegati di Potenza. In base agli ultimi aggiornamenti il piano di riorganizzazione prospettato, in parte, è più chiaro. Perchè per ogni voce dei servizi la Direzione generale ha indicato il numero degli esuberi. Il totale raggiunge la cifra di 504 “licenziabili” per un risparmio stimato dalla Banca in 32 milioni e 700 mila euro annui.
Ciò in termini prettamente numerici. Per quanto riguarda le motivazioni, le giustificazioni date per la chiusura della sede di Potenza sono varie. Questa rientra, si legge nel documento, tra quelle risorse localizzate che fanno parte di un livello di distribuzione geografica che ha superato le capacità di gestione della Banca. Perchè la stessa, afferma di trovarsi dinanzi un quadro di troppa «frammentazione dei processi operativi e gestionali, divenuti insostenibili». Se da una parte la Banca addossa la colpa dei tagli a congiunture economiche esterne al suo operato, ma influenti su di esso, dall’altra, per quanto affermato, non può non emergere il dato che sono percepibili falle interne all’Istituto. Nonchè delle contraddizioni. Riguardo al primo punto, la Popolare ammette, di fatto, che la sede di Potenza, e altre distribuite sul territorio nazionale, hanno comportato una serie di criticità. Quali, per esempio, l’«inefficienza operativa connessa alla necessità di gestire processi distribuiti su più sedi», l’«allungamento delle fasi decisionali e complicazioni di natura gestionale e di management» e «l’impossibilità di impiegare al meglio le competenze sulle specifiche tematiche dato che la significativa frammentazione dei team spesso non consente di avere tutte le conoscenze necessarie nella sede in cui i processi hanno luogo».
Quindi resasi ineludibile, a detta della Popolare, la razionalizzazione tramite la chiusura delle sedi di Potenza, Teramo e Pescara, si procederà all’outsourcing delle stesse. E rischiano anche le filiali distribuite nella provincia di Potenza. Su quest’aspetto, il documento della Banca, è ancora abbastanza generico. Due cose si sanno in merito.
Che sono ci sono filiali valutate come operanti «su piazze con scarse o nulle prospettive di crescita, presentando un margine operativo non positivo o decisamente inferiore ai livelli di sostenibilità» E che il piano prevede la chiusura già nel 2017 di almeno 20 filiali, «con possibilità di incrementare tale numero nel caso in cui le situazioni al limite non dovessero nel breve tempo tornare a valori economici alla nostra portata e comunque sostenibili».

L’inchiesta partita dalle colonne del Roma (clicca qui per leggere l’articolo precedente) ha portato alla reazione dei sindacati che contestano duramente la scelta. Maggiori approfondimenti nell’edizione del Roma in edicola

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