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CHE DIO CI MANDI FINALMENTE UNA RICOSTRUZIONE ONESTA

Si parlava, ieri, di come una disgrazia possa diventare un’opportunità. I saggi dicevano “chiusa una porta si apre un portone”

luciano-petrulloSi parlava, ieri, di come una disgrazia possa diventare un’opportunità. I saggi dicevano “chiusa una porta si apre un portone” e probabilmente è così. L’importante è che quella opportunità sia per tutti, facendo dapprima gli interessi pubblici e poi in ugual misura quelli dei singoli. In Italia accade tutto proprio così ma con qualche lieve modifica. Chi non ricorda quelle telefonate intercettate nelle quali si trovava compiacimento in una forte scossa di terremoto perché avrebbe portato soldi pubblici, da dividere, evidentemente, non proprio equamente? Noi lucani ci siamo passati, per un terremoto, dico, e sappiamo bene che portò dalle nostre parti tanto di quel danaro da attrarre imprese finanche dal Friuli, salvo vederle poi miseramente fallire, lasciando debiti, cause e lavori non terminati. Ma le imprese iniziarono a spuntare come funghi anche dalle nostre parti. Sembrava che si dovesse ricostruire all’infinito. Tante cose hanno funzionato, come no. Tipo le abitazioni infinitesimali trasformate in abitazioni a norma, a seconda del nucleo familiare. Ad approfittare della insperata ricchezza poi, furono in molti, tipo gli studi legali, pieni finalmente di contenzioso. Tante altre cose non funzionarono. Spreco di danaro pubblico ce ne fu a iosa, ma tutto sommato si è ricostruito, e anche bene, almeno così pare e ci auguriamo. Poi, però, tutte quelle imprese, chiuso il rubinetto della spesa pubblica, hanno smesso di lavorare, le auto di rappresentanza che il drammatico ma ricco momento aveva consentito di acquistare, vendute, e la normalità lucana, fatta di risparmio e disagio, ha riconquistato il suo posto. Le industrie hanno aperto, assunto, attinto e sono fallite. Le zone industriali aperte fra le montagne languono senza dare lavoro, né, ovviamente produrre; le infrastrutture se le sono proprio dimenticate e l’opportunità si è trasformata nell’opportunità di una stagione. Tante cicale, poche formiche, nessuna seria programmazione, vista fino alla punta del naso. Ci volevano terra di industrie, noi che non abbiamo neanche un treno decente, non pensando alla nostra vera vocazione, che è agricola, naturalistica, turistica e poco altro. Ma i truffatori, gli affaristi, gli imbroglioni che fanno i pacchi, in Italia, si buttano come le vespe su una buccia di melone sulla spiaggia di agosto. E allora a ogni disgrazia si fregano le mani soddisfatti: potranno arricchirsi un po’. I politici, poi, recitano sempre la stessa tragi-commedia. Cambiano gli attori, ma i testi e le scene sono le stesse da sempre. Terremoto, case distrutte, lacrime, politici con elmetto che giurano che nessuno rimarrà solo, promesse, stanziamenti e … ci vediamo al prossimo terremoto. Con quanto sinora investito e speso dovremmo essere antisismici nella spina dorsale, figuriamoci le nostre case, che, invece, vengono sempre giù. Si grida ogni volta allo scandalo, poi arrivano un po’ di soldi e tutti si calmano, e, nella sofferenza di chi ha davvero perso tutto, la vita riprende con i soliti affaristi, casomai camuffati, a far soldi. In Italia dove c’è solidarietà si trovano pure l’imbroglio e il losco affare. Sembra quasi che la solidarietà sia, alla fine, solo un velo che cela la più cruda verità, che, come al solito, si riduce a quei due o tre reati che ci accompagnano, nelle cronache, come un motivetto di Sanremo, corruzione, tangenti, e ruberie varie. La politica è riuscita a valorizzare le caratteristiche più bieche dell’italianità, penalizzando quelle buone. Non sarà un caso se l’italiano, nel mondo, viene accostato, quando va bene, a un inutile furbastro, anche se a noi piace dire che ci stimano perché siamo belli, bravi e geniali. Vien da pensare che quelle poche eccellenze costituiscano solo l’eccezione che, da un lato conferma la regola, e dall’altro funziona come la solidarietà, cioè da velo alle vergogne. Stavolta andrà meglio nella ricostruzione in Umbria? Ce lo auguriamo in molti, ma è difficile che si inverta un trend secolare, così, di botto. O no?

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