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SE ANCHE EMIGRARE DIVENTA UN’UTOPIA

Lettere lucane

Ogni volta che la Basilicata e il Sud hanno vissuto congiunture sfavorevoli, crisi economiche, disastri naturali, ecc., una delle soluzioni è sempre stata l’emigrazione, almeno a partire dalla fine dell’800. La questione meridionale coincide con la questione migratoria, anche se non sono mai stato convinto che la prima determini la seconda – penso che in parte sia la seconda a determinare la prima. Infatti più volte nel mio lavoro saggistico e giornalistico ho riflettuto sul fatto che non si emigra soltanto perché “giù” non si trova un lavoro, ma anche per inquietudine esistenziale, per ribellione, per spirito di avventura, per bisogno di libertà. Questa pandemia sta mettendo a dura prova l’economia del Sud – la famigerata “bomba sociale” potrà essere disinnescata solo aumentando il debito pubblico, ormai fuori controllo –, ma il guaio è che questa volta è l’intera economia mondiale a essere in difficoltà, visto che, come scrive il “Sole 24 ore”, “il numero di Paesi in cui l’indebitamento governativo è ora oltre il Pil è balzato da 19 a 30”. Insomma, questa volta non se ne uscirà con l’exit strategy dell’emigrazione. È vero sì che una parte della nostra popolazione si accontenterà di sopravvivere senza prospettive importanti – magari vivendo grazie a pensioni in famiglia, o a casse integrazioni dilazionate ad libitum, o a redditi di cittadinanza –, ma la larga maggioranza dei lucani e dei meridionali che non amano ripiegare su una vita mesta e grigia entreranno in profonda sofferenza, perché anche a farle, le valigie, bisogna subito disfarle, perché questa volta non c’è posto al mondo dove andare, almeno per ora. Il venir meno dell’opzione migratoria metterà in cattività una popolazione da sempre abituata a partire, e cercare altrove quel che non trova o pensa di non poter trovare nella propria terra. E questo è uno scenario inedito dagli esiti imprevedibili.

diconsoli@lecronache.info

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