BIAGIO PROPATO, IL GINSBERG DELLA BASILICATA
Lettere lucane
Ho sempre amato le controculture degli anni ’70. Sono invece sempre stato refrattario ai movimenti politici organizzati, alle ideologie settarie, ai movimenti ben strutturati o alle organizzazioni fondate sulla disciplina, e dunque sul conformismo. Quando ero adolescente, per me la Mecca delle controculture era Bologna, la città di Radio Alice, dei fricchettoni, di Andrea Pazienza, del Dams. Eppure in me a un certo punto prevalse un’attrazione per i centri produttivi ufficiali – dai giornali alla televisione –, anche se non ho mai dismesso un atteggiamento anarchico e scapigliato. Diciamo che mi trovo a mio agio sia in Rai che a una lettura di poesie in uno scantinato di San Lorenzo – il quartiere principale delle controculture romane –, ma la verità è che non sono mai stato davvero organico a nessuna “struttura”. Dico tutto questo perché sono giorni che sto pensando di dedicare una “lettera” a un poeta di Viggianello che vive a Roma da sempre. Si chiama Biagio Propato, è del 1952, e per vivere ha insegnato inglese. Quando mi capita di parlare di lui dico sempre che lui è il nostro Ginsberg, il nostro principale poeta beat. Nel 1986 Propato ha pubblicato un libro, ormai leggendario, intitolato “Gobi, Viaggio nel negativo”, un libro di versi psichedelici e visionari, di cui conservo gelosamente, nella libreria di casa mia a Rotonda, la prima edizione. Propato è un flâneur; e, come molti poeti della scuola romana di poesia – da Bellezza a Paris, da Serrao ad Acitelli – si nutre di incontri e dell’energia di Roma. A me è capitato d’incontrarlo più volte a San Lorenzo e, ogni volta che l’ho incontrato, mi sono sentito felice, perché in lui vedo l’umile poesia dei nostri paesi che s’intreccia con la poesia delle controculture degli anni ’70. In lui vedo Ginsberg e le cantine di paese, il Bulli e Baudelaire, le camicie a fiori e il vino che si beve quando si ammazza il maiale.
