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CALVELLO: “IL PAZIENTE ZERO NON SI TROVERÀ”

Tra affanni della macchina sanitaria, richieste di aiuto e tamponi, Falvella esprime solidarietà anche alla collega Cervellino


La Basilicata passa da zona gialla ad arancione. Abbiamo intervistato la Sindaca di Calvello, Maria Anna Falvella che nel suo comune sta affrontando anche la difficile situazione legata alle positività riscontrate nella Rsa.

Qual è attualmente la situazione a Calvello? «abbiamo 29 persone positive: 27 tra ospiti e operatori della casa famiglia. Stiamo cercando con grande fatica di ricostruire la tracciatura sulla piattaforma però su questo la macchina amministrativa medica dell’ASP è già in affanno, perché hanno difficoltà a fare i tamponi, hanno difficoltà a inserire i tracciamenti, figuriamoci che difficoltà hanno a parlare con tante persone.  Molto stiamo facendo noi sindaci e le amministrazioni (lavorando in sincrono coi medici di base, cercando di fare risponda l’un con l’altro) seppur non avremmo competenze per ricoprire alcuni di questi ruoli, ma davvero sono tanti i cittadini e i nuclei familiari interi la cui tracciatura è purtroppo ancora in corso per la numerosità delle persone coinvolte.

Non è affatto facile, ma non solo a Calvello: credo che i numeri siano già ben oltre le capacità delle nostre macchine operative.  Svariati iniziano ad essere anche i paucisintomatici a casa in attesa di tampone. Ho sentito anche le USCA, per effettuare i tamponi, per cui credo che il nostro sistema sia già ben oltre quello che può sostenere. Abbiamo la fortuna che bene o male, almeno qui, c’è solo una persona della casa riposo che è stata ricoverata perché aveva bisogno di supporto respiratorio, per il resto il medico di base e le USCA stanno gestendo da casa queste persone, però mi rendo conto che se la situazione precipitasse in una percentuale anche minima, moltiplicata per 131 comuni diventerebbe un problema.

A Calvello, se fosse stato per lo stato di salute dei vecchini nella casa di riposo, noi non avremmo mai intercettato cosa stava accadendo. Ce ne siamo accorti perché alcuni operatori entrati in contatto con una persona che asintomatica aveva fatto tempestivamente il tampone, si erano autosospesi, e io vedendo questo numero di 3-4 operatori autosospesi per tutelare la casa di riposo, ho pensato fosse il caso di fare subito tutti i tamponi. La struttura è piena e non ci sono posti che possano essere utilizzati da altro personale.

Ho appena scritto alla Prefettura, alla Regione Basilicata e all’Asp denunciando una situazione insostenibile ma che si può anche vincere se ci dessero una tensostruttura o qualcosa in cui un infermiere e almeno un paio di operatori possano gestirsi in tutta sicurezza ed entrare bardati nella Rsa, dando il cambio agli operatori che sono esausti e soprattutto il supporto per le terapie. Questa credo possa essere una forma replicabile con successo un po’ ovunque. Qualora questo non fosse possibile, le persone positive dovrebbero essere trasferite perché 4 operatori non so quanto possano reggere. Io penso costantemente a loro, ma penso anche alle loro famiglie da cui sono lontani ormai da tempo; è necessario e d’obbligo che qualcuno ci aiuti. La Croce Rossa, l’Esercito, hanno infermieri che come nelle emergenze dei terremoti o altre calamità si possono spostare per poche settimane ed aiutare il territorio».

Quali sono le criticità maggiori nel lavoro in sincrono tra Amministrazione e sistema sanitario regionale? «abbiamo grandi difficoltà già da marzo, e lo dicono tutti i sindaci, ad avere risultati affidabili e tempestivi sui tamponi. La cosa porta allo spiacevole verificarsi di casi in cui le persone sanno di essere positive da Facebook o dalla TV, che è una cosa terribile, comporta che i sindaci non sappiano che rispondere (a me è successo domenica sera di sapere di 41 tamponi effettuati a Calvello mentre me ne risultavano 26 che poi in realtà erano 27 per una persona domiciliata qui ma residente in un altro comune).

Questo ha creato solo entropia, panico e difficoltà anche a capire l’entità del problema da gestire. Un altro problema che stiamo verificando, e chiederò alla Prefettura di intervenire, e che in realtà molti non vanno a fare i tamponi nelle strutture convenzionate che almeno in caso di positività comunicano in piattaforma l’esito, ma vanno a fare tamponi in strutture che rilasciano una certificazione, ma non sono convenzionate quindi si lascia alla singola persona la coscienza di andare dal proprio medico con questo risultato e non creare danni ad altre. Questo sta facendo naufragare le capacità nostre di avere il polso della situazione».

Lei ha dichiarato “Solidarietà alla collega Viviana Cervellino e a Genzano”, cosa ci dice in merito? «dico che noi sindaci siamo tra l’incudine e il martello, molto spesso combattiamo le guerre per le nostre comunità come dico io “con le forchette”. Mai come in questa situazione c’è bisogno di dialogo tra i vari livelli istituzionali.

Che un sindaco, in una situazione come quella di Genzano, ma che può essere anche di Calvello, si veda costretto a fare lo sciopero della fame perché non è ascoltato dalle istituzioni con cui dovrebbe dialogare costantemente, in una regione che è poco più di un rione di una Capitale europea, è una cosa molto grave. È necessario quindi recuperare un dialogo e una comprensione delle tematiche locali che ora sembra essersi interrotto tra la regione Basilicata ed il proprio territorio. Vedere un sindaco minacciare lo sciopero della fame credo sia una sconfitta per la nostra democrazia».

Ripensando ai mesi addietro, quando foste tra i primi comuni a effettuare i “rapid test” per le categorie di cittadini più esposti a contagio, cosa pensa? «Credo che avremmo dovuto rafforzare la macchina per effettuare i tamponi a livello regionale. Noi l’abbiamo fatto in maniera spontanea e grazie alla buona volontà di medici e volontari che si prestarono. Era una situazione di emergenza. Dopo tanti mesi però siamo ancora più in emergenza e questa è già una cosa su cui riflettere.

Per quanto potenziata la macchina operativa, non siamo assolutamente ancora pronti a tutto quello che stiamo gestendo. Ora se fosse corretto, o se fosse ipotizzabile, fare test periodici a tutti non saprei dirlo, perché a volte il tampone viene visto come un passe-partout che consente comportamenti non corretti. Il problema vero è che non tutti rispettano le norme soprattutto in contesti familiari allargati, lì dove maggiormente il virus colpisce: se siamo in giro in ambienti estranei usiamo le precauzioni e ci disinfettiamo, ma tra amici, nelle parentele ciò non avviene. È una catena: il contagio portato dall’esterno nel nucleo familiare, comporta contagi di altri nuclei familiari. In questo modo secondo me si è trasmesso il virus a Calvello ed ormai è una dimensione che non si riesce neppure più a riconciliare con la tracciatura. Il paziente zero qui non si potrà mai trovare, e poi siamo tutti correlati l’uno all’altro per questo credo che nel giro di circa una settimana si sia scatenato tutto ciò».

Come commenta questo passaggio della Basilicata a zona arancione? «credo che sia un fatto obbligato, in realtà molti addirittura nelle attività chiedono in qualche modo una zona rossa, perché ritengono che un lockdown alla vecchia maniera potrebbe abbassare questa curva. Io su questo sono un po’ scettica e credo che senza chiudere tutto, tra zona gialla e zona arancione, mantenendo tutte le misure di sicurezza, potremmo stare. Chiudere il ristorante, come le attività controllate, non credo sia la soluzione, anzi ritengo che siano questi luoghi più sicuri di alcune case di persone che invece ancora non hanno capito come comportarsi. Molti giovani, o “adulti Peter-pan”, si rintanano pensando che tra loro non succeda nulla e poi scopriamo di avere potenziali contagi su altre famiglie. Certo è che nei mesi addietro, così come fino a pochi giorni fa, nelle nostre strade abbiamo avuto persone che non avevano capito quale fosse davvero la situazione. Per un periodo ho vietato il gioco delle carte proprio perché mi sembrava un pericolo di trasmissione ma sono stata costretta a riammetterlo con precauzioni, perché comunque si incontravano fuori dai locali controllati. Non è assolutamente una forma di dittatoriale, ma metodi preventivi anti contagio»

Nell’ottica della prevenzione nel suo comune è fatto anche “divieto di uscire non accompagnati da adulto per ogni minore di 16 anni”. «Sì, sono mamma anche io, di ragazzi di età diverse, anche grandi. Per quanto vi siano tanti giovani responsabili, ne ho visti però anche molti che non hanno avuto accortezze. Nelle settimane scorse, in estate, siamo stati pieni di bambini e ragazzi che giocavano, e parlo di 14/15/16 anni, assembrati intorno a un tavolo e purtroppo quella è una cosa che paghiamo, così come le discoteche per i ragazzi più grandi e gli adulti. Il problema è che anche nei parchi gioco abbiamo trovato adulti presenti che consentivano questi assembramenti, per cui credo che davvero il problema sia che per mesi abbiamo pensato, o voluto pensare, che questo virus non esistesse più. Ora a Calvello questo non possiamo proprio permettercelo, per cui anche con un po’ di provocazione ho preferito vietare l’uscita di bambini e ragazzi sotto i 16 anni non accompagnati. È la scelta che avrebbe fatto una mamma di famiglia».   

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