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IL SENSO PROFONDO DEI CONFINI GEOGRAFICI

Lettere lucane

La storia dei confini geografici mi ha sempre affascinato. Spesso mi chiedo come mai, con il tempo, si siano formate aree geografiche omogenee per lingua, cultura, abitudini, tradizioni. Chi per primo ha tracciato su un foglio un segno, una linea, un cerchio, un quadrato per stabilire che quelli erano i confini della Virginia, della Baviera, della Calabria? Spesso osservo la carta geografica della Basilicata, e mi domando come sia successo che a un certo punto i pugliesi si siano autodefiniti pugliesi, i campani campani, i calabresi calabresi. Chi e perché ha stabilito che oltre i confini della Basilicata la Basilicata non fosse più Basilicata? Mi faccio queste domande anche perché sono di Rotonda, un paese confinante con la Calabria – la contrada dove sono cresciuto, Fratta, è a poche centinaia di metri dal confine calabrese. Chi ha deciso che Fratta fosse Basilicata e non Calabria? In quale consesso o sala affrescata si è deciso che Metaponto fosse Basilicata, che Balvano fosse Basilicata, che Irsina fosse Basilicata? Eppure questo segno che ci racchiude – il cerchio imperfetto e frastagliato che segna i nostri confini – ha un senso, anche se il processo che ha portato a quest’omogeneità ha qualcosa di misterioso. Non mi hanno mai convinto quanti sognano un mondo senza confini. Ovviamente non intendo il confine come un’ostilità o un limite, ma come un’identità in curiosa attesa di conoscerne altre. Ognuno di noi è un “io”, e solo dopo aver perimetro quest’io è possibile che ci s’inoltri consapevolmente in un “tu”. Sono convinto che la stessa cosa valga per i luoghi. Solo quando le storie e le identità locali sono ben perimetrate la condivisione con le altre identità diventa possibile e profonda. Credo, al contrario, che senza confini l’incontro con un “tu” equivalga a un non-incontro.

diconsoli@lecronache.info

 

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