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BPB, FUSILLO E SCATOLE CINESI: C’È PURE LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO

Ancora arresti per gli Jacobini, stavolta coinvolti nel crac Fimco-Maiora da 430milioni

Il “gallo ha cantato”, Vito Fusillo, «condotta collaborativa», e un altro sole è tramontato sulla Banca popolare di Bari: unendo una scatola vuota con un’altra scatola vuota, non si ottiene un contenitore pieno. Anzi, il risultato è un crac finanziario che coinvolge entrambe le scatole: quella della BpB, attualmente commissariata, e l’altra dell’imprenditore Vito Fusillo che a sua volta ne contiene tante altre. Una miriade di scatole cinesi per un buco da quasi mezzo miliardo di euro. Tra queste sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti pugliesi, nelle carte che Cronache ha potuto visionare in esclusiva, anche le partecipazioni nella ormai fallita, tanto per cambiare, Gazzetta del Mezzogiorno. Tra i diversi intrecci Fimco, anche Edisud SpA, società editrice, prima del fallimento per tutti i guai anche del suo vertice indagato per reati di mafia, del quotidiano pugliese. Gianluca, «il figlio importante del presidente Jacobini», come da intercettazioni, e Marco Jacobini sono stati travolti da una nuova inchiesta sulla Banca Popolare di Bari a seguito delle indagini della Guardia di Finanza sulla bancarotta delle società Fimco e Maiora, facenti parte del gruppo imprenditoriale Fusillo. Il Gip di Bari, Luigi Lambriola, ha disposto gli arresti domiciliari per Gianluca Jacobini e Giacomo Fusillo, l’interdizione per un anno invece per Vito Fusillo e Marco Jacobini. Arresti domiciliari sono stati disposti anche per Nicola Loperfido (ex dirigente della Popolare), Vincenzo Elio Giacovelli (amministratore della Melograno Eventi), Girolamo Stabile (rappresentante di fondi di investimento con sedi all’estero), Salvatore Leggiero (immobiliarista campano, rappresentante della Roma Trevi). Le ipotesi accusatorie contestate sono, a vario titolo, bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio.

FIMCO-MAIORA: LA «CASA DEL DEBITO» Fimco-Maiora, dichiarate fallite nel settembre del 2019, hanno «lasciato sul campo» qualcosa «come 430 milioni di euro di debiti consolidati, di cui oltre 78 milioni di pendenze accertate nei confronti del fisco e degli enti pubblici previdenziali». Dal maxi faldone dell’inchiesta emerge come le scelte gestionali dell’imprenditore Fusillo, tra i leader nazionali del settore immobiliare e che aveva trasformato la Fimco «in una vera e propria holding posta al vertice di una miriade di società, tutte partecipate da esponenti della famiglia», sono state «sin dall’origine viziate dalla insana e pervicace strategia di fondare il rischio di impresa non su capitali personali bensì sull’incessante ricorso all’indebitamento bancario» e peraltro in «settori fortemente esposti alle fluttuazioni di mercato come il comparto immobiliare e la gestione di servizi turistico-alberghieri». Dal primo tassello, al secondo: per la Banca popolare di Bari, la posizione del gruppo imprenditoriale Fusillo rappresentava «la principale esposizione» creditizia. Fimco-Maiora era proprio il «principale cliente affidato dalla Banca» e nonostante un certo stato di insolvenza, erano «decotte» dal 2013, dalla BpB le linee di credito milionarie erano sempre aperte. Quando dall’interno della Banca, come l’ex Ad Giorgio Papa, facevano notare che i milioni dati ai Fusillo non sarebbero potuti tornare, «non possiamo permettercelo… questo domani va sotto a una macchina», ma il rubinetto continuava a rimanere aperto, il «Presidente» Marco Jacobini rassicurava, a chiacchiere, «Eh ma Giorgio, lui fa cose belle, fidati, lo conosco da una vita. tranquillo». Rassicurazioni verbali, del resto, come riportato nell’ordinanza cautelare, erano la naturale conseguenza di milioni di euro elargiti anch’essi sulla garanzia delle chiacchiere. Più che come da nome della chat messaggistica di gruppo che Gianluca Jacobini aveva formato con i suoi «fidati collaboratori», tra cui Loperfido, «gestore di fatto degli affidamenti concessi al gruppo Fusillo», detto «the king» o «Loppy», “One against all”, la vicenda BpB-Fusillo appare come una inversione: i soldi di tutti, quelli della Banca e non degli Jacobini, per uno, Fusillo. Restando in tema immobiliare, è stata edificata dai Fusillo, con l’apporto della BpB, quella che gli inquirenti hanno definito «una gigantesca “casa del debito”». “Costruzione” tecnicamente avvenuta tramite una «miriade di sospette operazioni straordinarie intercompany, quasi sempre artificiosamente sorrette da perizie di comodo, redatte da professionisti compiacenti nonché fraudolente segregazioni patrimoniali funzionali al continuo drenaggio di liquidità, sotto il cui peso in realtà da anni ormai insostenibile». E poi c’è quella «corresponsabilità di figure professionali esterne al management societario», Fusillo poteva continuare ad ottenere liquidità attraverso «l’ulteriore indebitamento reso possibile grazie all’evidente ed interessato sostegno del principale creditore finanziario, ossia la Banca Popolare di Bari, giunta ad una esposizione pari a 190 milioni, in termini consolidati verso il gruppo Maiora», le quali si sono «rivelate sistematicamente disponibili ad apportare il proprio contributo decisivo, da un lato, a far aumentare a dismisura una massa debitoria divenuta via via ingente, nella piena consapevolezza dell’ingravescente squilibrio economico-finanziario e dunque dell’insostenibilità di crediti elargiti in spregio a ad ogni regola che presiede alla corretta valutazione del rischio bancario». Per gli inquirenti Jacobini sapeva dei buchi, bilanci truccati e altre carte false, e a confermarglielo è stato proprio Fusillo. Per questo agli Jacobini sono contestate «precise e gravi responsabilità a titolo di concorso negli illeciti commessi dagli amministratori delle società fallite». Tra i «contributi decisivi», a titolo esemplificativo, quello della Banca in «operazioni straordinarie» come la dismissione da parte di Fimco dell’immobile denominato “Palazzo Trevi”. Ci sono operazioni «a costo zero» per i privati imprenditori, ma come da captazioni telefoniche, a «totale finanziamento della BpB». Utili non ce n’erano, anzi in certi casi volavano, come nel caso di Girolamo Stabile, che emerge in alcuni punti dell’inchiesta quasi come “testa di legno” dei Fusillo, le garanzie erano assolutamente «aleatorie», come quelle sulla «capacità del fondo di raccogliere nuova liquidità presso investitori istituzionali». E infatti, tornando a “Palazzo Trevi”, il debito di Fimco, postcessione, «restava su un valore pari ad Euro 53 mln circa, con un patrimonio della società divenuto a quel punto (dopo la dismissione del principale asset) assolutamente incapiente e inadeguato a sostenere un debito di quell’entità».

JACOBINI «CONSAPEVOLI» DELLA «INESIGIBILITÀ» DEI PRESTITI Stabile conduce ad altri lidi ancora: ai fondi di investimento denominati Kant Capital Sca Sicav con sede in Lussemburgo e Kant capital Fund Strategie Business con sede in Gibilterra. Anche del “Piano Kant” gli Jacobini, per l’accusa, sapevano. Gli Jacobini per esempio, sono accusati di aver concesso e reiteratamente prorogato «nuovi affidamenti in favore di Maiora Group spa, nella consapevolezza della inesigibilità degli stessi, nonché costanti e reiterati sconfinamenti sul conto corrente affidato intestato a Maiora». Sempre Papa, del resto, in una intercettazione telefonica lo dice «candidamente» al suo interlocutore: «L’operazione Fusillo-Maiora è un’operazione “campata in aria”».

 

 

 

Ferdinando Moliterni

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