NOSTALGIA DELLA BUONANIMA DI ROCCO FALCIANO

Spesso torna a farmi visita la buonanima di Rocco Falciano. Sono stato suo editore – gli pubblicai, nel 2007, “Il treno d’argento”. Rocco si era formato come artista con Marino Mazzacurati e aveva lavorato con Ettore De Conciliis, e rimane nella storia dell’arte sociale e politica per i suoi acquerelli e i suoi murales. Con Rocco avevo un rapporto molto confidenziale. Gli parlavo delle mie inquietudini di migrante e di padre. Avevo trent’anni, e sentivo, per una devastante nevrosi d’angoscia, imminente la morte.

Anche Rocco aveva le sue angosce: ricordava sempre a Potenza la lunga fila di bare dei morti della strage di Balvano del 1944. E poi mi raccontava di Potenza bombardata, delle durezze economiche a Roma nei primi anni, e dei problemi di cuore che aveva avuto. Rocco era un artista preciso fino all’ossessione – le sue nevrosi si chiamavano etica, serietà. Era sempre tormentato dal sospetto di non aver fatto abbastanza, di non essere stato all’altezza. Aveva la faccia magra e scavata e mi parlava con la dolcezza furiosa di chi ha ingoiato molti rospi.

Conosceva il dolore, ed era pieno di nostalgie per gli anni giovanili vissuti insieme agli artisti e agli scrittori della diaspora lucana. Era molto legato a Vito Riviello – nella cui casa di via del Babuino ho trascorso gli anni universitari – anche se a differenza di Vito era più concreto e riservato. Tanto che quando Vito mi raccontava qualcosa di fantasmagorico della loro giovinezza, io chiedevo sempre conferma a Rocco che, sorridendo,spesso smontava i racconti mirabolanti di Vito. Come fosse ieri lo ricordo paterno davanti a me nello studio della mia vecchia casa. Era talmente umile che veniva lui da me, perché io ero troppo preso dal mio disordine bulimico e da un’angoscia che mi portava a fuggire e a sparire per mesi. Mi sento più sicuro, quando torna a visitarmi – anche ora che non c’è più.

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