BasilicataLettere Lucane

PERCHÉ IL MONTE POLLINO MI È INDIFFERENTE

Lettere lucane

Ho scritto centinaia di pagine sulla Basilicata. Ma non ho quasi mai parlato del monte Pollino, la bella montagna nella quale si trova il mio paese di origine. Ogni mattina, quando vivevo a Rotonda, la prima cosa che vedevo era il Dolcedorme. Anche oggi, quando al mattino esco a bere il caffè, la prima cosa che vedo è la grande montagna. Eppure, da sempre, questa montagna mi è estranea. Una delle montagne più grandi d’Europa – nonché straordinariamente ricca da un punto di vista naturalistico e faunistico – non ha mai suscitato il mio interesse. Ovviamente ci sono stato più volte, e ci ho portato qualche volta i miei figli, ma anche da un punto di vista letterario non è mai diventata un luogo simbolico. Inutile io ripeta le meraviglie di questo Parco Nazionale: basta andare su internet per rendersi immediatamente conto che si tratta del più grande polmone verde dell’Appennino meridionale.

Forse questa indifferenza scaturisce dal fatto che a me piacciono le persone, i drammi, i conflitti, le avventure, i sentimenti, e lì sopra, in mezzo a tutto quel silenzio, io non sento l’odore del sangue dell’umanità, che fiuto alla stessa maniera degli squali. Una sola volta provai un sussulto. Era il 1988, e avevo 12 anni. Un mio cugino che viveva a Roma – si chiamava Marcello, e faceva l’antiquario – mi portò in tenda sul Pollino per una settimana. Arrivati in cima, rinvenimmo il ferro di una zappa arrugginita. Marcello mi spiegò che veniva utilizzata per staccare il ghiaccio, che poi veniva venduto nei paesi per conservare i prodotti. In quel momento la mia immaginazione si accese, ma solo per un attimo: subito dopo tornò la noia. La natura senza le persone mi annoia. Anche quando mi feriscono o mi fanno paura, sono sempre loro – le persone – a suscitare il mio interesse. Per me l’inferno sarebbe la definitiva scomparsa dei corpi e delle parole.
diconsoli@lecronache.info

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