Politica

UFFICIO STAMPA: CICALA SBEFFEGGIA BARDI

Il presidente leghista rischia di mandare la Giunta alla Corte dei Conti


L’ANTEFATTO Il presidente Cicala, anche ad onta di quanto voleva far credere l’addetto stampa della Giunta Calenda in uno dei suoi attacchi a questa testata, ha confermato le voci che lo vedevano in contrasto con il presidente Bardi. Nei corridoi di viale Verrastro si vociferava che Cicala dicesse peste e corna sul Generale, aizzato dal fedelissimo Dg Agostino, sull’operato – a loro dire – border line, per non dire scorretto, del presidente della Giunta e del suo Gabinetto. Sotto accusa parevano essere, infatti, anche il capo di Gabinetto Grauso e il responsabile dell’Ufficio legislativo Ferrara. Sin qui le voci che anche il giornalista più spinto si è guardato bene dal raccontare. Troppo pesante l’accusa e troppo illogico il comportamento. C’era chi giurava di aver ascoltato Cicala dire: «Se quelli là operano contro legge, io mi distinguerò da loro». Un atteggiamento che meritava di essere meglio verificato, prima di essere notiziato. Poche giorni fa però è arrivata la prova. L’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale ha sferrato il colpo finale che rischia di mandare la Giunta (ivi compresi i colleghi leghisti di Cicala, gli assessori Fanelli e Merra) davanti alla Corte dei Conti per danno erariale. L’atto incriminato è l’avviso pubblico per l’individuazione del direttore dell’ufficio stampa del Consiglio.

IL FATTO Non c’è bisogno di ricordare la storia di Massimo Calenda, gli atti e i fatti sulla nomina del Capo Ufficio stampa della Giunta regionale sono tristemente noti alla cronaca. In verità non solo a quella giornalistica, infatti, pare che il caso non sia nelle “cure” solo della stampa e a breve ci potrebbero essere clamorosi sviluppi. La vicenda di Calenda si articola su tre filoni: lo stipendio da dirigente, in assenza della laurea, l’aumento poi ritirato di 40mila euro e l’ipotesi lanciata dalla minoranza di una sorta di «falso» per aver citato nella delibera un curriculum che all’atto della redazione del documento non c’era, ma che è stato trasferito agli uffici solo alcuni giorni dopo via mail. Ma vediamo come le storie dei due uffici stampa si intrecciano. Entrambi vedono il loro capo redattore nominato sulla base della Legge regionale n. 7 del 2001 e sia l’articolo che il comma sono proprio gli stesso, ossia l’art. 2 comma 4 che testualmente recita: «La Giunta regionale e l’Ufficio di Presidenza del Consiglio, ciascuno per le rispettive competenze, provvedono alla nomina dei direttori degli uffici stampa, individuandoli tra gli iscritti all’albo dei giornalisti, elenco professionisti o pubblicisti. L’incarico di direttore è conferito senza il ricorso a procedure di selezione o comparazione». E nell’alveo di tale dettato normativo Bardi e la sua Giunta hanno provveduto alla nomina intuito personae del sig. Calenda. Ma il Dg Agostino, d’intesa con il presidente Cicala, ha fatto licenziare all’Ufficio di presidenza un atto contrario all’operato della Giunta, rischiando così di mandare Bardi e suoi assessori davanti alla Corte dei Conti per danno erariale. O quanto meno dovrebbe uno dei due organi, Giunta o Consiglio, rispondere del proprio operato. Perché non c’è dubbio che uno dei due non ha seguito la procedura corretta. Ma Agostino e Cicala come giustificano questa pesante presa di distanza da Bardi e la sua Giunta? Perché non seguono stringentemente la norma e la prassi e bandiscono un avviso pubblico, aggiungendo anche requisiti d’accesso che nella legge non sono previsti e addirittura individuando per il nominato un emolumento di 1/3 rispetto a quello previsto per l’omologo Calenda? E soprattutto perché per le altre 2 nomine previste sempre dalla Legge regionale n. 7 del 2001 Cicala ha agito senza avviso pubblico pur rientrando le stesse nel novero delle medesime articolazioni normative e fattuali? E cioè sulla Portavoce De Paolis e sul Capo della Struttura d’Informazione Maulella, due professionisti nominati intuito persone e e fedelissimi della famiglia Cicala.

L’ATTO Prima di analizzare le motivazioni legali che Cicala pone a base del provvedimento contrario all’operato di Bardi, va detto che al momento dell’approvazione in Ufficio di presidenza, non risulta essere stato ottenuto il prescritto visto contabile. In sostanza Cicala ha ritenuto di non rispettare, solo per questa postazione, la Legge di riferimento facendone una sua sostenendo che ciò è da ritenersi congruo alla luce del nuovo «CCNL del comparto Funzioni Locali sottoscritto il 21 maggio 2018 che istituisce nuovi profili professionali per valorizzare e migliorare le attività di informazione e comunicazione svolte dalle pubbliche amministrazioni», ritenendo di dover individuare una nuova figura, quella del giornalista pubblico che economicamente va inquadrato con la categoria D. Cicala richiama inoltre la Sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2019, con la quale è stata dichiarata «l’illegittimità Costituzionale» della Legge di riferimento della Regione Lazio nella parte in cui prevedeva che «Nelle more dell’attuazione di quanto previsto dall’art. 9,della Legge n. 150/2000 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni), al personale iscritto all’albo nazionale dei giornalisti che, a seguito di specifico concorso, presta servizio presso gli uffici stampa istituzionali della Giunta e del Consiglio regionale, si applica il contratto nazionale di lavoro giornalistico». L’Ufficio di presidenza del Consiglio ha richiamato inoltre, la sentenza della Corte Costituzionale n. 81/2019, con la quale è stata dichiarata «l’illegittimità Costituzionale dell’art. 1, comma 3, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 5 /2018» in cui si prevedeva pressoché la stessa cosa della Legge della Regione Lazio. E dunque è stato considerato dall’Ufficio che «le sopra citate sentenze n. 10/2019 e n. 81/2019 dispongono che le leggi impugnate violano la sfera di competenza statale che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina del pubblico impiego, giacché la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici rientra nella materia di ordinamento civile e spetta in via esclusiva al legislatore nazionale e che, inoltre, a seguito del processo di privatizzazione, tale rapporto è disciplinato dalle disposizioni del codice civile e dalla specifica contrattazione collettiva, espressamente regolata dall’art. 2 del D.Lgs. n. 165/2001 e ss.mm.ii.». Fin qui la parte che sta più alla superficie della questione. Nell’atto più avanti c’è però un vero e proprio attacco a Bardi e la sua Giunta da parte di Cicala e i suoi uffici. Va ricordato infatti che la nomina di Calenda è avvenuta dopo l’ordinanza di parifica della Sezione regionale di controllo per la Basilicata della Corte dei Conti relativa alla parifica del rendiconto generale della Regione Basilicata – esercizio 2017. E questo è stigmatizzato pesantemente da Cicala che mette in discussione l’operato di Bardi proprio perché a suo avviso avrebbe dovuto operare diversamente dopo l’ordinanza di parifica che ha «sollevato, in via incidentale, la questione di legittimità Costituzionale dell’art. 2, commi 2 e 6 e dell’art. 6, commi 1 e 2 della Legge regionale Basilicata 9 febbraio 2001 n. 7». Ad onor del vero però la Corte dei Conti non si è affatto pronunciata sull’articolo 2 comma 4 cioè su quello del caso di specie. Insomma stante queste precondizioni Cicala ha deciso di operare in senso opposto alla Legge regionale 7 del 2001, contrariamente all’operato di Bardi e di non prevedere la nomina intuto persone e decurtando di 2/3 lo stipendio del suo Capo Ufficio stampa a differenza di quanto fatto dalla Giunta per Calenda.

CONCLUSIONI Tutto quanto qui premesso porta a una sola conclusione: che uno dei due tra Bardi e Cicala ha sbagliato. E che comunque il Presidente del Consiglio, avendo agito dopo, ha di fatto bugerato il Governatore, dimostrando quanto meno una totale disomogeneità amministrativa. Ora però se ha ragione Cicala, l’atto di nomina a Calenda dovrebbe essere ritirato. O se ha operato bene Bardi va ritirato l’avviso che tra l’altro introduce requisiti non previsti dalla norma di riferimento (come la laurea che non è prevista per chi ha già il titolo professionale di giornalista). Diversamente uno dei due dovrà rispondere del suo operato davanti alla Corte dei Conti.

Ferdinando Moliterni

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