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OMICIDIO LIDIA MACCHI, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: TROPPI GLI ERRORI INVESTIGATIVI

Lidia Macchi, una studentessa trovata uccisa con 29 coltellate nel gennaio del 1987 in un bosco a Cittiglio, nel Varesotto. Ieri, Stefano Binda, 19enne all’epoca dei fatti e conoscente della Macchi, che era stato condannato in primo grado dalla Corte d’Assise di Varese all’ergastolo, è stato assolto dalla Corte d’Appello di Milano. Abbiamo intervistato la criminologa Ursula Franco, consulente della difesa di Binda. La dottoressa Ursula Franco si è occupata di casi importanti, dalla morte di Elena Ceste a quella di Maria Ungureanu ed è nota per la sua capacità di ricostruire le dinamiche omicidiarie.

criminologa URSULA FRANCO

ASSOLUZIONE STEFANO BINDA, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: TROPPI GLI ERRORI INVESTIGATIVI

Lidia Macchi, una studentessa trovata uccisa con 29 coltellate nel gennaio del 1987 in un bosco a Cittiglio, nel Varesotto. Ieri, Stefano Binda, 19enne all’epoca dei fatti e conoscente della Macchi, che era stato condannato in primo grado dalla Corte d’Assise di Varese all’ergastolo, è stato assolto dalla Corte d’Appello di Milano.

Abbiamo intervistato la criminologa Ursula Franco, consulente della difesa di Binda

La dottoressa Ursula Franco si è occupata di casi importanti, dalla morte di Elena Ceste a quella di Maria Ungureanu ed è nota per la sua capacità di ricostruire le dinamiche omicidiarie.

Prima della sentenza, la criminologa Franco, rispondendo all’avvocato Pizzi, aveva dichiarato: “La ricostruzione di chi indagò all’epoca dei fatti è lontana anni luce dalla verità storica e, nonostante la verità storica si evinca senza difficoltà dagli atti, la prima ricostruzione non è mai stata messa in dubbio in questi 32 anni. Lidia fu uccisa da un predatore violento, non da un conoscente. Il movente dell’omicidio non fu sessuale. Chi uccise la Macchi desiderava semplicemente uccidere e scelse a caso la sua vittima. Attribuire a qualcuno la lettera-poesia “In morte di un’amica” equivale ad escludere che lo stesso sia l’assassino, perché chi la scrisse mostrò di non essere a conoscenza della dinamica omicidaria. La ricostruzione di un omicidio è il punto da cui partire, una ricostruzione senza smagliature conduce alla verità storica, una ricostruzione sbagliata all’errore giudiziario, come in questo caso”

  • Dottoressa Franco, si può incardinare una condanna all’ergastolo sugli indizi legati alla supposta paternità di uno scritto e all’interpretazione psicologica dello stesso?

No, in specie prima di aver ricostruito l’omicidio. Come si fa a dire che una lettera è stata scritta dall’assassino se non si sa come sono andati i fatti?

  • Dottoressa Franco, che cosa ha pensato non appena è stata emessa la sentenza?

Ho pensato alle tante vittime di errore giudiziario e di come, a volte, un castello accusatorio inconsistente possa crollare in un battito d’ali ma, anche, a quegli errori giudiziari che vengono consacrati dalla Corte di Cassazione. Ne sa qualcosa Michele Buoninconti, condannato a 30 anni per un omicidio mai avvenuto.

  • Dottoressa Franco, si risolverà mai l’omicidio di Lidia Macchi?

No. Il caso Macchi resterà un caso irrisolto a causa degli errori investigativi.

  • Quali errori?

In primis, non sono mai stati ricostruiti con cura i movimenti di Lidia del pomeriggio del giorno dell’omicidio, né la dinamica omicidiaria, né il movente. Identificare il soggetto da lei incontrato nel pomeriggio del 5 gennaio 1987 avrebbe aiutato gli inquirenti a ricostruire il suo omicidio e ad escludere il movente sessuale. Il fatto che non sia mai stata ricostruita correttamente la dinamica omicidiaria ha lasciato spazio all’ipotesi che l’aggressore si trovasse alla guida dell’auto di Lidia e che, quindi, fosse un suo conoscente. La Macchi, invece, fece sedere quello che si sarebbe poi rivelato il suo assassino sul sedile del passeggero, lo provano la posizione avanzata del sedile del guidatore e la dinamica dell’aggressione. E poi, sono stati distrutti gli abiti di Lidia.

  • Che cosa si sarebbe potuto trovare sugli abiti di Lidia?

Il sangue del suo assassino e quindi il suo DNA. Un omicida che colpisce la sua vittima con numerose coltellate, come in questo caso, di frequente, si ferisce, in quanto dopo i primi colpi il coltello si sporca di sangue e gli scivola dalle mani, in specie quando lo stesso, dopo aver colpito il tessuto osseo, si arresta. In omicidi così vecchi, solo una eventuale prova scientifica capace di collocare senza ombra di dubbio un indagato sulla scena del crimine permette di attribuirgli la responsabilità del reato. E’ però necessario che, a monte, si possa contare su una ricostruzione dell’omicidio impeccabile, è da lì che bisogna partire.

  • E, invece, lo sperma raccolto durante le prime indagini, e poi scomparso?

Lidia non ebbe rapporti sessuali con l’omicida, quello sperma non avrebbe permesso di identificare il suo assassino ma, lo ripeto, se fosse stato attribuito al suo donatore, avrebbe evitato che si seguisse l’errata pista dell’omicidio sessuale.

  • Dottoressa, cosa è successo il 5 gennaio 1987?

L’ipotesi più plausibile, che non solo si confà a tutte le risultanze investigative ma che ricalca anche la casistica in tema di omicidi di questo tipo, è che Lidia e il suo assassino non si conoscessero e che fossero rimasti insieme pochissimi minuti, il tempo che impiegarono per raggiungere il bosco di Sass Pinin e il tempo della commissione del delitto. Chi uccise Lidia Macchi non si intrattenne con lei né per consumare un rapporto sessuale consenziente, né per violentarla sotto minaccia, né post mortem. Lidia incontrò il suo assassino per caso e nulla lascia pensare che lo conoscesse, lo raccolse in un posto particolare, un ospedale; questo soggetto può essersi spacciato per un medico, per un infermiere, per un parente addolorato, per disabile ed aver convinto la povera Lidia ad accompagnarlo da qualche parte, forse alla stazione di Cittiglio, che si trova poco distante dal bosco di Sass Pinin, luogo del ritrovamento del cadavere. Chi uccise Lidia si era organizzato per uccidere, aveva condotto il coltello con sé lasciando al caso la scelta della vittima e, con tutta probabilità, raggiunse l’Ospedale di Cittiglio in treno o a piedi. E’ alquanto improbabile, infatti, che l’assassino di Lidia, che era deciso ad uccidere qualcuno, avesse lasciato nel parcheggio dell’Ospedale la propria auto e, dopo aver commesso l’omicidio, fosse tornato a riprenderla, questo perché, conoscendo bene i luoghi, sapeva che, data la poca affluenza nel parcheggio dopo le 20.30, avrebbe rischiato di essere notato. Lidia fu uccisa intorno alle 20.15 del 5 gennaio 1987 e fu ritrovata da tre amici intorno alle 9.00 del 7 gennaio, pertanto, il suo corpo rimase a lungo in quell’area, circa 36 ore; al momento del ritrovamento il cadavere era coperto da un cartone, cartoni simili vennero individuati dagli inquirenti in una discarica a poca distanza dall’auto, il lungo tempo intercorso tra l’omicidio e il ritrovamento del cadavere ed il tipo di omicidio, un omicidio premeditato e a sangue freddo, dove non c’è spazio per il rimorso, ci permettono di inferire che, con tutta probabilità, a coprire il corpo esanime di Lidia fu un soggetto estraneo all’omicidio che, forse perché pregiudicato, non si rivolse alle forze dell’ordine, posto che la zona era frequentata da coppiette, prostitute, transessuali, tossicodipendenti e spacciatori.

  • Riguardo a Giuseppe Piccolomo, che ha commesso due omicidi in tempi diversi e che confessò alle figlie l’omicidio della Macchi, che può dirci?

Proprio perché non è mai stato isolato il DNA dell’assassino di Lidia, non si può pensare di escludere il coinvolgimento di Giuseppe Piccolomo sulla base del confronto del suo DNA con quello ritrovato sulla busta della lettera- poesia, che non fu scritta dall’autore dell’omicidio.

  • Riguardo alla poesia anonima recapitata a casa Macchi e considerata decisiva dagli inquirenti, la madre di Lidia ha affermato: “Quando è arrivata, il giorno del funerale, ho subito pensato che fosse stata scritta dall’assassino. Quando l’ho letta, mi ha dato impressione che descrivesse la morte di mia figlia”, dottoressa Franco, ci spieghi meglio il perché non fu l’assassino a scriverla?

Perché la corretta ricostruzione della dinamica omicidiaria permette di escludere senza ombra di dubbio che l’autore della poesia avesse commesso l’omicidio. L’autore anonimo, infatti, non solo non ha fornito informazioni riguardanti l’omicidio che non fossero note a tutti ma ha mostrato di non conoscere né la dinamica omicidiaria, né il movente. Chi scrisse la lettera, infatti, riportò l’ipotesi della prima ora diffusa dai familiari di Lidia e dai giornali, un’ipotesi errata.

  • Dottoressa Franco, l’avvocato di parte civile, Daniele Pizzi, legale della madre della Macchi, ha continuato a chiedere a Binda di dire la verità.

Binda ha sempre detto la verità, non ha ucciso lui Lidia Macchi. È paradossale che Pizzi abbia continuato a chiedere risposte Stefano Binda. Sono le procure italiane che devono ricostruire nei dettagli gli omicidi di cui si occupano e dare risposte ai familiari delle vittime, non gli imputati, soprattutto quando sono estranei ai fatti.

URSULA FRANCO
  • La mia speranza e di quelli che da anni la seguono attraverso il suo blog https://malkecrimenotes.wordpress.com/ (MALKE CRIME NOTES) è che gli avvocati difensori, quelli di parte civile e le procure, per risolvere i casi, si affidino sempre di più ad esperti criminologi, è evidente, infatti, che noi contribuenti, gli indagati e le famiglie delle vittime ne potremmo trarre grande giovamento, una riprova l’abbiamo avuta ieri con l’assoluzione di Stefano Binda. Dottoressa Franco, buone vacanze.

GRAZIE !

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