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OMICIDIO LIDIA MACCHI: LA CRIMINOLOGA URSULA FRANCO REPLICA ALL’AVVOCATO DI PARTE CIVILE

L’imputato, Stefano Binda, 51 anni, conoscente della Macchi, è stato condannato in primo grado dalla Corte d’Assise di Varese all’ergastolo. La criminologa Ursula Franco, che è nota per la sua capacità di ricostruire le dinamiche omicidiarie, un anno fa, ha fornito una consulenza alla difesa dell’imputato.

LIDIA MACCHI

OMICIDIO LIDIA MACCHI: LA CRIMINOLOGA URSULA FRANCO REPLICA ALL’AVVOCATO DI PARTE CIVILE

Milano, 18 luglio 2019

Questa mattina si è tenuta la seconda udienza del processo d’appello per l’omicidio di Lidia Macchi, una studentessa trovata uccisa con 29 coltellate nel gennaio del 1987 in un bosco a Cittiglio, nel Varesotto.

L’imputato, Stefano Binda, 51 anni, conoscente della Macchi, è stato condannato in primo grado dalla Corte d’Assise di Varese all’ergastolo.

La criminologa Ursula Franco, che è nota per la sua capacità di ricostruire le dinamiche omicidiarie, un anno fa, ha fornito una consulenza alla difesa dell’imputato.

L’udienza di oggi è stata caratterizzata da un colpo di scena, l’avvocato bresciano Piergiorgio Vittorini ha riferito ai giudici che un suo cliente, nel 2017, gli ha confessato di essere l’autore della lettera-poesia “In morte dell’amica”, lettera che era stata attribuita a Stefano Binda: “Non conoscevo Lidia Macchi, ma condividevamo lo stesso contesto di Comunione e Liberazione a Varese. Ho scritto io la lettera inviata alla famiglia di Lidia Macchi”

L’avvocato di parte civile Daniele Pizzi, che assiste i familiari della vittima, ha proposto istanza di ricusazione del collegio giudicante, ritenuto “assolutamente prevenuto” di fronte a qualunque eccezione presentata dalla difesa di parte civile. Pizzi ha aggiunto che sono 30 anni che la famiglia Macchi attende la verità. Una verità processuale aderente alla verità storica.

La criminologa Franco ha risposto all’avvocato Pizzi:

“La ricostruzione di chi indagò all’epoca dei fatti è lontana anni luce dalla verità storica e, nonostante la verità storica si evinca senza difficoltà dagli atti, la prima ricostruzione non è mai stata messa in dubbio in questi 30 anni. Lidia fu uccisa da un predatore violento, non da un conoscente. Il movente dell’omicidio non fu sessuale. Chi uccise la Macchi desiderava semplicemente uccidere e scelse a caso la sua vittima. Attribuire a qualcuno la lettera-poesia “In morte di un’amica” equivale ad escludere che lo stesso sia l’assassino, perché chi la scrisse mostrò di non essere a conoscenza della dinamica omicidaria. La ricostruzione di un omicidio è il punto da cui partire, una ricostruzione senza smagliature conduce alla verità storica, una ricostruzione sbagliata all’errore giudiziario, come in questo caso”

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