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IL “LUCANO” CHE CONQUISTO’ LA LUNA

Rocco Petrone, era originario di Sasso di Castalda

Di Leonardo Pisani

One, Two, Three… Nine , Ten .. Gooo, la voce era possente, era quella della “Tigre “ della Nasa, così era chiamato per la sua grinta ed il possente fisico da giocatore di football. Chissà se avrà contano a mente anche in dialetto lucano, che non aveva imparato dal padre, scomparso troppo giovane , ma dalla madre e zii , che gli raccontavano sempre del paese, della nonna, di quel luogo povero ma magico. Erano partiti da Sasso di Castalda con la sola speranza di una vita migliore, quel 16 luglio 1969, Rocco Petrone diede inizio a un altro viaggio, il più fantastico, che doveva portare sulla Luna. Sì, da millenni ispiratrice di poeti e scrittori, di miti e leggende, anche terribili come i licantropi.

La Luna meta di viaggi immaginari di  Luciano di Samosata e Cyrano De Bergerac, dalle intuizioni futuristiche di Jules Verne a  al romanzo fantascientifico di H. G. Wells, al cinema di Georges Méliès nel  Viaggio nella Luna del 1902 al capolavoro  2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick del 1968. Un anno dopo si avverò in quella corsa alla conquista dello spazio tra Sovietici e Americani, e gli tra gli artefici, due personaggi diversi, diametralmente opposti. Un tedesco e un lucano, un nobile e un figlio di emigranti, o come l’i ha definiti Renato Cantore nel suo saggio “Dalla Terra alla Luna Rocco Petrone, l’italiano dell’Apollo 11 “ edito da Rubbettino, il Conte e il Contadino: «Wernher e Rocco, von Braun e Petrone: già i nomi raccontano di una assoluta diversità, di una distanza apparentemente incolmabile. Von Braun era il raffinato scienziato tedesco dall’aspetto austero e lo sguardo di ghiaccio, biondo, occhi azzurri e mascella volitiva, figlio di un barone di antico casato; l’inventore dei micidiali missili di Hitler passato con gli americani a guerra finita. Petrone, invece, era un giovane ufficiale dell’esercito dal nome che più italiano non si può, ingegnere meccanico, figlio di emigranti arrivati in cerca di  fortuna nel paese delle mille opportunità, con il fisico imponente, i capelli neri, l’incarnato scuro e lo sguardo vivace che ricordavano le sue radici nel sud più profondo dell’Italia contadina».

Rocco Anthony Petrone, un uomo che non voleva passare alla storia, ma alla fine, suo malgrado ci è entrato 50 anni fa esatti. Nato a Amsterdam nello stato di New York il 31 marzo 1926 da due lucani di Sasso di Castalda, Antonio, che fu valoroso soldato nella grande guerra combattendo nell’Isonzo e in Albania. Poi diventato carabiniere fino al congedo nel febbraio del 1920, con il premio di congedo prese in moglie quella ragazza che lo aveva aspettato, con timore e speranza durante la guerra, Teresa De Luca, contadina, ventuno anni, che sposò il 17 aprile del 1920 e poi il viaggio verso “le Americhe” ad Amsterdam, a due ore da New York dove viveva  Rosaria, una sorella di Teresa. Insieme al marito Antonio Rotundo. Lì nacquero Giovanni e Domenico, poi il terzo che fu chiamato Rocco in onore del Santo patrono di Sasso di Castalda e Anthony all’americana come il padre. Sei mesi dopo la tragedia, Antonio muore in un incidente di lavoro, lasciando Teresa e tre figli. La vita fu dura, ma il piccolo Rocco dimostrò quella grinta da tigre, la  madre era operaia in una fabbrica di guanti e Rocco dovette darsi da fare per aiutare la famiglia effettuando consegne a domicilio di ghiaccio.  E studiando e con profitto.

Come scrive Cantore: «Si distinse tra gli allievi della Wilbur H. Lynch High School di Amsterdam, dove si segnalò tra i migliori diplomati, con ottimi voti in tutte le materie. Eccelleva nelle materie scientifiche, ma dimostrava una autentica passione per la letteratura e la storia. Impressionava docenti e compagni soprattutto per la sua prodigiosa memoria. Era in grado di ricordare quasi parola per parola un testo letto anche molti giorni prima, e nei calcoli era praticamente imbattibile. In quegli anni si fece notare anche nelle attività sportive. Giocava da lanciatore nel torneo cittadino di baseball in una squadra chiamata Hurricane, l’uragano. E soprattutto mostrò subito di avere la stoffa del leader. Per i risultati raggiunti negli studi meritò il riconoscimento di honor student e, all’apertura dell’ultimo anno di corso, fu lui il prescelto come salutatorian, lo studente che tiene il discorso inaugurale a nome di tutti i suoi compagni all’inizio dell’anno scolastico». Poi la decisione di entrare nella mitica West Point, l’accademia militare d’elite degli Usa, dove avevano studiato il generale e poi Presidente Usa Grant e il generale Custer, con scarso profitto, ambedue.. Ma per un figlio di italiani era difficile entrare, scrive Renato Cantore: «E chi poteva garantire per questo giovane figlio di emigranti? Gli insegnanti della Linch High School, che conoscevano le potenzialità del ragazzo, si rivolsero al più autorevole uomo politico locale, Bernard Kearney, un repubblicano eletto alla Camera dei Rappresentanti nel trentunesimo distretto elettorale di cui Amsterdam faceva parte. Fu grazie al suo appointment che Rocco fu ammesso a partecipare alla prima prova selettiva nel febbraio del 1943, mentre ancora frequentava l’ultimo anno di scuola. Superato questo esame, partecipò alle durissime prove di ingresso che, allora come oggi, servivano a valutare la preparazione culturale, le doti fisiche e la personalità degli aspiranti cadetti, ai quali si chiedeva in particolare di dimostrare l’attitudine alla leadership. E anche queste prove furono superate brillantemente. Possibile che nel 1943, in piena Seconda guerra mondiale, quando molti italo-americani preferivano cambiarsi il cognome pur di nascondere la loro origine, un ragazzo che portava un nome che più italiano non si può fosse ammesso all’Accademia di West Point?». Petrone non lo cambiò, il possente giocatore di football tra i cadetti, si sentiva italiano, anzi lucano, era cresciuto sa i sassesi d’America.

Lettera di Petrone al sindaco di Sasso di Castalda Antonio Rotundo ( archivio familiare Rotundo)

Ed arrivò il giorno di ritornare nel vecchio continente, era il 1947, fu mandato ad Esslingen, nell’allora Germania Ovest, nel Baden-Württemberg, ma mamma Teresa gli diede un compito: doveva andare a Sasso di Castalda a salutare la nonna Rosa. Inutile spiegare che andava in Germania, troppo lontano. Ma alla prima licenza, al giovane Rocco venne la curiosità di andare nel paese di origine, quello di cui aveva tanto sentire parlare.  Nei racconti da piccolo. Una sua intervista Petrone raccontò: «L’ultimo tratto del mio primo viaggio in Italia lo dovetti fare in un taxi azionato a manovella. Quando arrivai a casa di mia nonna rimasi interdetto dalla sua indifferenza e scoprimmo insieme che la lettera spedita due mesi prima per farmi riconoscere e presentarmi, arrivava con lo stesso taxi che aveva trasportato me. Da allora non riuscì mai più a dimenticare di essere figlio dell’Italia, nonostante non abbia mai frequentato associazioni e comunità italiane negli Stati Uniti».  Infatti mantenne rapporti stretti con il suo paese di origine, anche con una fitta corrispondenza con uno dei sindaci storici di Sasso di Castalda: Antonio Rotundo. Basilicata, l’antica Lucania, quasi un segno del destino: La chiamiamo Luna come gli antichi latini,  ma il nome deriva da un più antico louksna, a sua volta proveniente dalla radice indoeuropea leuk dal significato di “luce”. Appunto come Lucania, forse dal sanscrito Luc ovvero  terra della Luce.

Coincidenze, forse sì , forse no, fatto sta che quell’Apollo 11 con Neil Armstrong e Buzz Aldrin partiti da dal Kennedy Space Center, con destinazione Luna, porta il lavoro e la tenacia della “Tigre” Rocco Petrone.

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