Blog

C’È CHI HA DETTO NO – STORIE DI MAGISTRATI CONTRO LA LOGICA DEL “CANE NON MORDE CANE”

Il Csm-scandalo dura da 10 anni: ecco i pm puniti (e dimenticati)

LUIGI CATRINI :

Il Csm è un organo costituzionale che dovrebbe difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Le toghe che non hanno avuto paura di toccare i fili scoperti degli intrecci tra poteri che dovevano controllarsi tra loro, e invece si sono seduti alle stesse tavolate, sono stati puniti, cacciati dai loro uffici, costretti ad abbandonare inchieste che poi si sono perse nei vicoli della malagiustizia, obbligati a trasferimenti dolorosi per le loro carriere e le loro vite private, indotti a dimettersi e a intraprendere altre strade o comunque intimiditi con accuse pretestuose.
Nell’articolo le loro storie.

Il Csm-scandalo dura da 10 anni: ecco i pm puniti (e dimenticati)

C’È CHI HA DETTO NO – STORIE DI MAGISTRATI CONTRO LA LOGICA DEL “CANE NON MORDE CANE”

di a cura di Vincenzo Iurillo e Giuseppe Lo Bianco

Il trojan installato sul cellulare del pm di Roma Luca Palamara, leader di Unicost ed ex consigliere Csm, ha svelato i segreti e le inconfessabili trattative tra le correnti giudiziarie, con il contorno delle interferenze della politica, sulle nomine dei vertici dei maggiori uffici giudiziari. Trattative che hanno ridotto a mercimonio una delle funzioni più importanti del Consiglio Superiore della Magistratura: quella di decidere i capi delle Procure e dei Tribunali. Il Csm è un organo costituzionale che, come insegnano a chiunque apra per la prima volta un manuale di Diritto pubblico, dovrebbe difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Ovvero dei pm e dei giudici che, in nome di questo principio, dovrebbero essere tutelati dalle aggressioni dei politici e dalle pressioni degli altri poteri. Invece il Csm ha finito per infliggere sanzioni o impedire promozioni ai magistrati che, proprio in nome del sacrosanto principio di indipendenza e autonomia, hanno osato ribellarsi alla logica del ‘cane non morde cane’, hanno indagato su altri magistrati collusi, hanno condotto inchieste scomode, hanno emesso provvedimenti sgraditi. Il risultato è stato devastante: le toghe che non hanno avuto paura di toccare i fili scoperti degli intrecci tra poteri che dovevano controllarsi tra loro, e invece si sono seduti alle stesse tavolate, sono stati puniti, cacciati dai loro uffici, costretti ad abbandonare inchieste che poi si sono perse nei vicoli della malagiustizia, obbligati a trasferimenti dolorosi per le loro carriere e le loro vite private, indotti a dimettersi e a intraprendere altre strade o comunque intimiditi con accuse pretestuose. Ecco le loro storie.

ANTONIO INGROIA

Tanti guai per i processi su mafia e politica fino all’“esilio” ad Aosta

Ha lasciato la toga nel 2013 dopo che il Csm lo aveva trasferito ad Aosta: “Sarei rimasto in magistratura – ha detto l’avvocato Antonio Ingroia – se mi fosse stata data la possibilità di mettere a frutto la mia esperienza ventennale di pm antimafia in Sicilia. Ma c’è chi non vuole, Csm in testa”. Protagonista negli anni di un lungo braccio di ferro con il Consiglio Superiore il ‘padre’ della Trattativa ha collezionato numerosi procedimenti disciplinari, archiviati, per avere espresso più volte il suo pensiero. Per poi avere riconosciuto, una volta smessa la toga, che durante l’esercizio della giurisdizione “ha tenuto un comportamento irreprensibile, svolgendo le funzioni in maniera equilibrata e credibile”. Oggi lo scandalo non lo ha sorpreso: “A capo dell’Anm fino a qualche anno fa, Palamara non ha mai sollevato un dito a difesa dei pm della ‘Trattativa’ diffamati da ogni parte politica, ed era considerato magistrato ‘equilibrato’ con ‘grande senso delle istituzioni”’.

ANTONINO DI MATTEO

Una raffica di procedimenti perché indaga su Stato&mafia

Prima lo hanno escluso preferendogli tre colleghi più esperti in inglese e nell’uso di Skype, ritenuti più importanti dell’esperienza maturata in 17 anni di processi di mafia; poi gli hanno proposto un trasferimento “per motivi di sicurezza”, rifiutato. Infine lo hanno bocciato di nuovo, perché alla sua domanda non era stata allegata “l’attestazione sul richiesto parere attitudinale”. Titolare di indagini delicatissime sulle relazioni occulte tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra, dopo 22 anni di antimafia tra Palermo e Caltanissetta il pm Nino Di Matteo ce l’ha fatta al quarto tentativo ad arrivare in Dna dopo che il Csm, nel marzo 2017, ha valutato gli stessi titoli in modo opposto. E dopo un procedimento disciplinare, concluso con un proscioglimento, per un’intervista del 2014 sulle telefonate intercettate tra Mancino e Napolitano nell’inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia. Il mese scorso, per un’altra intervista, l’hanno escluso dal pool sui mandanti esterni delle stragi.

FRANCESCO MESSINEO

Non bloccò le indagini dei suoi pm: trascinato dinanzi al Csm

Lo hanno accusato di essere “debole”, di gestire la Procura “in modo non adeguato”, persino di avere contribuito con la mancata circolazione delle informazioni tra i suoi pm alla mancata cattura di Matteo Messina Denaro. A capo della Procura di Palermo durante l’inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia, Francesco Messineo è stato accusato anche di avere subìto i condizionamenti di Antonio Ingroia nella gestione dell’Ufficio. Accuse che presupponevano il trasferimento per incompatibilità ambientale, poi archiviate. In quegli anni il Csm non gli ha perdonato di avere avallato la strategia del pool Trattativa nella gestione delle intercettazioni del Quirinale, e di avere avallato l’intervista del pm Nino Di Matteo che aveva confermato l’esistenza delle conversazioni tra il ministro dell’Interno Mancino e il presidente Napolitano. Infine il Csm lo lasciò al suo posto: “Non ha perso la capacità di esercitare con piena indipendenza e imparzialità le sue funzioni”.

ROBERTO SCARPINATO

Criticò le istituzioni ricordando Borsellino: anche lui finì al Csm

Dal palco di via D’Amelio, il 19 luglio 2012, si era rivolto a Paolo Borsellino: “Caro Paolo, stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere”, e quelle parole costarono a Roberto Scarpinato un procedimento disciplinare del Csm che mise a rischio il suo trasferimento da Pg di Caltanissetta allo stesso incarico a Palermo. In quell’occasione a sostegno di Scarpinato si schierarono 530 magistrati firmatari di una lettera appello al Consiglio Superiore, numerosi familiari di vittime di mafia (tra cui Agnese, Salvatore e Rita Borsellino) ed esponenti della società civile e il Csm alla fine archiviò l’accusa. Consapevole che il Csm non lo avrebbe nominato procuratore nazionale antimafia, egli stesso ritirò l’anno scorso la sua candidatura per dare al nuovo capo della dna, Cafiero De Raho, la “piena legittimazione” necessaria per il delicato incarico.

LUIGI DE MAGISTRIS

Punito e cacciato per “Why Not” riabilitato con ritardo di 10 anni

ACatanzaro sviluppa fascicoli che da prassi altri colleghi lasciavano marcire a modello 45 e poi archiviavano. Così il pm si fa un sacco di nemici. Con Why Not e Poseidone scoperchia un verminaio di intrecci tra magistrati, politici e imprenditori, che passano attraverso studi legali e società di consulenza, intorno ai finanziamenti pubblici in Calabria. Quando scopre che il procuratore capo Mariano Lombardi è amico dei suoi indagati, ne secreta le iscrizioni con atto straordinario e in cassaforte, procedura imparata quando fu uditore dei pm di Napoli Cantelmo e Quatrano, che nella Tangentopoli napoletana fecero lo stesso con l’allora presidente della Camera, Napolitano. Il resto è storia: i suoi superiori lo neutralizzano avocandogli i fascicoli, lui denuncia tutto a Salerno, il Csm lo punisce spedendolo al Riesame di Napoli. Poi viene eletto eurodeputato in Idv e si dimette dalla magistratura con una lettera durissima a Napolitano. Dal 2011 è sindaco di Napoli.

HENRY JOHN WOODCOCK

Tutta la vita sotto procedimento disciplinare, da Potenza a Napoli

Alle polemiche e agli insulti sulle sue rumorose inchieste ha sempre ribattuto il silenzio. Eppure da una quindicina d’anni provano a fargliela pagare. Da quando Cossiga si lega al dito l’arresto del suo ex addetto alla sicurezza implicato in una storia di tangenti e appalti, e invia un esposto al Csm in cui accusa il giovane pm di aver disposto una custodia cautelare per un reato che non lo consentiva. Assolto. Da allora, più Woodcock alza il tiro sugli intoccabili, più fioccano procedimenti disciplinari e per incompatibilità ambientale. Ne uscirà sempre intonso. Tranne in un caso, l’ultimo. Uno strascico dell’indagine Consip, che gli costa la censura per aver involontariamente violato il riserbo di una vita. Repubblica spiattella una telefonata che doveva rimanere privata e Woodcock viene punito dal Csm per non aver obbedito a un ordine del procuratore reggente. Viene però assolto dall’accusa più grave: sentire Vannoni come testimone e non come indagato fu una procedura corretta e non violò i suoi diritti.

CLEMENTINA FORLEO

Su Bancopoli voleva processare anche i Ds: espulsa da Milano

Nel 2008 il Csm del vicepresidente Nicola Mancino la sanzionò con il trasferimento per incompatibilità ambientale al Tribunale di Cremona, punendola per alcune dichiarazioni ad Annozero e a Oggi sui “poteri forti” che avrebbero concorso alla scalata Unipol-Bnl, di cui si era occupata come Gip di Milano, inviando alla Camera le intercettazioni di Fassino, Latorre e D’Alema per l’ok a indagarli. “Sarà stato un caso, ma prima di quelle inchieste sono sempre stata considerata un ottimo magistrato – disse –, ma tutto è cambiato dopo la decisione di trascrivere telefonate imbarazzanti”. Il suo fu il primo trasferimento per incompatibilità ambientale deciso dal Csm dopo la riforma Mastella dell’ordinamento giudiziario, che ha inasprito questo istituto. I ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato le hanno dato ragione e nel 2011 Forleo è tornata a Milano. Ora è Gip a Roma: sul suo tavolo le richieste di rinvio a giudizio di Lotti, Scafarto, Del Sette&C. per Consip.

ANNAMARIA FIORILLO

Si difese dagli insulti per il caso Ruby: punita (e poi scagionata)

Ci volle una sentenza della Cassazione per annullare una sanzione del Csm e sancire che il pm del Tribunale dei minori di Milano aveva il diritto di difendersi da una diffamazione. E così Annamaria Fiorillo, punita per “violazione del riserbo”, ottenne giustizia. Sullo sfondo, uno dei casi più bollenti del decennio: l’affaire Ruby e la telefonata in Questura di Silvio Berlusconi per la “nipote di Mubarak”. Fiorillo rilasciò interviste affermando che il ministro Roberto Maroni aveva mentito. Il leghista disse che la procedura della Questura di Milano, che affidò la marocchina minorenne al consigliere regionale Nicole Minetti, era regolare e fu compiuta con l’avallo del magistrato. Non era vero. Il pm Fiorillo aveva ordinato l’accompagnamento in comunità. “La tutela dei magistrati contro denigrazioni diffamatorie è, oltre che compito del Consiglio Superiore, un diritto per ciascun magistrato”, scrisse la Cassazione. Il Csm avrebbe dovuto difenderla, non sanzionarla.

ALFREDO ROBLEDO

Si occupava di Expo, ma il capo non voleva: trasferito a Torino

Atrasferirlo a Torino tre anni fa fu una decisione del Csm redatta da Luca Palamara, dopo una lettera del presidente Napolitano che ricordava gli ampi poteri per i capi degli uffici dopo la riforma del 2006. Protagonista dello scontro con il procuratore di Milano Bruti Liberati, l’aggiunto Alfredo Robledo, titolare di delicate inchieste, dai fondi distratti dalla Lega all’Expo 2015, ha lasciato sei mesi fa la toga dopo l’ultimo ‘schiaffo’ del Csm, l’estate scorsa: la mancata conferma nelle funzioni semidirettive contro cui ha fatto ricorso al Tar e alla Corte europea dei Diritti dell’uomo. “Bruti Liberati? Mi disse che avrei dovuto seguire le sue indicazioni perché la mia nomina a procuratore aggiunto era stata resa possibile dal voto di differenza di un consigliere di Md – ha detto nei giorni scorsi – aggiungendo che lui avrebbe potuto far uscire dall’aula al momento del voto quel consigliere della sua corrente dicendogli di andare a fare la pipì e io non sarei stato nominato”.

LUIGI APICELLA E DIONIGIO VERASANI

Indagavano a Salerno su colleghi calabresi: uno a casa, l’altro fuori

Apicella guida la Procura di Salerno ed è vicino alla pensione quando viene travolto dal ciclone della ‘guerra tra Procure’, come fu erroneamente definita (anche da Giorgio Napolitano) l’aggressione dei magistrati di Catanzaro al suo ufficio. Il Csm lo sospese dalle funzioni e dallo stipendio mettendolo fuori ruolo, punendo anche i suoi sostituti: la Nuzzi scaraventata al Riesame di Latina e Dionigio Verasani al Riesame di Cassino. In base a una ricostruzione dei fatti che il gip di Perugia riterrà infondata, archiviando il procedimento penale sui magistrati salernitani: i loro provvedimenti erano corretti, la richiesta di atti a Catanzaro si fondava “su basi normative plausibili”, il sequestro dei fascicoli fu compiuto “per realizzare un fine di giustizia” e non certo, come insinuato dal Csm, per fare un favore a De Magistris e ostacolare i suoi nemici. Nel luglio 2009, Apicella decise di dimettersi dalla magistratura “per una sanzione che incrina la mia fiducia nella giustizia”.

GABRIELLA NUZZI

Indagava su denunce di “Dema”: catapultata da Salerno a Latina

È la pm di Salerno che ha indagato sui magistrati calabresi e i politici accusati di aver complottato contro il pm di Catanzaro Luigi de Magistris per sottrargli i fascicoli Why Not e Poseidone. Dopo diverse istanze formali senza esito alla Procura generale di Catanzaro per ottenere la copia del fascicolo e verificare la fondatezza o meno degli esposti di De Magistris, Nuzzi ne ordinò il sequestro. Catanzaro reagì con un atto illegittimo e irrituale, controsequestrando le carte e indagando i pm salernitani, sui quali non avevano competenza. Il decreto di perquisizione monstre, di circa 1500 pagine, viene usato dal Csm di Napolitano e Mancino come pretesto per sanzionare Nuzzi e i colleghi, procuratore capo Apicella compreso. Lei perderà le funzioni inquirenti e finirà al Riesame di Latina. L’allora presidente Anm, Luca Palamara, commentò: “Il sistema ha dimostrato di avere gli anticorpi”. Ora Nuzzi lavora al Riesame di Napoli.

FONTE : ilfattoquotidiano.it

AVVOCATO ANTONIO INGROIA:

“Ringrazio Il Fatto Quotidiano che ricorda quello che tanti preferiscono dimenticare.

E cioè che le mie dimissioni dalla magistratura non furono il frutto di una mia libera scelta, ma la conseguenza di una vera e propria persecuzione istituzionale e mediatica subìta dai tempi del processo Contrada, e poi del processo Dell’Utri, e poi delle inchieste “Sistemi Criminali” e sulla “mancata perquisizione del Covo Riina” ed infine con l’indagine “Trattativa Stato-mafia” nell’arco di 20 anni, dall’arresto di Contrada (1992) fino alla richiesta di rinvio a giudizio di Mori, Subranni, Dell’Utri, Mancino, Mannino e c. nel processo Trattativa (2012). 20 anni di guerra contro un PM che si ribellava al principio di diseguaglianza imperante in magistratura e che invece si ostinava ad applicare il principio che tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge, e il colpevole che riveste pubbliche funzioni è ancora più colpevole degli altri. 20 anni alla fine dei quali ho capito che era il momento di “salvare” le indagini e i processi che rischiavano di essere travolti insieme a me dalle polemiche contro di me.

E ho deciso di cambiare “campo” facendo l’attivista politico (solo “attivista” perché parlamentare non sono stato mai) e l’avvocato per avere più libertà d’azione e cercare di cambiare le cose da un’altra postazione di battaglia. Ho avuto ragione e questo articolo de Il Fatto mi dà ragione.

La magistratura e il CSM, purtroppo, sono ancora peggiorati ed hanno conquistato altro potere i carrieristi, gli omologati e gli opportunisti.

Intanto, ho salvato l’indagine ed il processo “Trattativa” che, grazie a Di Matteo e gli altri PM a cui ho passato il testimone, è approdato alla convalida della condanna di primo grado da quella Corte d’Assise con i giudici popolari che fortemente volli da Procuratore Aggiunto (e con ragione…).

Ma la guerra non è finita e non abbiamo perso. Bisogna solo cambiare terreno di battaglia e strategia, e voi, amici, lettori e cittadini liberi e indignati, in questa battaglia avete un ruolo essenziale, fondamentale. Bisogna attivarsi ed organizzarsi.

Non è più solo il momento di resistere, è il momento di agire e reagire, esigendo che i collusi del Sistema vadano a casa. Senza tatticismi e con intransigenza. Io sono pronto alla prossima battaglia, e voi? {Cit. Antonio Ingroia}

Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com
error: Contentuti protetti