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ELOGIO SEMISERIO MA NON TROPPO DELLA CARCHIOLA

Le prime notizie sono del XVI secolo, era il pane dei poveri, per questo disprezzata, ora richiesta e rara

Ebbene sì. Ho scritto questa Apologia semiseria ( ma non troppo) della carchiola. Apologia perché è un gran piatto della cultura contadina.
Semiseria perché ho giocato tra verità e finzione, tra realtà e verosimile ; tra cronaca e invenzione  Non troppo perché la carchiola è tra quelle pietanze da conservare e valorizzare.  Un piatto le cui origini si perdono nella notte dei tempi, ma che ha qualche documentazione storica  dal 1500. Era il piatto dei poveri, dei contadini, dei ”vrazzal” come con disprezzo venivano chiamati ad Avigliano, oppure di quei cusci, cantati da Beatrice Viggiani e descritti dal capolavoro del mai dimenticato Vito Fiorellini: “L’ultimo dei Cusci”, dove ironia e amarezza con toni giocosi, descrivono quella fetta di popolazione, dal carattere testardo, ostinato, laborioso fino alla cocciutagine. La purfiria aviglianese, quella perfidia di voler domare tutto e tutti, par: tendo dalla terra, anche la più arida. Dicevano: “Terra quann n vir, ngasa quann serv». Parafrasando. coltiva ogni zolla di terra, ogni centimetro possibile, a casa solo per dormire o se fa cattivo tempo, che non permette di lavorare. Piatto di altri tempi, era essenziale il camino, perchè serviva il fuoco vivo e la brace e degli utensili di ferro, appositi anche nella forma circolare, come la mitica carchiola. 

Ricordo quel pomeriggio autunnale; un cielo grigio,reso ancora più scuro dal morire del sole. Una umidità da toccare con mano; rendevano quelle strettole ancora più piccole e faticose a salire. Ma come si poteva fermare una peste di 6 anni; difficile se non impossibile. Quel quartiere era il mio regno; da esplorare sempre; da marcare. Ogni tanto lo sgridare di qualche anziano o a scappare per non incappare nella scopa minacciosa di qualche “ziana” di Gret a Rocc. Ebbene sì da noi gli adulti si chiamano “zian” lu zian, la ziana per rispetto. Quel rispetto di una volta, ma non parlo di secoli fa, anche se sembra preistoria. Poteva essere il 1975 dopo cristo; anno più anno meno. Nel mio girovagare da piccolo ramingo aviglianese, a volte se faceva troppo freddo o si era annoiati si entrava in casa di qualche vicino. Era normale, si viveva quasi da famiglia allargata e controllavano; eccome se controllavano che facevi. Il grande Fratello Aviglianese. Però aveva i lati positivi. Sentivi un gridò «uagliò vien qua» Entravi dicendo buongiorno o buonasera e ti arrivava una caramella, un dolce fatto in casa; a volte anche una salsiccia. Ricordo per esempio le caramelle artigianali fatti con zucchero e miele; le caramelle dei poveri si diceva;  quadrate e di color giallino. Molto dolci e zuccherose. Ne ricordo ancora il sapore. Inutile dire che non si fanno più. Quel pomeriggio inoltrato; non posso certo ricordare il perché ma forse non c’era il perché: busso da Zia Lucia. Tras Tras Narducc.. Entro; giro screanzato per ogni stanza; mi richiama e trovo lei. La Carchiola. Bella calda appena  tolta dal camino. E si; per una  ottima carchiola ci vuole solo il rosso fuoco di un vero camino; il resto è plagio come capita ultimamente. La Carchiola è fatta solo di cicc ovvero granoturco; è doppia ed alta perché doveva sfamare ed è quasi azzima. Ma saporita.

Già all’epoca era difficile mangiarla; si stava perdendo al tradizione. Mica solo per problemi tecnici; i camini non tutti li avevano e vabbè; lo strumento inventato dagli artieri aviglianesi cioè la “ r’ ticula ”, la griglia di forma circolare con un perno centrale che dà la possibilità di girare la carchiola senza spostarla dal fuoco. No il motivo era altro. La carciola era considerato il piatto dei poveri; quando il pane bianco era per ricchi ed il pane nero… pure. Il povero contadino aviglianese altrimenti chiamato cuscio s magnaia la carchiola; se era fortunato con la verza; se era un natale forse usciva pure un pezzo di lardo se no pazienza solo carchiola o acqua sala; o acqua sala e poi la carchiola ma non tutti i giorni. Ebbene sì; il motivo è che “ fucàzza r’ cicc’ sotta à la coppa  era ra p’zziend, da poveri; quindi un piatto che con il relativo benessere doveva scomparire dalla tavola. Ricordava troppo la fame e la povertà ancestrale. Ed ora? A parte che non si trova più; ormai pochi sono capaci di prepararla e soprattutto di cuocerla ad arte; ogni tanto c’è un revival; ma è una carchiola come posso dire tecnicamente è na sola… E quei rari locali che   la offrivano se la facevano pagare a peso d’oro. Come cambiano i tempi; una volta fui invitato forse verso il 1987 o giù di lì all’apertura di un locale in una frazione del Ducato di Avigliano; ebbene sì prima c’erano 4 feudi normanni: Avigliano, Montemarcone, Agromonte e Lagopesole poi Federicuccio II li ridusse a 2: Avigliano e Lagopesole poi con i Doria solo uno il Ducato di Avigliano e da lì iniziarono le lotte intestine che ancora oggi si protraggono… 
 Ometto i particolari onde evitare non una querela e neanche una mazzata in testa ma solo perché poco importa. Ebbi ragione io. Insomma due conoscenti di qualche parte della Lucania; li chiamo il Gatto e La Volpe..  mi dissero che volevano aprire un ristorante proponendo piatti tipici tra cui quelli aviglianesi; sciorinarono una long list – ora di dice così-  possibili pietanze ; il baccalà sempre presente. Evviva la Fantasia; ma mancava sua Maestà La Carchiola.  “Ma scusate volete fare il ristorante da cucina casereccia, piatti tipici ecc; ma manca la carchiola . Non la fa nessuno proponetela”. Ovviamente lo dissi  in aviglianese stretto, linguaggio che il Gatto e La Volpe comprendevano… Mi guardarono e abulicamente rispose uno dei due, non ricordo se il gatto e la volpe del contado .. «Ma tu si ciut; chi s’ la magna…». Venti anni dopo alla Dumas; mi ritrovai con uno ; non ricordo se il gatto o la volpe in una sagra; a parlare di valorizzazione di prodotti tipici. Sorpresaaaa…: “Mi disse sai vorrei organizzare un  convegno sulla Carchiola e la sua valorizzazione!” . La mia risposta  al collodiano gatto-volpe miscelata : «Ma tu si ciut…»  Mi guardò e mi chiese il perché.. «Hai perso 20 anni e mo t’arrucuord r la carchiola. Quando la potevate fare anni io non capivo niente e nessuno se la sarebbe mangiata in un ristorante. Ora che è difficile trovare i cicc adatti, chi la sa cucinare ha l’età di matusalemme e la volete valorizzare. Volete proporre L’aria fritta».

L’Alsia ha proposto una valorizzazione, ma riportare in auge un piatto tradizionale, non è facile. Va oltre la mera questione tecnica e l’abilità nel cucinare.: è un’operazione culturale e dovrebbe partire dal basso con associazioni, ristoratori e altro. Peccato; però vi assicuro che piatto da pezzenti o no; la carchiola cu la verza è una delle 8 meraviglie del mondo almeno per me e pure per Crocco; il generalissimo per vantare le virtù di Ninco Nanco scrisse nelle vere memorie: «Non fece mai mancare la carchiola ai fratelli». Ebbene sì; mi manca la carchiola.. Chissà se qualcuno un giorno la riesumerà e farà l’elogio della Carchiola… Quella vera “a pur stravagand….”; quella di una volta quando i sapori erano sinceri e veri e senza voler cadere in uno stucchevole romanticismo quando la creatività riusciva a inventare un signor piatto nella scarsità di mezzi. La Meravigliosa Carchiola che corre il pericolo di scomparire e vivere solo nei racconti o nei ricordi orali va salvata; se no diverremo noi gli p’zziend , i poverini che perdono il sapore della genuinità  che palpita ancora  nelle lande e nei boschi della Lucania. Per ora…..

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