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LA FONTANA DI ZI’ GAETANO

DI GIAMPIERO D’ECCLESIIS Il sole, di un giallo impastato di notte, si spegneva piano dietro il profilo morbido della collina

DI GIAMPIERO D’ECCLESIIS

Il sole, di un giallo impastato di notte, si spegneva piano dietro il profilo morbido della collina all’orizzonte e l’erba gelata scrocchiava sotto i suoi passi; il cane, un botolo bianco peloso, lo seguiva trotterellando.

Il silenzio intono al casale era rotto solo dal rumore del suo incedere spedito e dal vento di gennaio che soffiava incostante tra i rami ancora spogli del ciliegio e del pruno.

Aveva un bel torace possente Luigi e spalle larghe da zappatore, le sue gambe, un po’ corte ma forti e leggermente storte, davano al suo incedere caracollante un aspetto insieme buffo ed energico.

Il sentiero che dal suo casale menava giù per la Salandrella era tortuoso e sfiorava i piedi rocciosi delle ardite guglie di pietra arenaria al cui riparo aveva costruito la sua casa ad est, cercando con cura un basamento di roccia stabile che la ponesse al riparo da quelle argille ballerine che bordavano i monti rocciosi, perennemente in viaggio verso il fondovalle e di lì, per il tramite del fiume, verso lo Ionio.

Lungo il sentiero si allineavano gli olivi contorti, come sentinelle affaticate bordavano quel cammino millenario verso il fondovalle.

Quel rumore improvviso, come di un legna ormai secca che si spacca e quel rombo gli giunsero improvvisi ponendolo in allarme. Lungo il pendio alla base della costa rocciosa le cadute di massi e le frane rovinose erano frequenti e quel rumore di roccia che si spacca e che rotola a valle gli era familiare.

Cadde il masso. Con un frastuono d’inferno un torrente di polvere ed arenaria arrivò nella valle portandosi via parte del sentiero dove Luigi doveva ancora passare. Perle di sudore gelate sulla sua fronte e un battito potente nel petto; il suo cane guaì di paura e gli si fece vicino, Luigi cercò una cengia rocciosa sotto cui avere riparo e sedette in attesa del prossimo rumore, del prossimo crepitio, all’imboccatura di una grotta.

Il sole piano scendeva e pian piano la luce perdeva quella nota aranciata del tramonto per virare al blu sempre più scuro che preannuncia il buio delle notti limpide invernali, con migliaia di stelle immobili nel cielo e il gelo sempre più intenso.

Luigi seduto pian piano si mise a dormire col cane accucciato ai suoi piedi poi, d’un tratto, lo raggiunse una nenia lenta cantata con voce ipnotica mentre dall’interno della grotta un fioco riverbero si faceva strada fino ai suoi occhi.

La paura era intensa, come aveva fatto a non accorgersi che era scappato su per la mulattiera proibita? Come aveva fatto a dimenticarsi dei mille racconti fatti in paese sulla strega Carusa che aveva fatto la sua casa in una grotta in quella mulattiera che si apre verso ovest a metà del tratturo che scende alla Salandrella? Tremava Luigi, ma la curiosità lo chiamava giù per la grotta, e seguendo quella malia, scese furtivo.

Il basamento sabbioso della grotta non emetteva rumori e man mano che scendeva, lungo il fondo in pendenza della grotta, gli giungeva più chiaro il canto della strega mentre il chiarore cominciava a disegnare ombre inquietanti davanti ai suoi occhi febbrili e mobili alla ricerca di ogni possibile pericolo; l’odore del fuoco gli giungeva forte alle narici misto ad un aroma dolciastro e ad un profumo di paglia.

Poi, dopo una piccola curva, lo vide.

L’antro della strega era ampio, scavato in tempi remoti da chissà quali mani e per chissà quali scopi segreti. La camera, vagamente circolare, aveva tutta intorno un gradino scolpito che correva lungo il perimetro, come un lungo sedile e, al centro, sopra un basamento di roccia con base quadrata, rialzato rispetto al fondo della camera, un fuoco con sopra una sorta di grosso calderone di rame intorno a cui si affannava la strega cantando la nenia.

D’un tratto s interruppe il suo canto.

–mmmm, sento l’addore! De ommo e de cane. Viene giovine, viene. Carusa nun faie male a nessuno! E poi in questa casa, il padrone di casa non permette che si faccia del male a chi si rifugia qua. Vieni avanti – .

Quanti anni aveva la strega Carusa era impossibile a dirsi. Una gonna nera le copriva anche i piedi, una camicia bianca a ricami con sopra uno scialle nero chiuso sul davanti da una spilla di osso. Una crocchia di capelli bianchi e neri, un naso a becco d’aquila e un taglio al posto della bocca, e poi gli occhi.

Tagliati obliqui e di color del cielo, mobilissimi, con le palpebre e l’arco sotto il sopracciglio tinto di nero, due fari azzurri immersi in orbite nere, lucidi come diamanti e taglienti come lame di ghiaccio.

Con la mano dalle unghia lunghissime fece cenno a Luigi, sempre più spaventato, di farsi avanti e gli porse una ciotola presa dal calderone di rame. Al cenno incerto di Luigi prese una cucchiaiata dalla ciotola per mostragli che era buona e poi rise di una risata argentina che riempì la grotta di fiocchi di ghiaccio mossi da un turbinio di vento invernale.

Luigi mangiò, poi bevve e poi la Strega si avvicinò.

– Hai avuto paura? Chi ti pensavi che era Carusa? Ma per il cibo che ti ho dato devi pagare e il prezzo lo stabilisco io.

Aprì quello scialle e quella camicia e alzò quella gonna.

Bianchissima come la luna la sua pelle col solo contrasto cremisi dei capezzoli su quei suoi seni grossi, ma non cadenti, e quel triangolo nero al vertice del compasso delle sue gambe tozze, un po’ muscolose, ancora salde. Luigi pagò. Pagò a lungo quella notte per la ciotola di cibo e per il rifugio.

Il sole del primo mattino lo colse disteso all’imboccatura della grotta. Il suo cane ancora al suo fianco.

E la strega? E Carusa dov’era? La grotta era vuota e il camerone al fondo della grotta disabitato.  All’interno non c’era più nulla, né il calderone, né le tracce del fuoco, né gli stracci della strega,  Luigi impaurito fuggì su al Paese.

All’ingresso del paese il vecchio mulattiere lo vide arrivare di corsa, con gli occhi spiritati e con quel nero di cenere cosparso nell’arco sottostante le sopracciglia.

-Fermati Luigi! ‘Ndù vaie? Hai fatto tardi?-

Luigi imbarazzato rispose

–Ho dormito dal Compare-. Lo prese per il braccio il mulattiere

Aspetta. Lavati la faccia prima, Carusa si diverte sempre a lasciare un segno.-

La fontana de ‘Zi Gaetane buttava sempre acqua, u Zi’ Gaetano in persona lo guardò prima che Luigi si specchiasse dell’acqua, e Luigi ne ebbe paura.

Nello specchio d’acqua della fontana vide i suoi occhi incorniciati di nero fumo e subito dopo Carusa che lo guardava sorridendo. Prima di addormentarsi la strega aveva detto:

-La prossima vota che ne verém sarà l’ultima. T’aspetto da u Zi’ Gaetane

Si sciacquò dal viso il nero fumo e quando riaprì gli occhi Carusa era scomparsa.

Quanto girò Luigi per il vallone secco e per il torrente, quanto chiamò la notte cercando la strega; le notti si fecero mesi e i mesi anni, Luigi non riuscì mai più a incontrare Carusa.

Morì da solo in una di quelle notti d’inverno, con migliaia di stelle immobili nel cielo e il gelo che si fa sempre più intenso, quando passò il funerale nessuno fece caso a quella donna in nero ferma davanti alla fontana del satiro, la fontana de u Zi’ Gaetane.

Il suo funerale fu breve, con quei pochi frettolosi nipoti dietro alla bara, da lontano, quella strana signora dalla lunga gonna nera, con la camicia bianca ricamata chiusa in uno scialle e dal viso  illuminato da occhi lacrimosi azzurri come il cielo, solcato da lunghe strie di lacrime e fuliggine, rimase immobile in attesa, quando la bara fu nella fossa bevve un lungo sorso d’acqua dalla fontana del satiro e andò via.

Se a Garaguso vi fermate a bere alla Fontana del Satiro buttate uno sguardo alla vostra immagine riflessa nell’acqua, di tanto in tanto qualcuno vede degli occhi azzurri sovrapporsi ai suoi, lo sguardo di Carusa vi regala la buona fortuna.

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