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Per Nicola Zingaretti subito le prime grane ?

Tesoriere e capigruppo, le prime grane di Zingaretti

Tesoriere e capigruppo, le prime grane di Zingaretti

di Rudy Francesco Calvo su HuffingtonPost Italia

La vittoria era forse prevista, anche se non con dimensioni così imponenti. Eppure Nicola Zingaretti non ha ancora affrontato il tema della squadra che lo affiancherà alla guida del Partito democratico nei prossimi anni. Non lo ha fatto nelle settimane precedenti le primarie, né in queste ore successive, nelle quali ha piuttosto ostentato il suo rispetto quasi maniacale della forma (che lo vuole segretario a tutti gli effetti solo a partire dalla proclamazione in Assemblea nazionale, domenica 17 marzo), non volendo mettere nemmeno piede al Nazareno e, anzi, allontanandosi il più possibile da Roma. Qualche trasferta, come quella di ieri a Torino, pochi passaggi televisivi (domenica è in agenda un’intervista da Fabio Fazio), poi tanto lavoro dietro le quinte. “Dobbiamo essere molto umili e molto, molto, molto uniti”, è il mantra ripetuto anche in queste ore. E Zingaretti, per indole personale e per tendenza a conciliare piuttosto che esaltare le differenze, è veramente tentato di rispettarlo fino in fondo, anche nella selezione dei dirigenti. Si trova però a fare i conti con una spinta decisa di molti suoi sostenitori, alla luce anche dei numeri emersi dai gazebo, che vorrebbero assecondare fino in fondo la spinta al rinnovamento espressa dagli elettori dem. Senza compromessi, senza cedimenti. Una posizione espressa soprattutto da quella sinistra interna che in questi anni ha sofferto lo strapotere renziano, negli organi dirigenti e nelle liste elettorali. Sono due i nodi che dovranno essere sciolti abbastanza in fretta. Il primo è quello del tesoriere, che dovrà essere eletto per Statuto dall’Assemblea, su proposta del segretario. Zingaretti ha affidato ad Antonio Misiani il compito di andare a spulciare le carte lasciate da Francesco Bonifazi, che oggi ha tenuto a precisare come i conti siano “in equilibrio”.

E tuttavia le casse sono vuote, i dipendenti in cassa integrazione (con scadenza a fine luglio) e i territori reclamano risorse. Il lavoro da fare, insomma, è tanto e delicato. Misiani ha tutto il know how necessario, avendo già ricoperto questo incarico sotto la segreteria di Bersani, ma non è detto che questo basti. A quella gestione, infatti, si rimproverarono spese ritenute eccessive e l’inizio dei guai con i dipendenti. Il saldo finale fu un passivo di 10,8 milioni di euro. Frutto di scelte politiche, naturalmente, da imputare quindi al segretario più che al tesoriere, ma è un precedente che potrebbe avere qualche peso. Al momento, comunque, non sono ancora emerse alternative al nome di Misiani. La seconda grana riguarda i capigruppo. Zingaretti non vorrebbe creare sconquassi negli equilibri dem di Camera e Senato, confermando in prima battuta Graziano Delrio e Andrea Marcucci, per poi preparare eventualmente il più consueto avvicendamento a metà mandato, quando anche gli equilibri interni ai gruppi parlamentari saranno con ogni probabilità a lui più favorevoli.

Ma non è detto che i due presidenti possano decidere di dimettersi nei prossimi giorni non come gesto formale, ma in maniera irrevocabile. Se questa fosse la loro scelta, alla Camera in pole position per l’avvicendamento ci sarebbe già Andrea Orlando, mentre al Senato – dove permane il fortino renziano – tra i papabili potrebbe esserci il franceschiniano Franco Mirabelli, che era già stato in corsa a inizio legislatura, quando poi fu scelto il fedelissimo dell’ex premier, Marcucci.

Al Nazareno, Zingaretti porterà quasi certamente con sé Paola De Micheli, che è stata coordinatrice nazionale della sua mozione. Per il resto, il neo segretario vorrà attendere gli equilibri che si svilupperanno anche all’interno delle minoranze. Se è nelle cose un dialogo con Martina e i suoi, l’area renziana è ancora in fermento, con accuse reciproche tra martiniani e giachettiani, che si rimpallano le responsabilità della sconfitta. Il fuoco amico nei confronti del leader, almeno nei primi tempi, è escluso da tutti, Renzi in primis. Ma non è ancora chiaro se la scelta sarà per il modello pop corn (cioè lasciar fare a Zingaretti, per essere pronti a colpirlo al primo passo falso) oppure per provare a condizionare le sue scelte dall’interno, anche con una presenza negli organismi dirigenti.

Il segretario attenderà le evoluzioni del dibattito interno alla sua minoranza più vivace, per poi prenderne atto e fare comunque le sue scelte in autonomia. Di sicuro, non darà ascolto alle voci – provenienti proprio dai renziani sostenitori della linea hard – che vorrebbero mettere in dubbio il nome di Paolo Gentiloni come presidente del partito. La sua elezione da parte dell’Assemblea del 17 marzo è forse l’unico punto fermo attualmente esistente nell’organigramma del Nazareno zingarettiano.

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