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F COME FEDELTA’

Nell’’epoca dei falsari, del bluff come attendibilità

Di Rosella Corda (PhD Filosofia e Storia )

F come Fedeltà: il gesto di mettere a tema questa parola, oggi, potrebbe risultare tanto come una invocazione, quanto come una provocazione. Nell’epoca dei falsari, dell’elevazione a ennesima potenza del mistificatorio, del bluff come massima espressione di attendibilità esistenziale e professionale: “sono nella misura in cui camuffo l’inanità di cui sono fatto”, la parola “fedeltà” potrebbe ben coniugarsi alla parola “inganno”. Fedeli sì, ma all’inganno. All’improprio. Doppia F: Fedeltà al Falso? Eppure quanto bisogno c’è di fedeltà, di corrispondersi in una appartenenza che perdura, capace di resistere alla corruzione – del tempo, del mondo, del senso… Quanto bisogno abbiamo di riscontrare fedeltà in un amico, in un amore – in uno specchio, in noi stessi? Allora cosa significa Fedeltà? Possiamo fidarci e affidarci a questa parola e al sentimento che con essa evochiamo? Su che terreno ci porta, quando ci prende per mano, questa parola? Dove ci arrischiamo? Il cammino è sempre un pericolo, un impasto di passi e incerto – benché nel riposo dell’abitudine, spesso non ci accorgiamo. Ma l’esperienza appunto tradisce la verità, nella misura in cui non può nasconderla e la svela. Le cose cambiano, come la sagoma delle dune al vento. Sempre sabbia, sempre così mobile. C’è una infedeltà della verità stessa? Non sarà che la verità, ciò che corrisponde al nostro più intimo bisogno di rassicurazione, in realtà è un tradimento: delle illusioni, delle aspettative, delle attese? In che rapporto può dirsi la Fedeltà con il tradimento della verità? Cioè, Fedeltà è mantenersi nella verità, nel senso per cui si dice di non-tradire e non-mentire? L’impressione è che fedeli-a-qualcosa corrisponda al rischio di un’infedeltà-a-qualcos’altro. Ma allora forse il problema è tutto nell’impossibilità di una Fedeltà assoluta? È da lì che discendono tutte le contraddizioni o le ambiguità del senso? In realtà il campo-di-senso di questa parola è anch’esso dotato di una dialettica immanente, che postula, come nel caso della parola Amicizia, una sorta di triangolazione. Si tratta sempre di parole attraversate da lampi, squarciate dalla stessa luce che le rende affascinanti. Non è un caso. La fedeltà è il tentativo impossibile di ricucire la ferita inferta da un lucore che abbaglia, quello della consapevolezza della tremenda mutevolezza di tutte le cose. Il tentativo di tenere uniti i lembi del tempo, il prima e il dopo dei nostri stati di coscienza, il prima e il dopo della storia – la storia stessa, le nostre tracce bio-pseudo-grafiche. È il tentativo di battere un ritmo dove altrimenti ci sarebbe solo rumore. È l’irresistibile tentazione di farsi un’idea – e non cambiarla, come se fosse un corrimano a cui aggrapparsi per restare in piedi e non cadere. Aggrappati a un’idea – fissa – come fosse l’attesa che si scioglie nel ritorno. E se si cadesse? Sarebbe in ginocchio, per pregare contro la precarietà. Perché è la precarietà che ci fa “pregare”, e diventare fedeli e timorosi vassalli.  Qual è l’insidia propria della Fedeltà? La paura del tradimento della verità, inteso, questa volta, non quale inevitabile affermazione non totalizzante della verità, ma quale intenzionale misconoscimento della realtà delle cose? A cosa ci chiama, davvero, a essere fedeli – la Fedeltà? Cosa bisogna non tradire, per essere fedeli? Fedeltà viene dal latino FIDELITAS, prima ancora FIDES. Nella radice “fid” si celerebbe una lontana derivazione sanscrita che richiamerebbe il significato di “legame”. La fedeltà ha a che vedere con il “legare” metaforico dello stringere un patto, un’alleanza – così come “lega”, in un certo senso, la religione. Fedeltà e legami. La fedeltà è il contrario della libertà nella misura in cui il suo opposto, il tradimento, sarebbe il trionfo del libertinismo in quella accezione particolarmente connessa alla dimensione più epidermica del piacere? Che significa tradire? Questa parola viene da TRADERE e la particella “trans” sta a indicare “al di là”, “oltre”, mentre “dere” sta per “consegnare”, “portare”. Insomma, tradire significherebbe sostanzialmente “mobilità”: nel senso di un andare oltre, superare portando avanti, muoversi attraverso. In quest’ottica, c’è un tradire che scioglie il legame o semplicemente lo tra-sporta mantenendolo?  Il punto è sempre lo stesso. A cosa si è fedeli e se ha senso parlare di esser-fedeli, così come di esser-liberi. C’è un divenire-fedeli, nel tradirsi, che è il modo più autentico di rivelarsi e rivelare. Qual è? Da cosa riconoscerlo e riconoscersi? Da quella stessa pratica di processi di liberazione propri del divenire-liberi: legami virtuosi e non mortiferi. Perché non c’è infedeltà più grave di quella di Narciso che, legato al piacere di sé, si affida ciecamente al riflesso di uno specchio d’acqua – e lì annega.



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