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OMICIDIO DI LIDIA MACCHI, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: ECCO PERCHÉ NON SI PUÒ ESCLUDERE CHE AD UCCIDERE LIDIA MACCHI SIA STATO GIUSEPPE PICCOLOMO

In tutte le fasi, naturalmente. Un criminologo può intervenire subito dopo i fatti ma anche trovarsi ad analizzare un cold case. Purtroppo nel nostro paese però ci sono ancora forti pregiudizi riguardo all’operato dei criminologi che sono peraltro gli unici tecnici in grado di mettere insieme tutti i pezzi del puzzle.

URSULA FRANCO
Giuseppe Piccolomo è un duplice omicida che sta scontando due condanne all’ergastolo. Piccolomo, nel 2003, ha ucciso sua moglie, Marisa Maldera, e, nel 2009, Carla Molinari.
Piccolomo è stato indagato anche per l’omicidio di Lidia Macchi. Abbiamo parlato di lui con la dottoressa Ursula Franco, criminologa, consulente della difesa di Stefano Binda.
L’identikit del molestatore dell’ospedale di Cittiglio e una foto di Giuseppe Piccolomo scattata nel 1987

– Dottoressa Franco perché non si può escludere che ad uccidere Lidia Macchi sia stato Giuseppe Piccolomo?

Perché non essendo mai stato isolato il DNA dell’assassino di Lidia non si può confrontare lo stesso con il DNA del pluriomicida Piccolomo.

– Lo sperma raccolto durante le prime indagini e poi scomparso avrebbe permesso di identificare l’assassino?

Quello sperma non apparteneva all’assassino ma se il “vigliacco” donatore dello stesso si fosse fatto avanti all’epoca dei fatti, avrebbe almeno permesso di escludere il movente sessuale e che ad uccidere Lidia fosse stato un conoscente. Questo “vigliacco” ha sulla coscienza la condanna di un innocente.

– Il DNA ritrovato sulla busta della lettera che conteneva la poesia “IN MORTE DI UN’AMICA” a chi appartiene?

Al soggetto che ha scritto la lettera e che non è l’assassino di Lidia perché ipotizzò una dinamica omicidiaria che nulla ha a che fare con la dinamica che emerge dall’analisi dei fatti. È comunque un altro “vigliacco” che ha sulla coscienza la condanna di un innocente.

– Come si risolve un caso così vecchio?

Lo ripeto, non sempre è agli atti la soluzione di un caso. Se gli abiti di Lidia fossero stati conservati, vista la dinamica omicidiaria, vi avremmo potuto trovare tracce del sangue del suo assassino, le uniche tracce “contestualizzabili” e per questo capaci di dargli un nome ed un cognome. Non siamo esseri sterili, un eventuale touch DNA (DNA da contatto) ritrovato in auto o sugli abiti di Lidia, non essendo databile, non avrebbe permesso di collegare con certezza il donatore all’omicidio.

– Cosa rende Giuseppe Piccolomo un sospetto?

Giuseppe Piccolomo è un soggetto con una psicopatologia compatibile con quella dell’assassino di Lidia Macchi, all’epoca del delitto aveva 36 anni e viveva a poche centinaia di metri dal bosco di Sass Pinì, luogo del ritrovamento del cadavere. Il Piccolomo ha confessato l’omicidio di Lidia Macchi alle proprie figlie. Nel 2003 ha ucciso la propria moglie, Marisa Maldera. Nel 2009, dopo averne premeditato l’omicidio, ha ucciso, e proprio con un’arma bianca, la signora Carla Molinari. Durante alcune discussioni ha minacciato le proprie figlie con coltelli e una mannaia. L’identikit realizzato raccogliendo le testimonianze di alcune donne importunate nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio poco prima che Lidia venisse uccisa era strettamente somigliante a Giuseppe Piccolomo.

– Dottoressa, una curiosità, chi si occupa di un omicidio, che sia un PM o un avvocato di parte civile o della difesa, in quali fasi può scegliere di servirsi delle competenze di un criminologo?

In tutte le fasi, naturalmente. Un criminologo può intervenire subito dopo i fatti ma anche trovarsi ad analizzare un cold case. Purtroppo nel nostro paese però ci sono ancora forti pregiudizi riguardo all’operato dei criminologi che sono peraltro gli unici tecnici in grado di mettere insieme tutti i pezzi del puzzle.

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