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LE STRUTTURE CHE PRODUCONO ENERGIA TUTTE AL NORD

Che cosa sono gli inceneritori e che differenza c’è con i termovalorizzatori

Che cosa sono gli inceneritori e che differenza c’è con i termovalorizzatori

Inceneritori in Italia | Tra i temi al centro del dibattito negli ultimi giorni c’è quello dello smaltimento dei rifiuti, che sta accrescendo la già alta tensione tra Lega e Movimento Cinque Stelle.
Il contrasto riguarda l’utilizzo degli inceneritori: da un lato c’è il leader della Lega Matteo Salvini a favore, dall’altro c’è il leader pentastellato Luigi Di Maio, contrario.

Nel piano del governo per la “Terra dei fuochi” è ancora incerta la presenza o meno di un piano per gli inceneritori. Il piano vuole cercare di risolvere l’emergenza rifiuti in Campania alla presenza del premier Conte, dei vicepremier Di Maio e Salvini, dei ministri dell’Ambiente, della Difesa, della Giustizia e del Sud, oltre al governatore della Campania De Luca.

Cosa sono gli inceneritori?

Con il termine inceneritore si fa riferimento ad un impianto per lo smaltimento dei rifiuti che prevede la distruzione degli stessi tramite un processo di incenerimento.

I rifiuti smaltiti da questi impianti devono essere organizzati in base a norme, anche europee, molto rigide che prevedono l’esclusione di materie che, bruciate, possano liberare fumi e scorie particolarmente tossiche.
Per legge, devono essere monitorati anche i fumi di combustione prodotti dagli inceneritori.

Il termovalorizzatore, invece, è un impianto per lo smaltimento di rifiuti solidi che utilizza l’incenerimento e sfrutta  il calore sprigionato dalla combustione per creare energia elettrica: grazie al calore della combustione si generare vapore che muove delle turbine che creano a loro volta energia elettrica.
Dove si trovano i termovalorizzatori?
Il numero complessivo varia tra i 40 e i 50, a seconda se si contano o meno anche gli impianti non attivi o impiegati per lo smaltimento di rifiuti pericolosi industriali o chimici.
Il numero maggiori di impianti si trova al Nord Italia, dove sono presenti 28 termovalorizzatori.
Nel Centro Italia, invece, ci sono nove termovalorizzatori e 5 sono stati costruiti nella regione Toscana.
Sono otto invece i  termovalorizzatori nel Sud Italia, ma solo quello di Acerra, in provincia di Napoli, ha dimensioni considerate efficienti: riesce a smaltire 600mila tonnellate di rifiuti l’anno.
Tra i termovalorizzatori più grandi, oltre quello di Acerra, anche l’impianto di Brescia, che brucia 880mila tonnellate l’anno.
Per dimensioni, sono importanti anche i termovalorizzatori di Milano, Torino, Parona Pavia, Padova, Granarolo Bologna, San Vittore del Lazio.

La mappa dei termovalorizzatori in Italia ?? 

Sono otto invece i  termovalorizzatori nel Sud Italia, ma solo quello di Acerra, in provincia di Napoli, ha dimensioni considerate efficienti: riesce a smaltire 600mila tonnellate di rifiuti l’anno.
Tra i termovalorizzatori più grandi, oltre quello di Acerra, anche l’impianto di Brescia, che brucia 880mila tonnellate l’anno.

Per dimensioni, sono importanti anche i termovalorizzatori di Milano, Torino, Parona Pavia, Padova, Granarolo Bologna, San Vittore del Lazio.


Qui la mappa completa

L’alleanza tra i due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini è di nuovo in crisia causa dei termovalorizzatori: mentre i 5 Stelle sono contrari al loro utilizzo, la Lega preme perché vengano impiegati per lo smaltimento dei rifiuti.
Per cercare di placare gli animi, il premier Conte ha annunciato un incontro con i due vicepremier a Caserta nella giornata del 19 novembre 2018 per risolvere il contenzioso e firmare il Piano d’azione per il contrasto dei roghi tossici


Quanti sono i termovalorizzatori presenti in Italia?

Il numero complessivo varia tra i 40 e i 50, a seconda se si contano o meno anche gli impianti non attivi o impiegati per lo smaltimento di rifiuti pericolosi industriali o chimici.
Il numero maggiori di impianti si trova al Nord Italia, dove sono presenti 28 termovalorizzatori.
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Nel Centro Italia, invece, ci sono nove termovalorizzatori e 5 sono stati costruiti nella regione Toscana.
Sono otto invece i  termovalorizzatori nel Sud Italia, ma solo quello di Acerra, in provincia di Napoli, ha dimensioni considerate efficienti: riesce a smaltire 600mila tonnellate di rifiuti l’anno.

Tra i termovalorizzatori più grandi, oltre quello di Acerra, anche l’impianto di Brescia, che brucia 880mila tonnellate l’anno.
Per dimensioni, sono importanti anche i termovalorizzatori di Milano, Torino, Parona Pavia, Padova, Granarolo Bologna, San Vittore del Lazio.

In Italia, sono poi presenti una serie di impianti di piccole dimensioni che stanno per essere spenti: diversi termovalorizzatori di capacità inferiore alle 100mila tonnellate l’anno non sono più in funzione o lo sono solo in modo marginale, come quelli di Vercelli, Ospedaletto Pisa, Tolentino , Statte (Taranto) o Macomer Nuoro.
La maggiore presenza di termovalorizzatori nel Nord Italia ha un impatto in tutto il paese, come dimostra la Campania, che nel solo 2016 è stata costretta ad esportare 258 mila tonnellate di rifiuti urbani nelle regioni settentrionali e altre 103 mila tonnellate all’estero, pagando 200 euro a tonnellata.

Inceneritore o termovalorizzatore – Con il termine inceneritore si fa riferimento ad un impianto per lo smaltimento dei rifiuti che prevede la distruzione degli stessi tramite un processo di incenerimento.
I rifiuti smaltiti da questi impianti devono essere organizzati in base a norme, anche europee, molto rigide che prevedono l’esclusione di materie che, bruciate, possano liberare fumi e scorie particolarmente tossiche.
Per legge, devono essere monitorati anche i fumi di combustione prodotti dagli inceneritori.
Il termovalorizzatore, invece, è un impianto per lo smaltimento di rifiuti solidi che utilizza l’incenerimento e sfrutta  il calore sprigionato dalla combustione per creare energia elettrica: grazie al calore della combustione si generare vapore che muove delle turbine che creano a loro volta energia elettrica.


Qual è la differenza tra termovalorizzatore e inceneritore


Entrambi servono per distruggere i rifiuti. Il primo, più moderno, produce anche energia. Il secondo è un tipo di impianto vecchio che negli anni dovrebbe sparire. La scheda.

Inceneritori e termovalorizzatori non sono la stessa cosa

I primi sono impianti che bruciano i rifiuti e basta, mentre i secondi sono impianti che bruciano i rifiuti per produrre energia. Gli inceneritori sono impianti vecchi, che oggi non si costruiscono più: gli si preferiscono i termovalorizzatori, che permettono non solo di distruggere i rifiuti, ma anche di produrre elettricità. In Italia gli «inceneritori senza recupero energetico» sono pochi e soprattutto al sud: i principali sono a Porto Marghera (Venezia), disattivato di recente, San Vittore (Frosinone), Colleferro (Roma), Gioia Tauro (Reggio Calabria), Capoterra (Cagliari), Melfi (Potenza), Statte (Taranto).

LE STRUTTURE CHE PRODUCONO ENERGIA TUTTE AL NORD

Secondo l’Ispra gli impianti che bruciano rifiuti in Italia sono 41, e per la maggior parte sono termovalorizzatori collocati al Nord. Le strutture maggiori che producono energia sono quelle di Torino, Milano Brescia e Parma. Inceneritori e termovalorizzatori bruciano lo stesso tipo di rifiuti, quelli solidi urbani (piccoli imballaggi, carta sporca e stoviglie di plastica, ad esempio) e quelli speciali (derivanti da attività produttive di industrie e aziende).

COMBUSTIONE OLTRE GLI 850 GRADI PER EVITARE DIOSSINE

Per legge la temperatura di combustione deve essere sopra gli 850 gradi, per evitare la formazione di diossine. Se la temperatura scende, si attivano bruciatori a metano. Rispetto agli inceneritori, i termovalorizzatori hanno in più radiatori dove l’acqua viene portata ad ebollizione, turbine azionate dal vapore e alternatori mossi dalle turbine che producono energia. Gli impianti più moderni distribuiscono anche acqua calda per i termosifoni delle case.

RESTA IL PROBLEMA DEGLI SCARTI

Anche se l’impatto zero non esiste, come evidenziato da studi del Cnr e dell’Ispra, questi impianti sostanzialmente sono non inquinanti, ma hanno il problema degli scarti, in particolare ceneri e fumi. Per sopperire a questa complicazione, i moderni termovalorizzatori hanno 4 livelli di filtraggio per i fumi e sistemi di trattamento e riciclo delle ceneri molto avanzati. Anche per questo tutte le analisi epidemiologiche recenti condotte intorno agli impianti moderni non hanno evidenziato un aumento di patologie. Nel paesi del Nord Europa i termovalorizzatori sorgono in mezzo alle città. La combustione tuttavia produce CO2 e contribuisce all’effetto serra.


SARDEGNA Rifiuti, i piani dell’isola: addio termovalorizzatore

La differenziata vola: entro il 2022 uno dei 2 impianti potrebbe essere spento
SASSARI. Il ragionamento va capovolto: sbagliato pensare di risolvere il problema costruendo nuovi inceneritori, giusto puntare a un sistema integrato dei rifiuti. Significa potenziare la raccolta differenziata, ridurre la produzione procapite e incentivare il compostaggio. Solo così si rispetta il principio dell’economia circolare, in base alla quale il rifiuto non è quasi mai qualcosa da smaltire in discarica o da ridurre in cenere, al contrario può essere trasformato e riutilizzato. La Sardegna, su questo argomento, può dare lezioni a tanti. Perché l’isola vanta un sistema di gestione integrata dei rifiuti che funziona e garantisce l’autonomia e l’efficienza regionale. «Lo dicono le percentuali raggiunte nelle raccolta differenziata – dice l’assessore regionale all’Ambiente – e l’apprezzamento ottenuto per la qualità della raccolta dai Consorzi che si occupano di compostaggio. I risultati raggiunti sono confortanti e ci permettono di tracciare nuovi obiettivi ancora più ambiziosi». Come quello di eliminare uno dei 2 termovalorizzatori presenti nell’isola, perché con la crescita ulteriore della raccolta differenziata non sarà più necessario».

Sardegna virtuosa. L’isola è sesta nella classifica nazionale della raccolta differenziata: la percentuale ha raggiunto il 63%, «meglio di noi fanno soltanto il Veneto 72,9% ndr), il Trentino Alto Adige, la Lombardia, il Friuli e l’Emilia Romagna», dice l’assessore Spano. La media nazionale è rimasta molto indietro, soprattutto a causa del Sud Italia che arranca: la percentuale è del 52,5%, dunque lontanissima dal 65% predicato dall’Europa. L’isola invece è lì, a un passo dal superamento di quella soglia: «L’attuale percentuale – aggiunge l’esponente della giunta Pigliaru – è destinata a salire velocemente perché le aree metropolitane stanno passando al sistema porta a porta che dà una spinta notevole». Il piano regionale della gestione dei rifiuti ha già stabilito i prossimi step: «L’obiettivo di raccolta differenziata è stato innalzato sino all’80% nel 2022 e contiamo di raggiungere l’obiettivo di 70% di riciclo entro lo stesso anno». Non solo: «Vogliamo ridurre del 10% la produzione di rifiuti urbani rispetto al 2010». Il processo è ben avviato: da qualche anno le quantità procapite si sono assottigliate: da 470 a 433 chilogrammi di rifiuti all’anno, con l’obiettivo fissato a 415 chili entro il 2022 sempre più vicino.

Le buone pratiche. I buoni risultati ottenuti sono frutto di azioni diversificate e strategiche, messe in campo «basandosi sulle migliori pratiche di gestione a livello europeo», dice l’assessore Spano. Ecco qualche esempio: «Senza dubbio merita rilievo il sistema di premialità/penalità sulla tariffa di smaltimento del secco indifferenziato – spiega – in funzione del raggiungimento di determinate percentuali di raccolta differenziata, calcolate considerando la frazione organica, gli imballaggi e i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Recentemente – aggiunge l’assessore – abbiamo semplificato il sistema di vantaggio dei comuni virtuosi». E poi: «Un ulteriore elemento rilevante che ci ha consentito il raggiungimento dei risultati è stata la realizzazione di interventi di efficientamento della rete di impianti di compostaggio, distribuiti omogeneamente su tutto il territorio regionale, e che ci ha consentito di ridurre al minimo gli scarti e incentivare al contrario il recupero della frazione organica»

Termovalorizzatori

La prima precisazione riguarda i nomi: c’è una differenza tra inceneritore e termovalorizzatore, perché il primo trasforma il rifiuto in cenere, l’altro invece dal rifiuto ricava energia elettrica e termica. Dunque, all’interno del circuito dell’economia circolare, la termovalorizzazione del rifiuto sta al quinto posto della scala, prima del conferimento in discarica e il successivo incenerimento, che occupa l’ultimo gradino. In Sardegna sono operativi due termovalorizzatori: il più piccolo a Macomer nella zona industriale di Tossilo, il più grande al Tecnocasic di Macchiareddu. «Nel nostro sistema regionale – dice l’assessore Donatella Spano – il termovalorizzatore costituisce l’anello finale e residuale della gestione dei rifiuti. Il Piano regionale prevede 2 impianti in maniera transitoria ma si arriverà ad un unico impianto quando si raggiungeranno gli obiettivi dell’80% di raccolta differenziata previsti dal piano». Dunque mai come in questo periodo è impensabile parlare della costruzione di un nuovo impianto. Grazie ai risultati raggiunti è stata scongiurata l’ipotesi che si era affacciata nel 2016, quando la percentuale di differenziata superava appena il 50% e l’allora ministro all’Ambiente aveva ipotizzato che l’isola potesse ospitare uno degli 8 nuovi impianti previsti in ambito nazionale. Ora l’argomento è tornato di stretta attualità ma la Sardegna, forte dei suoi numeri, si chiama fuori.

 

 

Domenico Leccese 

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