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“RITORNO AD ANXIA”: SULLE TRACCE DEGLI ENOTRI. INTERVISTA A MARIA CHIARA MONACO

di Leonardo Pisani Il borgo di Anzi corrisponde all’antica Anxia, una stazione di cambio lungo la via Erculeache, dalla fine

di Leonardo Pisani
Il borgo di Anzi corrisponde all’antica Anxia, una stazione di cambio lungo la via Erculeache, dalla fine del III secolo d.C., tagliava la Lucania interna da Venosa a Grumento. Nel primo trentennio dell’Ottocento, a seguito degli interessi di Michele Arcangelo Fittipaldi, ricco latifondista, archeologo e fervente carbonaro, il paese conobbe una intensa stagione di scavi. Il medico anzese Giuseppe De Stefano elaborò una metodo prescientifico di indagine e, con un gruppo di esperti scavatori suoi concittadini, operò in Basilicata e Campania. Si formarono allora in paese diverse collezioni private, in seguito disperse. Tra tutte proprio quella di Fittipaldi fu molto apprezzata da studiosi italiani e stranieri. In seguito Anzi cadde nel più totale oblio; il centro non fu più indagato né studiato. Uniche eccezioni le ricognizioni e gli scavi effettuati dalla Soprintendenza Archeologica della Basilicata negli anni ‘80 e nel 2001.
A partire dal 2014 l’Università degli Studi della Basilicata (DiSU), sotto la direzione della Prof. Maria Chiara Monaco, ha ripreso a lavorare sul territorio anzese. In questi anni la missione (in collaborazione con l’IBAM/CNR), ha operato grazie all’insostituibile ed immancabile sostegno dell’amministrazione comunale di Anzi. Ora gli scavi sono ripresi. Ne parliamo con la professoressa Maria Chiara Monaco.docente dell’Università degli studi della Basilicata.
Quali sono le finalità del progetto di ricerca?
«Il progetto, Ritorno ad Anxia, ha una due finalità: ricostruire la fisionomia dell’antico territorio e recuperare, attraverso la documentazione archivistica, la ricca pagina dell’archeologia ottocentesca. Nel 2015, in paese,è stata organizzata una mostra coni materiali archeologici donati dai cittadini anzesi alla Soprintendenza e con i reperti delle ricognizioni. Al lavoro sul terreno si è affiancato lo studio: sono state discusse una decina di tesi incentrate su Anzi e, con l’équipe che dirigo, abbiamo partecipato a svariati convegni nazionali ed internazionali. Ora il paese è definitivamente uscito dal lungo silenzio che, per troppo tempo, l’ha avvolto. E veniamo all’oggi: luglio 2018. In questi giorni stiamo operando a ridosso del centro abitato, nei terreni di proprietà De Asmundis. Missione e risultati non sarebbero stati possibili senza l’abitazione che Giuliano De Asmundis ci concede gratuitamente. Ma Giuliano e Rocco, con le loro famiglie, fanno ancora di più per la missione».
In che senso? Che apporto possono dare i cittadini alla ricerca scientifica?
«I privati cittadini possono dare un grande apporto. Ai sensi degli art. 91 e 92 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio infatti, ai proprietari del terreno nel quale avviene uno scavo archeologico come pure al concessionario dell’attività di ricerca (in questo caso l’Università degli Studi della Basilicata)spetta un premio di rinvenimento. L’Università e gli archeologi rinunciano al premio ma, senza la rinuncia del proprietario del terreno nel quale si scava, la richiesta non viene approvata dal Ministero dei Beni Culturali. Quindi ad Anzi non solo siamo ospitati gratuitamente nella casa del proprietario, ma lui stesso e suo fratello,per consentire le indagini archeologiche, hanno rinunciato a qualsiasi compenso».
Parliamo di questa campagna di scavo del 2018
«I terreni sui quali stiamo operando si trovano subito sotto il paese moderno, sulle alte pendici del Monte Siri. La vista spazia dalla sottostante vallata al Vulturino che,a sud, confina con la Val d’Agri, centro nevralgico del popolamento degli Enotri. La precisazione non è superflua perché a seguito delle indagini condotte è ormai sicuro che Anzi sia stato un centro enotrio di primaria importanza».
Ma chi erano gli Enotri?
«Dionigi di Alicarnasso, storico di età augustea, racconta che diciassette generazioni prima della guerra di Troia gli Enotri, guidati da Enotro e dal fratello Peucezio, giunsero dall’Arcadia (Peloponneso, Grecia) in Italia meridionale. Fuori dal mito, l’arrivo di questo popolo si colloca nell’Età del Bronzo medio e recente (XIV e XIII secolo a.C.). Aristotele, nella Politica, ricorda che Italo, divenuto re, trasformò gli Enotri, da nomadi in agricoltori e che dette loro delle leggi. Come gli Arcadi anche gli Enotri vivevano in piccoli villaggi posti sulle alture. Il loro territorio corrisponde a parte dell’attuale Basilicata (da Anzi alla Val d’Agri), della Campania meridionale (Velia) e della Calabria settentrionale (Laos, Tortora e la Sibaritide). Di stirpe enotria erano anche gli Itali (da cui derivò il nome della nostra nazione) insediati in Calabria, fino allo stretto, e i Chones che abitavano lungo la costa ionica tra Metaponto e Siris/Eraclea. Nonostante recenti rinvenimenti venuti in luce in Calabria e in Basilicata (soprattutto Guardia Perticara), degli Enotri conosciamo solo le ricche necropoli con i defunti inumati e supini. Nulla sappiamo, al momento, degli abitati e dei santuari. Di più. Non conosciamo neanche quale lingua parlassero. Ora, in base alle indagini archeologiche, sappiamo che Anzi fu un importante centro enotrio e che costituì la punta più avanzata di questo comparto, al confine con i cosiddetti Peuketiantes. Gli scavi, tutt’ora in corso, grazie al rinvenimento di ceramica “a tenda”, hanno fatto risalire la loro presenza qui almeno al IX-VIII secolo a.C. I lavori hanno inoltre evidenziato l’esistenza di un muro di terrazzamento che avrebbe cinto un abitato.Se così fosse la potenziale rilevanza del sito di Anzi sarebbe enorme, in quanto rarissimo, forse unico, esempio finora individuato di abitato di età enotria».
Una antica Anzi solo enotria insomma?
«Un minor quantitativo di materiali rinvenuti è riferibile alla fase lucana (V-III secolo a.C.), mentre risultano assenti frammenti di età romana quando il Siri e le sue alte pendici dovevano esseredel tutto disabitate. All’età lucana si datano tre monete d’argentofior di conio appartenenti alle zecche di Thurii, Taranto e Crotone.In base a confronti con la necropoli in località Pagliarone (Marsico Nuovo) è probabile che costituissero l’“obolo di Caronte” e che, deposte entro vasetti, appartenessero ad altrettante sepolture lucane di piena età classica (seconda metà del V secolo a.C.)».
Invece per quanto riguarda la documentazione e lo studio della storia dell’archeologia ad Anzi?
«La bella novità che è stata presentata il 21 Luglio nella giornata di studi che si è svolta in paese è che, per la prima volta, è ora possibile ricostruire, almeno in parte, la ricchissima collezione Fittipaldi, la più importante della Basilicata, una delle maggiori del Regno delle Due Sicilie. Il detentore di una parte di questi materiali, il dr. Michele Ricciuti,donerà al Museo Archeologico Nazionale di Potenza quanto in suo possesso. La scommessa, con l’aiuto e la collaborazione della Soprintendenza, del Polo Museale della Basilicata e dell’Archivio di Stato di Potenza,è di allestire una mostra che sveli al grande pubblico questa storia archeologica e collezionistica finora non nota».

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